Non è in dubbio il fatto
che Khalifa Haftar diverrà il nuovo Raìs della Libia. Il problema è
solo quando lo diverrà. L'assalto a Tripoli di questi giorni
potrebbe forse, ancora, essere fermato, perché le potentissime
milizie di Misurata, composte da circa 10.000 uomini, che sembravano
in parte, nei mesi scorsi, basculare verso un'alleanza con lui, si
sono nuovamente schierate con Al-Serraj, insieme alle milizie di
Zintan.
Però è chiaro che
l'equilibrio delle forze è oramai spostato verso Haftar. E' l'unico
a disporre di un esercito proprio, mentre Serraj è costretto a
negoziare, volta per volta, con milizie la cui fedeltà non è
assicurata. Può disporre di un retroterra logistico in Egitto, dove
Al-Sisi lo vede come un prezioso alleato per demolire la Fratellanza
Musulmana, il suo principale avversario. E' chiaramente appoggiato
dalla Francia, che vuole mettere le mani sulle risorse petrolifere
gestite dall'Eni, che lo ha curato quando ha avuto un problema di
salute grave, e che lo finanzia. Per motivi analoghi, è supportato
anche dalla Gran Bretagna. Viene visto dalla Russia come l'unico
possibile fattore di stabilizzazione del Paese, e il suo
anti-islamismo e laicismo tradizionale è molto gradito a Putin,
ancora coinvolto in Siria contro i residui dell'Isis, e sempre
preoccupato dai possibili rigurgiti islamisti nel Caucaso. D'altra
parte, con Haftar Mosca ha siglato un accordo che le permetterà di
avere due basi militari nella Cirenaica, estendendo così il suo
potere militare nel Mediterraneo, un antichissimo obiettivo di
politica estera che perseguiva sin dai tempi di Stalin.
La stessa dichiarazione
del Consiglio di Sicurezza dell'ONU appare timida e rinunciataria,
invitando Haftar a cessare il fuoco, senza però chiedergli di
tornare sulle posizioni precedenti all'offensiva. Ed oramai il
generale ha in mano la Cirenaica ed il Fezzan, ovvero i due terzi del
Paese.
Al povero Serraj resta
solo l'appoggio sempre più disperato dell'Italia, con gli USA che,
fondamentalmente, hanno perso interesse per la Libia, dopo aver, ai
tempi di Bush e poi di Obama, costruito pezzo per pezzo il
personaggio-Haftar, per usarlo come testa di ariete contro il suo
ex-amico Gheddafi (amicizia incrinatasi nel 1987 quando Haftar,
mediocre comandante militare, si fece catturare insieme a 1.000 suoi
soldati durante la guerra in Ciad, e fu abbandonato da Gheddafi,
rimanendo per tre anni prigioniero dei ribelli ciadiani, prima di
essere liberato dagli USA e arruolato come collaboratore della CIA).
Certo, il ruolo
dell'Italia può ancora prolungare la vita, oramai precaria, del
Governo Serraj, soprattutto per i buoni rapporti intessuti con le
milizie di Misurata (città in cui l'Italia ha aperto un ospedale e
inviato truppe). Ma oramai siamo agli sgoccioli, e la miserabile
figura rimediata dal Governo Conte a Palermo, quando ha cercato, con
italica furbizia, di ingraziarsi Haftar senza però abbandonare
Serraj, inducendo i due ad un ipocrita abbraccio a fine conferenza,
ha il sapore dell'ultima opportunità per cambiare cavallo.
Opportunità sprecata.
Gli errori dell'Italia in
Libia, però, sono di lunga data. Risalgono allo sciocco appoggio
incondizionato che il Governo Berlusconi offrì alla guerra per
defenestrare Gheddafi, guerra evidentemente contraria agli interessi
del Paese, ma che l'ex Cavaliere vide come una opportunità per
salvare il suo governo, sempre più inviso alla Merkel per la scarsa
energia nel fare spending review. Naturalmente, Berlusconi fu fatto
comunque cadere con una sorta di colpo di Stato istituzionale,
manifestando quella coglionaggine che oggi vorrebbe attribuire ai
gialloverdi.
La scelta scellerata di
non scegliere, cioè di seguire, volta per volta, le indicazioni che
provenivano da Parigi e da Washington su quale dei numerosi governi
libici di transizione sostenere, fu fatta dal buon Moavero, lo stesso
Ministro degli Esteri attuale, che ricopriva lo stesso incarico già
ai tempi del Governo Monti e del Governo Letta. Senza nessuna
capacità di incidere nelle dinamiche, l'Italia appoggiò i vari
esperimenti di transizione di governi che avrebbero dovuto
traghettare la Libia verso una utopistica pacificazione democratica,
senza tenere conto degli equilibri sul campo fra le varie tribù.
La progressiva ascesa
delle forze islamiste nel Congresso Nazionale Generale, fino a
proporre l'applicazione della sharia ed a imporre una irragionevole e
suicida caccia alle streghe contro gli ex fedeli di Gheddafi, ha
consentito ad Haftar, che nel 2011 era un uomo politicamente finito,
di rilanciarsi ed irrompere sulla scena come difensore delle forze
laiche e dei nostalgici di Gheddafi (non contento, Moavero è
riuscito anche a contribuire, seppur da un ruolo più defilato di
consigliere, alla scelta di insediare ad Amsterdam, anziché in
Italia, la nuova agenzia europea del farmaco, ma questa è un'altra
storia, che contribuisce però a definire l'incapacità del
personaggio, capace perlopiù di disquisire di scrivanie).
Gentiloni, da Ministro
degli Esteri, ha infine messo la ciliegina sulla torta, scegliendo di
puntare sul cavallo perdente, ovvero il timido Serraj. Per
soprammercato, anziché cercare relazioni positive con l'Egitto,
principale sponsor di Haftar, il nostro Gentiloni ha avuto la
brillante idea di appoggiare la guerriglia contro Al-Sisi in nome di
una impossibile (e francamente inutile per l'interesse nazionale)
“verità per Giulio Regeni”.
Adesso che la frittata è
fatta, che siamo riusciti a non contare più niente in una nostra
ex-colonia, adesso che lo stesso Haftar si sente forte, e non sa cosa
farsene dell'appoggio italiano, non rimane che una opzione, ovvero
l'intervento militare per fermare le forze del generale di Bengasi.
Altrimenti, a breve avremo a Tripoli un governo a noi ostile, che ci
estrometterà dal business petrolifero e che farà ripartire i flussi
di barconi di migranti verso l'Italia. Non si capisce perché la
Francia, in Ciad, in Costa d'Avorio, nel Mali, intervenga
militarmente, mentre per noi italiani la questione è un tabù. Le
Forze Armate servono per proteggere un interesse nazionale,
altrimenti possiamo anche scioglierle e diventare come il Costa Rica,
una colonia di fatto.
Accodarsi scodinzolante
alla Francia, come sta facendo Moavero, nella speranza di avere
ancora qualche briciola nel futuro riassetto di potere della Libia,
non produrrà alcun risultato. A volte viene il dubbio che la nostra
classe dirigente non lavori per l'Italia. Del resto la Legione d'Onore
fa sempre gola ai provincialotti nostrani.
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