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sabato 14 marzo 2015

Mafia Capitale, seconda parte: organizzazione e finalità







Questa è la seconda parte della descrizione di Mafia Capitale, come emerge dalle risultanze investigative e dall’ordinanza cautelare del magistrato inquirente. Dopo averne descritto la genesi, nell’articolo precedente, in questa sede si approfondiscono le caratteristiche operative e le finalità.

1) I diversi strati dell’organizzazione , le sue caratteristiche generali e le sue finalità: l’agenzia di servizi e l’intermediazione fra i mondi

1.1) La leadership
Il magistrato inquirente individua almeno tre livelli di attività:
  • Il livello criminale vero e proprio,
  • Il livello economico,
  • Il livello della pubblica amministrazione e politico.
Tutti questi livelli sono in qualche modo isolati l’uno dall’altro, con l’unico trait d’union della guida, ovvero di Massimo Carminati, personaggio già conosciuto e descritto nella prima parte di questo lavoro. Il suo ruolo di comando emerge con chiarezza nelle intercettazioni, sia nel modo in cui gli altri componenti del sodalizio si rivolgono a lui, sia per il modo, chiaramente caratterizzato dalla volontà del capo di un gruppo criminale di imporre rispetto e timore sugli altri, con cui spesso Carminati stesso si rivolge agli altri. Ad esempio, in una intercettazione se la prende con il sodale Giovanni Lacopo, il gestore del benzinaio di corso Francia presso il quale i membri dell’organizzazione si incontrano, reo di aver un esattore dell’organizzazione, Matteo Calvio, per finalità personali (per farsi dare da tale Manattini dei soldi prestatigli dal padre di Lacopo stesso). Carminati, imbestialito per questo utilizzo “personale” e non concordato con lui di una risorsa dell’organizzazione, dirà infatti “al nano (riferendosi a Lacopo)...mo' come arriva come passa prendo il primo oggetto contundente che trovo ..mo' ne faccio trovare uno […] ti ammazzo come un cane![…]
E’ Carminati ad avere l’ultima parola nelle decisioni strategiche e nel disegno delle attività del gruppo. A puro titolo di esempio, in una intercettazione Carminati spiega il metodo che l’organizzazione deve avere nell’approcciare un imprenditore al suo braccio destro, Riccardo Brugia. Dice infatti: “noi dobbiamo andare dritto per le cose... cioè questi devono essere nostri esecutori... devono lavorare per noi.. non si può più fare come una volta…che noi arriviamo dopo facciamo i recuperi… e allora senti lo sai che c’è?... “i recuperi… vatteli a fa da solo”… a noi non ci interessa più... te lo dico..perchè poi.. a fa' i recuperi si fa 'na guerra con quelli che l’hanno solato? …ma perché? ..la gente ruba… e noi ci mettiamo a fare i recuperi… non siamo più gente che potemo fa una cosa del genere…pe’ du lire”. O ancora, quando istruisce i componenti del livello criminale dell’organizzazione su come si fa ad acquisire il controllo di un imprenditore: “..nella strada… glielo devi dire… aaa come ti chiami?... comandiamo sempre noi.... non comanderà mai uno come te nella strada.. nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”. Ed il suo ruolo primario emerge anche quando deve “punire” un componente del sodalizio per un comportamento sbagliato, come quando intima a Lacopo, in modo sbrigativo, di pagare Calvio per un recupero crediti non andato a buon fine per colpa di Lacopo stesso. Dirà infatti Calvio alla sua compagna “… Massimo gli ha detto due parole, dice’ te sei messo in mezzo te? Ecco .. mo’ paghi te, subito veloce”. 

