C'è
molta curiosità sul modello sociale e fiscale ungherese, soprattutto
dal momento che esso è stato assunto a riferimento dalla Lega. La
dura ristrutturazione sociale subita dai Paesi dell'area-euro negli
ultimi anni, a confronto con ciò che è avvenuto in un paese
“simile”, che aderisce alla Ue ma non all'euro, può rivelare
lezioni interessanti sia per i pro che per gli anti-euro.
E'
soprattutto interessante confrontare i risultati sociali ottenuti da
una destra popolare e non ortodossa come Fidesz con quelli che le
ricette neoliberiste ortodosse, in larga misura sostenute dalle
sinistre riformiste di governo, hanno prodotto nei Paesi
dell'area-euro. E' interessante anche perché le sinistre
antiliberiste, nei Paesi dell'area-euro, o non esistono, ridotte a
frammenti senza alcuna rilevanza, oppure sono più o meno
segretamente allineate alle forze neoliberiste (vedi Syriza in
Grecia), per cui l'unica alternativa di policy disponibile rispetto
al neoliberismo ortodosso è, oggi, costituita dai populismi di
destra.
Andiamo
quindi ad analizzare i risultati economici e sociali differenziali
ottenuti dall'Ungheria post-2010 (cioè da quando Orban ha preso il
potere) e da un paese dell'area-euro sottoposto da anni ad una dura
disciplina neoliberista, ma non così estrema come quella subita da
altri Stati membri dell'euro (Grecia, Portogallo) scegliendo quindi,
come metro di paragone, l'Italia. I dati statistici utilizzati sono
quelli ufficiali prodotti dall'Eurostat, cioè dall'ufficio
statistico della Commissione Europea, che quindi sono omogenei,
comparabili fra Paesi diversi e non tacciabili di essere pro-Orban.
Come
è possibile vedere, la crescita economica ungherese nel periodo
2010-2018 è stata incomparabilmente più alta di quella italiana. Il
tasso di crescita acquisito al 2018, rispetto al 2010, è del 21,8%,
a fronte del 2,4% italiano. Tali risultati sono stati ottenuti,
sicuramente, grazie ad efficienti servizi pubblici (in Ungheria un
rimborso IVA arriva dopo 40 giorni, un processo civile dura
mediamente 6 mesi) a fronte di un carico fiscale molto più basso di
quello italiano (le persone giuridiche subiscono un prelievo fiscale
del 9%) ma anche grazie alla possibilità di fare una politica
industriale autonoma e, si direbbe un tempo, “non allineata”, che
ha consentito di attrarre investimenti industriali tedeschi tanto
quanto investimenti logistici cinesi, riconfigurando completamente il
vecchio apparato produttivo dei tempi socialisti.
Ed
ovviamente l'Ungheria ha beneficiato di un posizionamento
intelligente dentro la Ue: beneficia di ingenti trasferimenti per
fondi strutturali, ma mantiene la sua moneta e la sua Banca Centrale
(privata da Orban di ogni pericolosa forma di indipendenza e diretta
dal Governo, pienamente in controllo della politica monetaria e
valutaria), il che ha consentito ad Orban di effettuare numerose
svalutazioni competitive per sostenere l'export e di finanziare
imprese e banche che avevano debiti denominati in valuta estera.
Tasso
di variazione annuale del Pil a prezzi costanti 2010
Diventa quindi interessante comprendere la distribuzione sociale dei
benefici della crescita. Una destra, seppur popolare, prediligerà
sempre i profitti. Tuttavia, i salari netti, dopo il pagamento delle
tasse e dei contributi sociali, per le famiglie allineate alla media,
sono in crescita in termini reali (depurati cioè dall'andamento dei
prezzi, calcolato tramite il deflatore del Pil). Una famiglia
bireddito, in cui un componente guadagna esattamente quanto il
salario medio nazionale, e l'altro guadagna il 67% del salario medio
nazionale, con due figli a carico, vede il suo reddito netto reale
crescere, fra 2010 e 2015, del 5,3%, a fronte del 4,6% della medesima
famiglia in Italia. Anche un single senza figli, che guadagna
esattamente il salario medio nazionale, vede il suo reddito netto
reale crescere più velocemente in Ungheria rispetto all'Italia:
+16,8%, rispetto al +2,9% italiano, fra 2010 e 2015.
Tuttavia, nell'area del disagio economico, le cose cambiano: un
single che guadagna il 50% del salario medio nazionale (ad esempio un
pensionato solo a basso reddito) vede, in Ungheria, il suo reddito
netto reale diminuire del 4,6%, a fronte di un incremento dell'11,7%
in Italia, sempre fra 2010 e 2015.
