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giovedì 12 luglio 2018

Il punto di non ritorno, di Riccardo Achilli




La domanda centrale se vi sia un futuro per una sinistra autonoma ed influente è, in un orizzonte temporale ragionevole per poter fare previsioni (diciamo 5-10 anni), a parere di chi scrive, a riposta negativa. Ho già scritto in relazione alle condizioni necessarie per riavviare sin da subito un percorso di ripartenza della sinistra in un recente articolo ("Sinistra: estinzione o rinascita?" su L'Interferenza) ma, diciamoci la verità, tali condizioni non sono realisticamente praticabili. I gruppuscoli dirigenti attuali, responsabili in massima misura della catastrofe, non hanno alcuna intenzione di mollare, se non celandosi dietro qualche uomo/donna di paglia manovrato/a alle spalle in un simulacro di rinnovamento. Anzi, il governo gialloverde fornisce a questi scellerati l’occasione di ricompattare le loro scarne truppe in una battaglia di sopravvivenza contro immaginifici pericoli razzisti e fascisti artatamente agitati e patologicamente interiorizzati in una sorta di coazione a ripetere ideologica da parte dei propri seguaci. E’ una acquisizione clinica il fatto che alcune delle peggiori psicosi, come ad esempio la paranoia, siano disturbi della funzione del “dare senso” alle immagini, ai simboli ed alle rappresentazioni (Hillmann ha scritto un saggio sulla paranoia molto utile per identificare alcuni sintomi indicativi del morbo mentale che affligge la sinistra radicaloide italiana).
Non essendovi alcun ricambio significativo di ceto politico, non vi sarà alcun ricambio di messaggio e di parole d’ordine e, di conseguenza, non vi sarà alcuna espansione rispetto ai residuali presidi sociali della sinistra (il Pd non fa parte della definizione di “sinistra”, ovviamente) consistenti in segmenti minoritari di ceto medio riflessivo e di militanza tradizionale. Nell’incapacità di dare senso alla fase storica, e quindi di immaginare un posizionamento ed una linea politica attualizzati al contesto reale e non a quello fantasmato, la sinistra terminerà la sua agonia (che dura sin dagli anni Novanta, con il tracollo dei riferimenti ideologici e culturali principali, nelle macerie del muro di Berlino) nella morte definitiva. Non è un fenomeno insolito: altri casi nazionali dimostrano che, laddove si sviluppano populismi egemoni (che si sviluppano, in genere, per inanità della sinistra nazionale) i pascoli sociali tradizionali si consumano definitivamente, e cambiano natura, divenendo strutturalmente inadatti a nutrire un progetto socialista autonomo. E’ il caso dell’Argentina, dove una socialdemocrazia in grado di fare egemonia ha potuto svilupparsi soltanto all’interno del corpaccione del populismo peronista (il kirchnerismo nasce dalla matrice giustizialista) o, in Europa, è il caso dell’Ungheria, dove due populismi di destra (quello di Orban e quello di Jobbick) si contendono la pastura sociale ed elettorale di una sinistra che si è semplicemente estinta.
Gli spazi di potenziale espansione sociale della sinistra italiana si stanno irrimediabilmente chiudendo. E’ puramente utopistico pensare di recuperare elettorato progressista confluito nel M5S o ceti popolari entrati strutturalmente nell’area leghista. Chi si culla nella beata illusione di una sorta di “big bang” pentastellato o in una “riconduzione a sinistra” del M5S non capisce la portata, per certi versi storica, dell’avvento del governo gialloverde. La formazione di tale governo è stata infatti l’espressione della saldatura di un blocco sociale, differenziato al suo interno, ma estremamente coeso in termini di obiettivi ed interessi. Un blocco sociale la cui ricostruzione, dopo la distruzione per via giudiziaria della sua precedente versione all’ombra della Prima Repubblica, è stata avviata dal berlusconismo (che infatti presenta aspetti, nella fluidità del partito egemone, ricondotto a mero comitato elettorale, e nel cesarismo del suo leader/padrone, aspetti in nuce tipici di un nascente populismo). Tale blocco sociale, costituito da piccola borghesia, sottoproletariato urbano, segmenti di proletariato maggiormente esposti alle ondate distruttive della globalizzazione su un apparato produttivo sempre meno competitivo, con la novità dell’ingresso di quote rilevanti di quelle classi emergenti del precariato cognitivo e della new economy semplicemente rimosse e disprezzate dalla sinistra, è unito da paure ed interessi che hanno a che vedere con il degrado della funzione protettrice della identità nazionale e dello Stato-nazione che ne è l’espressione istituzionale, con una domanda sociale di individualismo fiscale e di protezione pseudo-corporativa, mediata da una figura forte, e quindi tranquillizzante, di leadership.
Ad un dipresso, ed al netto dei ceti emergenti del post-capitalismo citati in precedenza, che ha comunque catturato, tale blocco sociale è quello che ha sostenuto ogni periodo di potere di una delle due destre italiane, quella di natura popolare-sociale, dal fascismo ai lunghi periodi di governo della destra della Dc e dei suoi alleati (con l’eccezione, non lunghissima, del primo centrosinistra degli anni Sessanta e della fase di compromesso storico) fino al berlusconismo e, per l’appunto, all’attuale maggioranza. Detto blocco sociale ha sempre trovato forme diverse ed adatte ai tempi di manifestarsi. La fine delle specifiche formule politiche legate alle diverse fasi storiche gli hanno consentito sempre di riproporsi come polo dominante, grazie al suo trasformismo, lungo la storia del nostro Paese. 