1.2) Il manifesto programmatico e il funzionamento dell’organizzazione: L’Agenzia di servizi
Il “manifesto programmatico” di funzionamento dell’organizzazione, che imprime Carminati, è particolarmente importante per giudicare alcune caratteristiche tipiche delle mafie del Centro Nord, e si basa essenzialmente su due parole d’ordine: flessibilità e relazionalità. Ogni livello (criminale, economico, politico/amministrativo) viene attivato ed utilizzato in modo flessibile, in base alle esigenze, ed il sodalizio ricava la sua forza non tanto dalla violenza, che Carminati aborrisce come un rimedio da utilizzare soltanto in casi estremi (perché ha un costo per l’organizzazione, la rende più visibile alle forze dell’ordine, rovina relazioni che potrebbero essere importanti in futuro, e ne compromette l’immagine, mentre cerca di penetrare nella cerchia più esclusiva dei salotti del potere politico ed economico, nei confronti dei quali occorre essere felpati e diplomatici). dirà infatti che “noi alzamo le mani .. a la gente, quando uno ti dice di fare una cosa fai quello che te dico io .. se mi dai una parola, no che non la mantieni più, .. però noi non ci approfittiamo mai di nessuno ...”.
L’organizzazione ricava la sua forza dalla rete relazionale. Significativo è ciò che Carminati dice a Gaglianone, imprenditore che secondo le indagini sarebbe collegato al gruppo: no pero' poi meno male che hai conosciuto Fabrizio perchè così.. poi.. quando ci sarà da...pure Carlo.. quell'altro...quell'altro è l'uomo de.. invece de Mancini... Carlo te lo avevo prese.. guarda che lui è l'uomo dell'ente EUR ...che loro per dire ... gli danno i chilometri di sabbia.. questi qua quelli che arrivano a noi ...per il movimento terra.. fanno tutti capo a lui .. e' lui che se ne sta occupando capito? ..in maniera che questi vanno a fa il sopralluogo.. li conosci tu a pe'...eh...mo ti chiama...nun te preoccupà....stiamo a mette, stiamo a mette su' una bella squadra..piano piano...capito?”
In questo modo, flessibilità e relazionalità consentono di mettere in collegamento il mondo di sotto, cioè quello criminale, con il mondo di sopra dell’élite imprenditoriale e politica, attraverso la ben nota metafora del “mondo di mezzo” che Carminati, ex NAR, spiega a Brugia, altro ex NAR, in un linguaggio tolkeniano che ben si adatta ai miti delle destra neofascista: “è la teoria del mondo di mezzo compà. ....ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo (…) e allora....e allora vuol dire che ci sta un mondo.. un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici cazzo come è possibile che quello…come è possibile che ne so che un domani io posso stare a cena con Berlusconi..cazzo è impossibile.. capito come idea?. . .è quella che il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra. . cioè.. hai capito?... allora le persone.. le persone di un certo tipo… di qualunque di qualunque cosa... .si incontrano tutti là. . .si incontrano tutti là no?.. tu stai lì...ma non per una questione di ceto… per una questione di merito, no? ...allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno. . questa è la cosa…e tutto si mischia.
Carminati, quindi, si posiziona al crocevia fra mondo legale e mondo illegale, fungendo da intermediatore che li mette in collegamento fra loro, in funzione di specifiche esigenze, ed operando quindi sia al livello dei vivi che a quello dei morti, senza sporcarsi le mani direttamente (“non siamo più gente che potemo fa una cosa del genere”) se non quando strettamente necessario per imporre timore e rispetto per le regole dell’organizzazione a chi sgarra, o non prende in considerazione il ruolo dell’organizzazione, e non intende passare per la sua intermediazione: (“Come posso guadagnare, che te serve il movimento terra? Che ti attacco i manifesti? Che ti pulisco il culo ..ecco, te lo faccio io perché se poi vengo a sapè che te lo fa un altro, capito? Allora è una cosa sgradevole…”). In questo modo, l’obiettivo è quello di entrare negli ingranaggi complessivi di funzionamento del sovra mondo, servendosi del sottomondo per fornirgli delle utilità (soldi a strozzo ad imprenditori o professionisti in difficoltà, imprese fornitrici colluse in particolari segmenti del ciclo edile, in particolare nel movimento terra, tradizionale settore di infiltrazione delle mafie, eventualmente voti a politici, o anche servizi di vario genere, ad esempio Carminati fornirà il suo esecutore Calvio all’imprenditore Manattini, come guardia del corpo).
La finalità non è quindi quella di agire nel sottomondo con i caratteristici affari criminali, come il traffico di droga (“la storia della droga è della stampa”) ma di creare una sorta di “agenzia di servizi” che operi in condizioni monopolistiche (non interferisco negli affari illegali degli altri gruppi criminali romani nel loro mondo di sotto, e loro mi lasciano l’esclusiva del mondo di mezzo) erogando servizi particolari, che solo dal sottomondo possono essere acquisiti. E che, però, per poter funzionare, deve mantenere un solido contatto con il sottomondo (da cui la rete di relazioni con la camorra dei Senese che opera nella capitale, così come con le ‘ndrine ed i clan di Cosa Nostra, o batterie italiane e extracomunitarie, come quelle di Santoni, “Diabolik Piscitelli”, che opeera su Ponte milvio, o Pavlovic).
Contatto che si estrinseca anche in interventi diretti di mediazione e di composizione di litigi interni al sottomondo, finalizzati a mantenere una “pax criminale” che faccia funzionare bene tutto il meccanismo. Il 17 aprile 2013, nell’area della stazione di servizio “ENI” di corso Francia, Carminati Massimo e Brugia discutevano dell’organizzazione di un incontro, non preceduto da appuntamenti telefonici - come da consuetudine di tutti i sodali - con soggetti descritti come “brutti forti”. In particolare, Brugia riferiva al Carminati: “a Mà…mò per ditte a quelli là gli ho detto ...fra quattro giorni penso di dargli appuntamento”, e quest’ultimo dettava le regole da seguire al fine di fissare appuntamenti sicuri, siti all’interno del quartiere di Vigna Stelluti, ove il sodalizio mantiene una maggiore influenza: “settimana prossima passano qua e lasciano soltanto il giorno a Roberto (Lacopo, titolare del benzinaio di corso Francia)… solo con Roberto gli dici guarda dì a Massimo giovedì per dirti ed io l'appuntamento poi glielo dò ad un'altra parte”. Brugia, nel confermare la circostanza, riferiva all’interlocutore che uno dei soggetti con i quali avrebbero dovuto incontrarsi “ha detto, lo sai come voleva la pistola…non l'hai visti, non l'hai visti come, come…come”, ottenendo conferma della pericolosità di tali personaggi dallo stesso Carminati, il quale riferiva all’interlocutore: “quelli so' brutti forti compà”, precisando “...sono andato da questi prima che prendono la pistola e sparano…”. Con quest’ultima affermazione, il Carminati sottolineava l’entità del proprio intervento di mediatore, espletato nei confronti di pericolosi soggetti del sottomondo, al fine di evitare una degenerazione violenta, che non conveniva alla buona gestione degli affari dell’”agenzia di servizi”. Si scoprirà poi che i soggetti con cui si sono incontrati sono effettivamente brutti: Roberto Santoni e Daniele Carlomosti, due pregiudicati romani, a capo di batterie di spacciatori e rapinatori, e lo slavo Tomislav Pavlovic, usuraio, attivo nel racket e nella ricettazione.

