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giovedì 20 luglio 2017

L’operazione contro le famiglie del Brancaccio di Palermo: Cosa Nostra è viva e riorganizza la governance


La maxi-operazione compiuta in questi giorni nel quartiere Brancaccio, e che ha portato a 34 arresti, è particolarmente emblematica.
Si sa, infatti, che Cosa Nostra è in una fase di riorganizzazione. Il rapporto semestrale della DIA, aggiornato a Giugno 2016, evidenzia come vi siano segnali chiarissimi di insofferenza verso il controllo tradizionale dei corleonesi su cosa Nostra palermitana. Ci ricorda la DIA che “ nel corso delle intercettazioni di conversazioni tra due esponenti di rilievo delle consorterie palermitane, tra i commenti sulle precarie condizioni di Bernardo PROVENZANO, si captava “...e se non muoiono tutti e due (rif. RIINA e PROVENZANO), luce non ne vede nessuno, …tutto “u vicinazzu”… Il provvedimento evidenzia, inoltre, come i due boss affermassero che “il cambiamento doveva coinvolgere anche gli esponenti a loro legati… facendo i nomi dei più importanti appartenenti allo schieramento corleonese: i fratelli GRAVIANO, BAGARELLA Leoluca ed il latitante MESSINA DENARO Matteo” (stralcio dell’ordinanza Operazione “Brasca)”.
L’uomo arrestato nell’operazione sul Brancaccio, Pietro Tagliavia, secondo Ingroia sarebbe in effetti una delle “giovani promesse” che dovrebbero rimpiazzare gli anziani uomini d’onore morti o reclusi al 41 bis, nell’ottica di un depotenziamento dei corleonesi nella geografia del potere mafioso[1]. Trentanovenne, è figlio dello storico boss della famiglia di Corso dei Mille (una delle quattro famiglie storiche che compongono il mandamento di Brancaccio) Francesco, detto “Ciccio Taglia”, coinvolto nel tentato omicidio del pentito Totuccio Contorno e nell’attentato a Paolo Borsellino. Una famiglia storica della mafia palermitana, che ha attraversato tutte le fasi di sviluppo dell’organizzazione. Pietro, secondo ricostruzioni giornalistiche di Repubblica e della Sicilia, si sarebbe fatto strada come colonnello del capo mandamento, ovvero Nitto Graviano, occupandosi di gestione del racket, spaccio di droga e appalti, per conto del capo, nascosto a Roma per cercare di evitare l’arresto.  Nitto Graviano che, come pare dalle intercettazioni, non era in buoni rapporti con Riina. In una intercettazione, infatti, il boss corleonese ritiene che il Graviano sia “poco sveglio”.
In questo clima di rapporti non buoni fra il mandamento del Brancaccio e Riina (Provenzano, invece, nel suo modus operandi di mediatore, aveva approvato la nomina di Nitto a capo-mandamento) secondo le ipotesi degli inquirenti, il giovane Tagliavia potrebbe crescere come uno dei possibili “delfini” del nuovo organigramma mafioso che dovrebbe sostituire la vecchia cupola oramai smantellata. Passa anche tramite l’esperienza formativa del carcere, avendo scontato una condanna di otto anni per estorsione, ed insieme al “Picciutteddu” Gianni Nicchi, che secondo gli inquirenti è il reggente del mandamento di Pagliarelli, sempre a Palermo, ed “u Vitirinariu” Domenico Raccuglia, che in base alle indagini sarebbe attivo sul mandamento di San Giuseppe Jato, rappresenterebbe un trio di giovani attivi nell’area palermitana, potenzialmente in grado di diventare rapidamente egemoni. E’ infatti possibile che il capo assoluto, il latitante Messina Denaro, padrone indiscusso di Cosa Nostra trapanese, abbia stipulato una sorta di alleanza con i gruppi palermitani emergenti, per cercare di riportare sotto controllo una organizzazione sempre più multipolare e dove le vecchie gerarchie sembrano sfaldarsi, sotto i colpi degli arresti e delle morti dei vecchi uomini d’onore.
il gruppo attivo su Brancaccio mischiava, secondo un canovaccio che oramai fa parte della fenomenologia mafiosa, vecchi metodi, utili soprattutto per controllare il territorio di riferimento, come le estorsioni, con i nuovi metodi di infiltrazione nell’economia legale, tramite l’accaparramento di aziende (girate a prestanome) attive negli imballaggi industriali, e di società attive in tutto il Centro-Nord del Paese. In sostanza, una mafia in doppio petto, che non rinuncia però alla strada ed alla violenza (peraltro, durante l’operazione è stato sequestrato un arsenale di armi da fuoco da piccolo esercito).  


[1] Cfr. intervista ad Antonio Ingroia, Antimafia Duemila n. 56, Anno VII° Numero 5 – 2007.