Tasso
di variazione dei redditi netti familiari a prezzi costanti 2010
Ingenuamente,
si potrebbe credere che queste diverse dinamiche, che premiano i
nuclei familiari con redditi nella media o al di sopra della media
rispetto a quelli al di sotto, siano prodotte da distorsioni
distributive legate alla flat tax. I dati, però, sembrano smentire
tale tesi. L'aliquota fiscale media gravante sui redditi più bassi
(calcolata come aliquota fiscale e contributiva al netto dei tax
benefit) è, in Ungheria, significativamente più bassa rispetto
all'Italia, ed oltretutto in forte riduzione (-3,8 punti) fra 2010 e
2015. Ciò significa che la riforma fiscale ungherese ha prodotto
benefici fiscali anche ai più poveri, grazie alla combinazione fra
la misura dell'aliquota unica (di poco superiore a quella minima del
sistema precedente) e di una serie di benefici “extra welfaristici”
ai più poveri (sconti sulle bollette, riduzioni “mirate”
dell'aliquota IVA, di per sé superiore a quella italiana, per i beni
di consumo di prima necessità – latte, uova, pollame, carne suina
e pesce pagano un'IVA del 5% - nonché lavori socialmente utili con i
quali i municipi locali impiegano la manodopera fuori dall'assistenza
alla disoccupazione).
Aliquota
fiscale media su un single che percepisce un reddito pari al 33% del
salario medio nazionale al 2015 e variazione rispetto al 2010
quali
sono allora le radici delle diseguaglianze nelle dinamiche dei
redditi? Risiedono nella riduzione della spesa per Stato sociale. Il
coefficiente del Gini, come noto, misura il grado di diseguaglianza
nella distribuzione dei redditi, ed è tanto più alto quanto più
una società è diseguale. Ebbene, il coefficiente del Gini
complessivo dell'Ungheria, forse come retaggio del suo passato
socialista, è inferiore a quello italiano – la società ungherese
è meno diseguale dal punto di vista distributivo – ma, nel periodo
2010-2017, cresce molto più rapidamente in Ungheria rispetto
all'Italia.
Inoltre, il coefficiente del Gini calcolato sui redditi prima dell'erogazione di prestazioni sociali welfaristiche (pensioni, indennità, assicurazioni contro la disoccupazione o la povertà, ecc.) è, in Ungheria, superiore al dato italiano, ribaltando quindi le gerarchie dell'indice del Gini complessivo, in cui era l'Italia ad avere un valore più elevato.
Indice
del Gini complessivo e prima dei trasferimenti sociali al 2017
Variazione
dell'indice del Gini fra 2010 e 2017
L'indice
del Gini complessivo cresce più rapidamente in Ungheria rispetto
all'Italia; il suo valore assoluto è più basso, ma diviene più
elevato se lo si calcola prima dei trasferimenti sociali. Queste due
cose significano che il welfare pubblico ungherese è molto meno
generoso di quello italiano, e che per finanziare la flat tax (che
pure ha restituito benefici anche ai redditi bassi) è stato tagliato
in questi anni. Ma ciò non significa che l'Italia, per pagare il
prezzo del rimanere dentro l'euro, non sia costretta, nei prossimi
anni, a tagliare anch'essa in misura pesante il suo welfare, anche
senza riuscire ad introdurre una flat tax all'ungherese, che benefici
anche i redditi bassi.
Ad
ogni modo, l'incidenza del rischio di caduta in povertà in Ungheria
è inferiore al dato italiano, ed è peraltro anche in riduzione
rispetto ai valori del 2010, nonostante l'oggettiva contrazione
dell'area del welfare pubblico. Rimane, per la verità, un'area
diffusa di povertà estrema (il tasso di deprivazione materiale
“severa”, che misura la povertà materiale più grave, è del
10,1%, contro l'8% circa italiano) ma ciò è da attribuirsi a
fattori etnici ed a una prevaricazione che esisteva già ai tempi del
socialismo: tale povertà estrema riguarda, infatti, essenzialmente
la componente Rom e Sinti, che costituisce circa il 7-8% della
popolazione magiara, e che da sempre è emarginata.
% di popolazione a rischio povertà
Da
cosa dipendono, allora, la riduzione del rischio di caduta in povertà
e la dinamica dei redditi, soprattutto di quelli del ceto medio e
medio-basso, se il welfare è in contrazione? Semplice: dalla
combinazione dei benefici della riforma fiscale che ha introdotto la
flat tax, che ricadono in parte anche sui redditi bassi tramite
benefici fiscali “extra welfare” (riduzione dell'IVA, sconti
sulle bollette, sussidi fiscali alle famiglie, ecc.) e della forte
crescita economica, indotta da un intelligente posizionamento nello
scacchiere internazionale e da una politica economica ed industriale
abile ad attrarre investimenti pubblici (fondi strutturali) e privati
(multinazionali tedesche e cinesi)
. La
crescita economica, infatti, genera ricchezza aggiuntiva che, anche
in un governo di destra, ricade in parte sui lavoratori.
Infine,
la saggia chiusura totale delle frontiere all'immigrazione ha evitato
che si formasse un esercito industriale di riserva che potesse
spingere verso il basso la dinamica salariale. Il recente
provvedimento di “stretta” sugli straordinari è, in effetti, la
conseguenza di una dinamica del costo del lavoro talmente favorevole
da indurre il governo di Orban, per non perdere gli investitori
stranieri, a proporre tale provvedimento impopolare. Non sfugge
infatti che un simile provvedimento ha natura “difensiva”, e
nasce quando si creano pressioni per una occupazione molto vicina al
pieno impiego e per dinamiche salariali favorevoli. L'Ungheria ha
infatti un tasso di disoccupazione del 3,7%, prossimo al valore
frizionale di pieno impiego.
Quindi,
in assenza di una sinistra in grado di fare qualcosa di buono, che
Santo Stefano protegga Viktor Orban.