2) I connotati mafiosi
L’”agenzia di servizi” ha però i classici tratti dell’organizzazione mafiosa, ai sensi dell’articolo 416 bis del codice penale e della giurisprudenza in materia. Questi tratti si evidenziano sotto numerosi aspetti:
  • Il tipico potere intimidatorio del legame associativo;
  • Le modalità di infiltrazione nelle imprese e nel sistema degli appalti;
  • I legami fra gli associati, costruiti da reti di appartenenza, oltre che da meri interessi criminali comuni;
  • Il radicamento ed il controllo del proprio contesto territoriale e culturale di riferimento.
2.1) Il potere intimidatorio del vincolo associativo
Mafia Capitale presenta i tratti specificamente evolutivi delle mafie tradizionali che formano delle gemmazioni nel Centro Nord. La sua ambizione di agenzia di servizi la porta a ridurre al minimo indispensabile la violenza, perché il potere di intimidazione promana direttamente dalla percezione del vincolo associativo, che crea una minaccia generica di per sè stesso. Come per le mafie tradizionali, però, Mafia Capitale ha l’esigenza di mantenere stretti legami con il suo ambiente di provenienza, che ovviamente, a differenza delle mafie meridionali insediate al Nord, non è geografico, ma di contesto, ovvero il legame con il sottomondo, come detto in precedenza.
A pena di perdere il suo prestigio criminale e la sua forza di intimidazione, essenziali per porsi come intermediatrice fra mondo di sotto e di sopra, il sodalizio continua a operare nel sottomondo, non solo nelle funzioni di intermediazione e di risoluzione di conflitti sopra illustrati, ma anche attraverso la realizzazione dei delitti classici delle associazioni di stampo mafioso, quali l’usura e l’estorsione. Ciò è un ulteriore tratto classico delle mafie, comune a Mafia Capitale: anche se operano su livelli molto sofisticati di globalizzazione e finanziarizzazione, esse devono infatti “manutenere” il loro potere di intimidazione, e devono quindi continuare ad operare su reati da strada connotati da alti livelli di intimidazione delle vittime, come per l’appunto usura ed estorsione. L’omertà delle numerose vittime di estorsione di Mafia Capitale ne certifica il potere intimidatorio. Un esempio lampante è quello del debito contratto da tale Pirro Raimondo nei confronti del Brugia, peraltro per un fatto relativamente minore, di denaro per la vendita di due orologi di proprietà del Brugia stesso. Per Brugia e Carminati la riscossione del credito nei confronti del Pirro è principalmente una questione di reputazione criminale, ben più importante della cifra non particolarmente rilevante (Brugia dirà: “ormai, eh..se no..è diventata una questione principale, come no?” e Carminati risponde: “stavolta, stavolta se..se non è proprio la buca de notte, jè spaccamo proprio la faccia Riccardo: no, no jè do' una martellata in testa...come premessa..appena lo vedo l'ammazzo.. ormai è diventata una cosa...mica, mica può pensare deve passà, de esse passato così, questo che và a pija per culo la gente”). 

