La maxi-operazione compiuta in questi
giorni nel quartiere Brancaccio, e che ha portato a 34 arresti, è
particolarmente emblematica.
Si sa, infatti, che Cosa Nostra è
in una fase di riorganizzazione. Il rapporto semestrale della DIA, aggiornato a
Giugno 2016, evidenzia come vi siano segnali chiarissimi di insofferenza verso
il controllo tradizionale dei corleonesi su cosa Nostra palermitana. Ci ricorda
la DIA che “ nel corso delle
intercettazioni di conversazioni tra due esponenti di rilievo delle consorterie
palermitane, tra i commenti sulle precarie condizioni di Bernardo PROVENZANO,
si captava “...e se non muoiono tutti e due (rif. RIINA e PROVENZANO), luce non
ne vede nessuno, …tutto “u vicinazzu”… Il provvedimento evidenzia, inoltre,
come i due boss affermassero che “il cambiamento doveva coinvolgere anche gli
esponenti a loro legati… facendo i nomi dei più importanti appartenenti allo
schieramento corleonese: i fratelli GRAVIANO, BAGARELLA Leoluca ed il latitante
MESSINA DENARO Matteo” (stralcio dell’ordinanza Operazione “Brasca)”.
L’uomo arrestato nell’operazione
sul Brancaccio, Pietro Tagliavia, secondo Ingroia sarebbe in effetti una delle “giovani
promesse” che dovrebbero rimpiazzare gli anziani uomini d’onore morti o reclusi
al 41 bis, nell’ottica di un depotenziamento dei corleonesi nella geografia del
potere mafioso[1]. Trentanovenne,
è figlio dello storico boss della famiglia di Corso dei Mille (una delle
quattro famiglie storiche che compongono il mandamento di Brancaccio)
Francesco, detto “Ciccio Taglia”, coinvolto nel tentato omicidio del pentito
Totuccio Contorno e nell’attentato a Paolo Borsellino. Una famiglia storica
della mafia palermitana, che ha attraversato tutte le fasi di sviluppo dell’organizzazione.
Pietro, secondo ricostruzioni giornalistiche di Repubblica e della Sicilia, si sarebbe
fatto strada come colonnello del capo mandamento, ovvero Nitto Graviano, occupandosi
di gestione del racket, spaccio di droga e appalti, per conto del capo,
nascosto a Roma per cercare di evitare l’arresto. Nitto Graviano che, come pare dalle intercettazioni,
non era in buoni rapporti con Riina. In una intercettazione, infatti, il boss
corleonese ritiene che il Graviano sia “poco sveglio”.
In questo clima di rapporti non
buoni fra il mandamento del Brancaccio e Riina (Provenzano, invece, nel suo
modus operandi di mediatore, aveva approvato la nomina di Nitto a
capo-mandamento) secondo le ipotesi degli inquirenti, il giovane Tagliavia potrebbe
crescere come uno dei possibili “delfini” del nuovo organigramma mafioso che
dovrebbe sostituire la vecchia cupola oramai smantellata. Passa anche tramite l’esperienza
formativa del carcere, avendo scontato una condanna di otto anni per estorsione,
ed insieme al “Picciutteddu” Gianni Nicchi, che secondo gli inquirenti è il reggente
del mandamento di Pagliarelli, sempre a Palermo, ed “u Vitirinariu” Domenico Raccuglia,
che in base alle indagini sarebbe attivo sul mandamento di San Giuseppe Jato,
rappresenterebbe un trio di giovani attivi nell’area palermitana,
potenzialmente in grado di diventare rapidamente egemoni. E’ infatti possibile
che il capo assoluto, il latitante Messina Denaro, padrone indiscusso di Cosa
Nostra trapanese, abbia stipulato una sorta di alleanza con i gruppi
palermitani emergenti, per cercare di riportare sotto controllo una
organizzazione sempre più multipolare e dove le vecchie gerarchie sembrano
sfaldarsi, sotto i colpi degli arresti e delle morti dei vecchi uomini d’onore.
il gruppo attivo su Brancaccio
mischiava, secondo un canovaccio che oramai fa parte della fenomenologia
mafiosa, vecchi metodi, utili soprattutto per controllare il territorio di
riferimento, come le estorsioni, con i nuovi metodi di infiltrazione nell’economia
legale, tramite l’accaparramento di aziende (girate a prestanome) attive negli
imballaggi industriali, e di società attive in tutto il Centro-Nord del Paese. In
sostanza, una mafia in doppio petto, che non rinuncia però alla strada ed alla
violenza (peraltro, durante l’operazione è stato sequestrato un arsenale di
armi da fuoco da piccolo esercito).