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lunedì 4 aprile 2016

L'attentato di Calanna: vendetta o riarticolazione territoriale delle aree di influenza delle 'Ndrine?


I due uomini escono sul terrazzino stretto di una modesta casetta di Calanna, microscopica frazione di Reggio Calabria, un pezzo di Calabria rurale incastrato fra la città e l’Aspromonte. Una casetta in pieno paese, anonima e piuttosto dimessa, non la casa opulenta di un boss in fortuna, piuttosto il “buen retiro” di un capobastone in declino. Forse i due uomini volevano prendere una boccata d’aria, con i primi caldi primaverili che rendono profumata e piacevole la sera calabrese. Il silenzio della notte viene rotto da una scarica di colpi di arma da fuoco, e dallo sgommare di una macchina che si allontana. A terra rimangono Domenico Polimeni, 48 anni, con precedenti penali, ma non legati alla ‘Ndrangheta, e Giuseppe Greco, Peppe, 56 anni, capobastone dell’omonima ‘Ndrina che, storicamente, comanda a Calanna. Il primo è morto. Il secondo, raggiunto alla testa, al volto ed a un polmone, miracolosamente ancora vivo, anche se grave. Gli inquirenti sono sicuri che l’obiettivo era quest’ultimo. Il Polimeni è stato sfortunato, si è trovato nel punto sbagliato al momento sbagliato. Forse, è solo una ipotesi, era uno degli ultimi soldati rimasti al servizio del boss in declino.

Figlio di Ciccio, boss storico di Calanna, attivo nel traffico di stupefacenti nella periferia reggina, alleato degli emergenti guidati, nel reggino, dal boss De Stefano durante le prime due guerre di ‘Ndrangheta, morto di recente di morte naturale, Peppe Greco eredita la ‘Ndrina dal padre, e nell’organizzazione complessiva della ‘Ndrangheta arriva al grado di santista, come emerge da una intercettazione. Uno dei gradi più alti dell’organizzazione, un componente della cosiddetta “Società maggiore”, che raggruppa e coordina più “Locali” ed a livello inferiore più ‘Ndrine su un territorio vasto. Una vita di violenza, come qualsiasi esponente della ‘Ndrangheta. A vent’anni, emigra in Francia, e cerca di mettere in piedi, senza successo, un giro di mazzette su locali notturni in Costa Azzurra. Cerca di prendere il controllo di una bisca clandestina gestita da una ‘Ndrina della Locride. Si presenta nel locale con il mitra in mano. Si fa pagare ed esce. Si salva la vita dalla vendetta dei derubati solo grazie all’intercessione del potente boss Paolo De Stefano, amico del padre.  Poco tempo dopo, a Gallico, periferia di Reggio Calabria, un imprenditore, Domenico Falcomatà gli spara, per un litigio legato ad una storia di donne. Il cassiere di un supermercato viene ucciso accidentalmente, Peppe si salva la pelle. Succede al padre nel controllo di Calanna. Nominalmente imprenditore edile, controlla l’amministrazione comunale e si fa assegnare le gare di appalto, usando la violenza per intimidire la popolazione e allontanare le ditte concorrenti. Contrariamente ad altri capibastone, la sua indole particolarmente violenta lo rende poco amato fra i paesani. In una informativa dei carabinieri del 1993, si dice infatti che “trattasi di elemento che in pubblico gode scarsa stima e reputazione, facente parte della presunta omonima cosca mafiosa capeggiata dal proprio padre Francesco nato a Calanna l`1.1.1930, con precedenti penali per favoreggiamento, furto, apertura e sfruttamento abusivo di cava”.

Viene arrestato nell’ambito dell’operazione Meta, dopo aver collezionato un curriculum criminale per omicidio volontario in pregiudizio di un vigile urbano, truffa, furto, associazione per delinquere di tipo mafioso, lesioni personali, porto abusivo di coltello di genere vietato, rimpatrio con foglio di via obbligatorio. Dopo l’arresto, decide di collaborare come pentito, una decisione assolutamente singolare, dato che nella ‘Ndrangheta non si pente quasi mai nessuno. E contribuisce ad inguaiare, per voto di scambio, l’ex consigliere regionale del Pdl Santi Zappalà, che secondo il suo racconto gli avrebbe promesso 30.000 euro in cambio di un pacchetto di 500 voti. Proposta che però sarebbe stata declinata dal Greco, perché giudicata poco redditizia. Ma anche la sua storia di pentito è piena di stranezze. Più volte ricoverato in istituti psichiatrici o in centri per la disintossicazione, essendo dipendente da cocaina,  nel 2015 sparisce, per qualche mese, dal luogo dove veniva tenuto nell’ambito del programma di protezione dei testimoni. E, arrivato alla deposizione processuale ad ottobre scorso, come un personaggio del Padrino, dichiara all’improvviso di non voler più collaborare, e di rinunciare alla protezione, gettando gli inquirenti nella disperazione. Evidentemente per salvare la pelle da possibili vendette.


Torna quindi nella casa paterna, in paese, a scontare ai domiciliari la pena di 4 anni inflittagli per traffico di stupefacenti. Senza più il potere di un tempo. Qualcuno inizia a fargli terra bruciata attorno. A febbraio tentano di uccidere Antonino Princi, considerato da Alessia Candito, di Repubblica, vicino a Greco, in un inseguimento in auto da film poliziesco. E ieri l’attentato. Greco, dopo il pentimento, non era più considerato un intoccabile, evidentemente. Ma vi è anche un'altra ipotesi, e la fa  il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho, collegando l'episodio all'ondata di violenza che ha colpito Reggio Calabria di recente, e che potrebbe essere indicativa dell'esplosione di una possibile guerra di 'Ndrangheta, mirata a ristrutturare i rapporti di potere territoriale dei diversi clan. 

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