2.2) Protezione ed infiltrazione nelle imprese e nell’economia
Tipicamente mafiosa è poi, in ambito estorsivo, la “protezione” offerta, obtorto collo, agli imprenditori, che di fatto li trasforma in sodali del gruppo, utilizzabili ,ad esempio, per entrare nei subappalti dei cantieri edili, o nelle forniture. Una protezione, come avviene nei territori di alto insediamento mafioso, spesso cercata direttamente dall’imprenditore stesso, e nemmeno imposta dall’organizzazione, che attesta il suo livello di radicamento nel tessuto sociale e produttivo della capitale. La protezione è in realtà un mero strumento per inserirsi nell’attività imprenditoriale, dapprima fornendo tutta la serie di servizi strumentali senza partecipare al rischio d’impresa “noi lo sai perché andiamo bene?.. perché noi facciamo il movimento terra” oppure fornendo “tranquillità” (“tu lo devi mette seduto gli devi dì tu vuoi sta' tranquillo ? […] allora mettiamoci a… fermare il gioco… a come ti chiami?... comandiamo sempre noi....non comanderà mai uno come te nella strada... nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”), sino a raggiungere il vero obiettivo della manovra, ovvero la caduta dell’impresa “protetta” integralmente nella rete del sodalizio. Gli imprenditori così avvicinati “devono essere nostri esecutori.. devono lavorare per noi”. Infatti, sempre seguendo Carminati, “deve essere un rapporto paritario, je devi dì…non ti pensare che tu... ecco… a me mi puoi anche …dire che mi dai un milione di euro… per guardarmi… tutte ste merde…non mi interessa, già che faccio una cortesia...è normale che dall'amicizia deve nascere un discorso che facciamo affari insieme”. E’ una modalità operativa totalmente ripresa, in modo fedele, dal modus operandi delle mafie meridionali.
Assolutamente esemplificativo è in tal senso l’avvicinamento della famiglia imprenditoriale Guarnera al sodalizio: avvicinamento cercato dagli stessi imprenditori. Guarnera entra in contatto, inizialmente, con Brugia, nel dicembre del 2012, per richiedere protezione. Brugia gli concede Matteo Calvio quale “guardaspalle”. Al contempo, Guarnera proponeva a Brugia la partecipazione a un affare immobiliare, riferibile a “novanta appartamenti a Monteverde”. L’ingresso di Mafia Capitale nell’affare produce per Guarnera tangibili benefici, quali lo sblocco amministrativo del cantiere di via Innocenzo X, da parte di Carminati, per stessa ammissione di Guarnera: “lui è stato in grado di una cosa che io in due anni non sono riuscito a fare, lui in tre giorni è riuscito a sbloccarla!”.
L’affiliazione crescente di Guarnera passerà anche, nell’oramai consueta stazione di servizio di corso Francia, da una vera e propria formazione da mafioso, impartita da Carminati, iniziando dall’omertà (“.. uno non deve parlà”, “mai risponde alle domande ... le domande sono lecite le risposte non sono mai obbligatorie ..”)
Così come è tipicamente mafioso il modo in cui il gruppo penetra nel sistema degli appalti pubblici. Un misto di corruzione (dirà Buzzi “Lo sai perché Massimo è intoccabile? Perché era lui che portava i soldi per Finmeccanica! Bustoni di soldi! A tutti li ha portati Massimo! … 4 milioni dentro le buste! 4 milioni! Alla fine mi ha detto Massimo “è sicuro che l’ho portati a tutti! Tutti! Pure a Rifondazione!”) e di intimidazione, che al limite, se strettamente necessario, può arrivare alla violenza (Carminati riferirà a Brugia di aver “menato” Riccardo Mancini, detto “er Ciccione”, e camerata di Carminati nei NAR, che, da amministratore delegato di EUR SpA, nominato dal sindaco Alemanno, svolge, in modo troppo recalcitrante secondo Carminati, il ruolo di procacciatore di appalti pubblici per il sodalizio) o, più spesso, alle minacce. 

