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giovedì 30 gennaio 2020

Due parole sulla Brexit e l'Italia



Vorrei dire due parole sulla euforia da Brexit che promana dalle reti sociali. La Gran Bretagna non faceva parte dell'euro, non subiva, quindi, il corredo di vincoli alle politiche fiscali e spossessamento di sovranità che ne deriva. Su molte materie, aveva diritto di opting out. Insomma, era già un Paese in buona misura esterno alla Ue.

 L'uscita definitiva è ovviamente, oltre che il riflesso del timore degli effetti della globalizzazione dei ceti popolari, anche un buon affare per il capitalismo britannico ed è per questo che i conservatori hanno cavalcato l'onda: consente loro di risparmiare circa 8 miliardi all'anno di contributo netto al bilancio Ue e di impostare una politica fiscale e bancaria di vantaggio, in grado di attrarre investimenti e capitali finanziari dall'Europa continentale, diventando un mix fra Svizzera e Isole Cayman.

Noi invece, noialtri, checché ne dica Farage, stiamo dentro una moneta unica. Abbiamo un debito pubblico, per il 35% circa, detenuto da soggetti non residenti. Un sistema bancario non lontano dal collasso e una economia strutturalmente a bassa crescita per bassa produttività totale dei fattori ed una pressione fiscale galattica.

Vorrei capire bene, in queste condizioni, dove usciremmo, e verso dove andremmo uscendo. La scelta di uscire della Gran Bretagna ha una valenza strategica, e quindi è premiata dai mercati. Essi sanno bene che essa non prelude a nessun protezionismo ed a nessun rimpatrio degli immigrati, perché ad una economia altamente finanziarizzata e terziarizzata, che non ha più una rilevante industria interna da difendere, e che quel poco di produzione industriale lo deve multinazionali straniere, non conviene fare protezionismo, né conviene aizzare troppo le volontà indipendentistiche scozzesi o le nostalgie guerrigliere nordirlandesi con in accordo di separazione traumatica dalla Ue.

Nel caso italiano, una uscita non avrebbe alcuna valenza strategica, sarebbe il prodotto dell'insostenibilità delle politiche necessarie per restare nell'euro, quindi non una scelta ma una costrizione. I mercati, evidentemente, non premierebbero tale evento, come per Londra, l'aumento del rollover risk conseguente ad un calo del rating del debito sovrano lo renderebbe non più vendibile e sarebbe necessario assorbire il risparmio interno per rinnovare un debito pubblico fuori mercato, mente una crescita economica bassa per fattori strutturali non riuscirebbe a superare il tasso di interesse sul debito pubblico in crescita esplosiva e, ovviamente, la fiscal fatigue per ottenere avanzi primari crescenti sarebbe insostenibile (cfr. il commento del paper di Debrun, Ostry, Willems e Wyplosz sulle condizioni di sostenibilità del debito pubblico nell'articolo "Sostenibilità del debito pubblico e caso dell'Italia", presente su questo blog). Il crollo delle quotazioni dei titoli pubblici porterebbe le banche italiane al collasso finale, innescando una crisi di sistema. Un default sovrano associato ad una crisi bancaria, che renderebbe ben miseri gli eventuali guadagni di competitività di prezzo derivanti dalla reintroduzione di una lira svalutata (che peraltro avrebbe effetti negativi sui costi delle materie prime importate, che contro-bilancerebbero gli effetti positivi della svalutazione sull'export).

Con questo non sto ovviamente difendendo l'euro, né dicendo che non bisogna uscirne. Sto dicendo che non è minimamente pensabile una uscita unilaterale come quella britannica, che, per i motivi sopraddetti, mentre a loro conviene, per noi sarebbe un disastro.

Sarebbe invece necessario introdurre nel dibattito europeo il tema di una fuoriuscita concordata, ordinata e collettiva, ad esempio tornando ad un sistema di cambi semirigidi come il vecchio Sme, corretto con misure che ne evitino il principale difetto, ovvero la vulnerabilità ad attacchi speculativi sui tassi di cambio, ad esempio prevedendo riallineamenti semo automatici delle parità centrali quando un set di indicatori macroeconomici (tasso di inflazione, deficit/Pil, importo delle riserve valutarie della Banca Centrale, ecc.) ne segnalino la non sostenibilità. Un sistema di cambi semirigidi consentirebbe di scaricare in parte i differenziali interni di competitività di costo sul tasso di cambio, invece che sui salari, evitando di scavezzare ulteriormente la domanda interna.

Tale dibattito potrebbe far leva sulla stessa Germania, che sta iniziando a sperimentare sulla propria pelle, con una incombente recessione, gli effetti del gioco "fotti il compare" che ha per lunghi anni giocato ai danni dei propri partner, e che adesso si manifestano anche sulla sua domanda domestica, depressa dall'austerita' necessaria per sostenere esportazioni che non hanno più sbocchi, fra neoprotezionismo USA, rallentamento cinese e demolizione della domanda interna degli altri Paesi Ue. I tedeschi sono duri come i lecci, ma il miglior modo per addestrare un testone è quello di fargli provare dolore per le sue scelte inadeguate. Capiranno anche loro, ma in quel momento sarà necessario avere una strategia di uscita comune da poter imporre. Nel frattempo, sarebbe necessario lavorare ai fianchi il sistema, recuperando quanto più spazio fiscale possibile, ad esempio escludendo gli investimenti dal calcolo del deficit e recuperando spazi di politica industriale settoriale, allentando il divieto di aiuti di Stato. Ma ovviamente occorrerebbe avere una classe dirigente degna di questo nome. Il caso italiano è quello dei una selezione avversa nella quale la regola di affidarsi al vincolo esterno per disciplinare un Paese allo sbando dopo Tangentopoli del 1992 ha prodotto un ceto politico di inetti esterofili ed una borghesia del Nord più integrata con il circuito industriale tedesco che con il resto dell'economia nazionale.

Nel frattempo, nell'immediato, le conseguenze di una Brexit unilaterale che non ci possiamo permettere di imitare saranno di due tipi: dovremo coprire con soldi nostri i mancati contributi britannici al bilancio comune e dovremo subire la concorrenza fiscale della perfida Albione, con conseguente fuga di capitali. Non sono cose di cui, personalmente, mi rallegro e per le quali mi sento di condividere l'entusiasmo dei brexiter alla matriciana nostrani.

Un vecchio bollettino meteo inglese, ripreso dal Times negli anni Trenta, recitava "nebbia fitta sulla Manica: continente isolato". Mi sembra che renda bene l'idea.

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