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giovedì 16 agosto 2018

Il caso della Svezia: il multiculturalismo su un binario morto


I modelli di integrazione di tipo multiculturale non funzionano nemmeno nell'efficiente Svezia, dove la socialdemocrazia affronta una crisi gravissima, a fronte dell'avanzata del partito euroscettico e contrario all'immigrazione massiva.Città come Goteborg e Malmo, dove si concentrano gli immigrati, sono oggetto di sparatorie e scorribande fra gang di immigrati. 
Nonostante il fatto che la Svezia non stia dentro l'euro, abbia ancora un welfare di eccellenza malgrado le riduzioni effettuate in questi anni (con il 18,3% di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale nel 2016, la Svezia è ben al di sotto del 23,5% medio della Ue, o del 27,9% italiano; con 12.100 euro di spesa pubblica per abitante in protezione sociale nel 2015, la Svezia svetta sui circa 8.000 euro medi della Ue, nonostante il calo subito, dai 13.600 euro del 2013), mostri una crescita economica molto più sostenuta della media europea (il PIL svedese, nel 2017, è cresciuto del 2,7% in termini reali, dal 2010 la crescita complessiva è del 17,4%, a fronte del 10,4% medio europeo), l'insostenibilità del modello di integrazione è divenuta evidente, ed i populisti locali potrebbero anche diventare il primo partito alle prossime elezioni, costringendo la socialdemocrazia in caduta libera ad una grande coalizione con il centrodestra. I sondaggi danno i socialdemocratici poco sopra il 23%, ed i populisti oltre il 22%. 
La Svezia è quindi un caso di scuola, perchè mostra che il problema dell'immigrazione si situa ben al di là dei semplici dati economici, occupazionali e della disponibilità ed estensione del welfare pubblico. E' un problema più profondo, che, oltrepassati alcuni limiti (la Svezia è il secondo Paese europeo con il più alto rapporto fra immigrati e abitanti, con il 12,5%, dietro alla sola Estonia, con il 13,5%; in Italia, tale proporzione è del 7%) scende in profondità nella percezione collettiva, fino alle paure per la perdita dell'identità nazionale e culturale, che genera problemi di sicurezza indipendenti dai singoli immigrati o dai singoli autoctoni, ma più in generale dipendenti dallo scontro inevitabile fra civiltà e culture diverse e in larga misura inconciliabili, in cui la convivenza comune, che richiede regole comuni accettate da entrambi, diviene problematica e genera aree di conflitto sempre più ampie. Secondo la Migrationsverket, l’agenzia governativa per i migranti, il numero di violenze e minacce registrate in centri per accoglienza di migranti è più che raddoppiato, passando dai 148 nel 2014 ai 322 del 2015. Nello stesso periodo, inoltre, circa una ventina di centri di accoglienza è stato distrutto o parzialmente danneggiato da incendi dolosi a opera di persone esterne.
Gli attacchi esplosivi in piena città sono stati 54 tra il 2011 e il 2016. Mentre gli attacchi con ogni tipo di arma da fuoco sono triplicati tra il 2008 e il 2016. Secondo alcuni media, solo nell’ultimo anno sarebbero stati almeno 300 gli scontri con armi da fuoco e dall’inizio del 2018 già quattro persone sarebbero state uccise. L’origine dei disordini è quasi sempre da ricercare nella guerra tra bande di immigrati nelle periferie urbane. Infatti in un’intervista al New York Times, il prof. Henrik Emilsson ha spiegato che “gli autori di scontri e violenze nei sobborghi sono spesso figli di immigrati e persone che sono arrivate nel Paese quando erano giovani”. Dunque, si tratta di immigrati di seconda o terza generazione, che non sono riusciti, anche quando sono nati dentro il Paese, o vi risiedono da molto tempo, ad integrarsi, mostrando quindi in tutti i suoi aspetti più evidenti il fallimento del modello multiculturale, molto tollerante rispetto alle tradizioni degli immigrati, della Svezia. Gli immigrati di seconda e terza generazione si ritrovano in una sorta di "terra di mezzo", fra la loro radice etnica e culturale di orgine, e il modello del Paese di accoglienza, finendo spesso per non riuscire a trovare un accettabile compromesso fra questi due estremi, e quindi facendosi risucchiare nel ribellismo e nel rifiuto. 
In conclusione, si sfata l'assunto secondo il quale con la pancia piena si è meno intolleranti, e che la crescita economica, allargando la torta, produce maggiori spazi di integrazione. Il problema è più profondo, è culturale e sociale nel senso più ampio del termine. Ed un approccio multiculturalista troppo tollerante, lungi dal migliorare le condizioni di integrazione, tende a peggiorarle, fino a sfociare nell'insicurezza e nella criminalità diffusa.

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