2.3) I vincoli di gruppo
Manca invece, delle mafie tradizionali, il percorso di affiliazione formale, che passa attraverso un periodo di monitoraggio dell’aspirante affiliato, diversi gradi di affiliazione esterna (ad es. il passaggio dell’aspirante al grado intermedio di “contrasto onorato”, nel sistema ‘ndranghetista) ed una cerimonia formale di affiliazione, che serve perlopiù per cementare la fedeltà all’organizzazione, tramite una complessa simbologia religiosa ed esoterica che serve anche per suscitare emozioni e sentimenti di fratellanza con il gruppo da parte del neo-affiliato. Tuttavia, tale mancanza è più che compensata dal fatto che tutto il gruppo “interno” di Mafia Capitale, quelli cioè più vicini a Carminati, come Brugia, Gaudenzi, Grilli, o gli esponenti più importanti della raggiera esterna del gruppo, come Mancini o Mokbel, sono tutti componenti, a vario titolo e con diversi livelli, del mondo dell’eversione neofascista o dell’estrema destra extraparlamentare degli anni ’70 ed ’80, ed hanno quindi cementato, fra loro, un legame di solidarietà ed amicizia tale per cui, come confesserà lo stesso Grilli, “tra camerati non ci si tradisce”. Le intercettazioni telefoniche, infatti, testimoniano di un legame profondo, di amicizia e rispetto reciproco, fra Carminati e Brugia, che va al di là del mero rapporto utilitaristico ed affaristico, tanto che i due vivono a pochi metri di distanza, avendo Brugia preso casa nel villino di Sacrofano attiguo a quello di Carminati, e passando con lui intere giornate. Altri importanti esponenti di Mafia Capitale, come Buzzi, Calvio o Lacopo, pur non avendo un passato attestato nell’estremismo neofascista, sono amici personali di lunga data e quindi conosciuti e “fidati”. 

2.4) Il controllo del proprio contesto di riferimento
Lo stesso contesto in cui opera il sodalizio esprime un profondo radicamento dentro un circolo ristretto, facente capo agli ambienti “esclusivi” alla destra radicale, dentro il quale i protagonisti di questa storiaccia mostrano di sapersi muovere con la massima disinvoltura e confidenza, trovando alleanze, opportunità di business, manovalanza, ed anche, per così dire, “copertura” e rispettabilità sociale, e diventa quindi quel substrato “tradizionale” di radicamento primario di cui ogni mafia ha bisogno, anche quando entra nella fase dell’espansione in nuovi contesti. Quando parlo di contesto, mi riferisco ovviamente in primis a quello geografico: operano tutti nel quadrante di Roma Nord, fra i Parioli, Vigna Stelluti, il Fleming, il Flaminio e Sacrofano, un vero e proprio habitat elettorale e sociale della destra più radicale, che esprime quella piccola e media borghesia di “parvenus” e medi e grandi “commis” dell’Amministrazione Pubblica, dalla quale, peraltro, quasi tutti i protagonisti di Mafia Capitale sono stati allevati (nonostante l’estremo livello di degenerazione, anche nel modo di esprimersi, che Carminati manifesta, dopo tanti anni di frequentazioni criminali, egli stesso è, per unanime ammissione di tutti, un uomo intelligente, colto e perfettamente in grado di “stare” dentro contesti sociali altolocati). Il legame territoriale quasi simbiotico che, come ogni Mafia (organizzazione in primis territoriale, anche quando si espande) il gruppo esprime emerge dalle intercettazioni, dal richiamo costante che Carminati fa della sua appartenenza a Roma Nord (come quando Carminati contattava Santoni, dicendogli “ciao sono io, buongiorno…so’ quell’amico tuo di zona qui a Roma Nord…”). Tutti gli affari del gruppo si combinano quindi in “territorio amico”, dove Carminati e soci si sentono protetti e conosciuti, fra il benzinaio di corso Francia, l’Euclide di Vigna Stelluti, il bar Hungaria di piazza Ungheria, i ristoranti di Ponte Milvio e della Flaminia Nuova. Persino le telefonate “delicate” vengono fatte da una cabina di via Flaminia, o da una di viale Tiziano. Molto significativamente, perché è un altro connotato tipicamente mafioso, il territorio del boss, ovvero Sacrofano, si chiude in una perfetta omertà, se non in qualche tentativo di difesa dell’imprenditore edile sacrofanese Agostino Gaglianone, risultato, dalle emergenze investigative, colluso con il gruppo, e fortemente relazionato con Carminati1

Alcuni dei luoghi di Mafia Capitale. In alto  sinistra: corso Francia (con la stazione di servizio di Lacopo). In senso orario: piazza di Vigna Stelluti, Ponte Milvio, Sacrofano



Ma il contesto è anche culturale: non solo per nostalgia dei suoi vent’anni, ma anche per rinsaldare i legami affettivi con il gruppo, Carminati non di rado si lascia andare a rimembranze del suo passato di terrorista dei NAR, ricorda, persino divertito, di quando andò in Libano a fare il cecchino con i falangisti fascisti, nei primi anni Ottanta, tiene nella sua abitazione oggetti con una forte carica simbolica nell’immaginario neofascista, come una Katana giapponese, utilizza con i suoi uomini termini, come il “mondo di mezzo”, che evocano la paccottiglia pseudo-culturale delle letture tipiche dei neofascisti e degli ordinovisti, quando deve minacciare utilizza il linguaggio truculento dei picchiatori da strada dell’estrema destra (“lo famo strillà come un’aquila sgozzata”). Tutto questo non è casuale, serve per rinsaldare una sottocultura comune, nella quale i membri del gruppo possono riconoscersi e sentirsi a loro agio, quindi in ultima analisi sentirsi più legati al sodalizio. Anche questo è un comportamento mafioso: ad esempio, la ‘Ndrangheta ha elaborato un immaginario culturale, con tanto di mitologia delle origini (i famosi cavalieri Osso, Mastrosso e Scarcagnosso) e sincretismi cattolici, utile per rinsaldare la fedeltà dei propri affiliati. Lo stesso vale per Cosa Nostra, e per le elaborazioni politico/autonomistiche che Cutolo offrì alla NCO.

Conclusioni
In conclusione, Mafia Capitale appare come una organizzazione dai tipici tratti mafiosi, evolutasi dalla criminalità di strada verso una forma imprenditoriale di fornitura di servizi illeciti al “mondo di sopra” (l’agenzia di servizi) in condizioni di monopolio, quindi perfettamente inserita dentro le logiche di potere economico, amministrativo e politico di Roma, e per molti versi ad esse funzionale e servente. Una organizzazione che, accanto ai tipici caratteri intimidatori di una mafia (alimentati anche dal prestigio criminale di Carminati e dalla sua intelligenza organizzativa), ha accresciuto il suo potere grazie ad un notevole investimento in capitale sociale, capitale relazionale, che le consente di porsi al crocevia di una rete di rapporti, talvolta da essa stessa costruiti, talvolta ad essa preesistenti ma funzionali, con una capacità di estensione socio economica molto pervasiva e pericolosa, che dal centro di tutto, ovvero Carminati, si estende a raggiera, sia nel mondo criminale, in cui Carminati assume sempre più il ruolo di organizzatore e coordinatore (arrivando addirittura a pagare 20.000 euro ad un Casamonica, per tenersi buono il rapporto con il clan criminale) sia in quello imprenditoriale e politico/amministrativo. Il potere mafioso esercitato sul territorio si misura in termini di imprenditori collusi, che spesso vanno essi stessi a cercare protezione, amministratori coinvolti, comuni cittadini omertosi o impauriti.
Nell’ultimo capitolo di questa storia, si approfondiranno le biografie e i ruoli degli uomini coinvolti in Mafia Capitale.

1 Cfr. inchiesta del Fatto Quotidiano a Sacrofano del 04.12.2014

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