Solo in particolari periodi (per l’appunto, negli anni Sessanta del primo centrosinistra, o nella fase costituente dell’immediato dopoguerra) la sinistra ha avuto la forza di piegare questo blocco, incuneandovisi, e realizzando gli unici avanzamenti civili e sociali sperimentati dal nostro Paese (la fine della monarchia e la Carta Costituzionale, il welfarismo degli anni gloriosi del boom economico, la politica estera euromediterranea e di equilibrio fra Est ed Occidente della migliore fase del craxismo).
Ma, per l’appunto, stiamo parlando di una sinistra forte e radicata nel profondo del Paese, con la forza di penetrare dentro le contraddizioni del blocco sociale dominante, ottenendo, oltretutto per periodi tutto sommato brevi ed in forma episodica e non continuativa, la possibilità di innestarvi le proprie proposte. La ridotta testimoniale, supportata da posizioni politico-culturali grottesche e surreali, in cui si è ridotta attualmente, non consente di pensare che vi sarà la forza di incunearsi dentro le contraddizioni del blocco sociale dominante. Se anche il M5S dovesse tracollare, il blocco sociale sottostante non si spezzerà, non ci saranno fuoriuscite di materiale elettorale da un immaginario big bang, ma esso transumerà tranquillamente ed integralmente dentro la Lega. Lo stiamo vedendo già dalle prime elezioni amministrative post-formazione del Governo Salvini-Di Maio e dai sondaggi: il calo elettorale dei pentastellati va a gonfiare i numeri dei leghisti. Il blocco sociale non si dissolve, non tracima verso l’esterno, ha semplicemente dei movimenti interni di assestamento legati al suo eterno trasformismo, che lo porta ad aggiustare costantemente le formule politiche in cui si esprime. Ma non esce, nemmeno in piccole quote, dal recinto in cui si è chiuso, perché non conviene a nessuno dei suoi attori avventurarsi oltre il grasso campo di pascolo che presidia. Di conseguenza, le bestie che si trovano fuori dal recinto della fattoria degli zii Salvini e Di Maio, ovvero il Pd, Fi e i micro-partitini di sinistra, continuano a dissanguarsi ed a deperire per mancanza di nutrimento sociale. Le poche specie animali che, all’interno del M5S hanno ancora una postura vagamente sinistroide, come Fico o i piccoli cacicchi provenienti dalla disgregazione della sinistra, sono poco più che automi, che saranno rapidamente destinati al macello (oggi Fico viene preso a mazzate dal suo amico Di Maio persino per aver realizzato una delle battaglie storiche del M5S, ovvero la cancellazione dei vitalizi) ed in parte utili idioti collocati a presidio del lato sinistro della tenuta agricola della premiata Ditta.
L’estinzione finale della sinistra politico-sindacale italiana, intesa come forza in grado di influenzare la direzione di marcia del Paese, sia pur minimamente e residualmente, e da posizioni politiche ed organizzative autonome, è un destino ineluttabile. E’ quasi una necessità storica: per rinascere occorre prima morire. E’ una evidenza profonda e segnalata da una simbologia universale: dal simbolo della Fenice, al significato della Morte nei tarocchi come carta di rinascita, alla potentissima simbologia cristiana del Dio che, per rinascere fortificato nella sua comunità di fedeli, deve prima passare dalla crocifissione, ai miti greco-egizio di Osiride Niente potrà evitare la morte, nessun artificio. Il neo-municipalismo rappresentato da De Magistris altro non è che una versione povera, localistica e miope dei bias ideologici di cui soffre la sinistra a livello nazionale: internazionalismo d’accatto, buonismo acritico, dirittocivilismo, ambientalismo di maniera ed incapace di intaccare i rapporti sociali di produzione. In aggiunta a tali lacune, il neomunicipalismo aggiunge le sue tare specifiche: l’invischiamento dentro le pastoie del micro-territorio impedisce di portare su un livello più alto la domanda sociale, e resta ingabbiato dentro un rivendicazionismo di micro-interessi mediato, per necessità (legata all’impossibilità di dotarsi di strutture organizzative complesse, data l’eccessiva prossimità con il livello territoriale) da un caudillo vernacolare, una specie di Cola di Rienzo, o di Masaniello. Questa strada è solo un espediente per prolungare il coma.
Dalle macerie non si uscirà malconci ma indenni, come i sopravvissuti di un bombardamento che escono dal rifugio antiaereo grati di essere ancora in vita e pronti a ricostruire. Non si potrà più sopravvivere all’ombra di un capetto nella protezione di una setta. Non ci saranno più centri studi o riviste cui affidare, come messaggi in bottiglia di naufraghi, i propri messaggi. La destra di potere risolverà i problemi con la sua visione del mondo, e non avrà nessuna pietà di chi ha lungo ha creduto di difendersene sbeffeggiandola. Le pulsioni autoritarie che le sono proprie si sfogheranno su ciò che resta della sinistra, mettendola in condizioni di non esprimersi più. Occorrerà una lunghissima fase di rielaborazione teorica dell’analisi sociale e della linea politica e programmatica.
Ed accanto alla teoria, occorrerà anche una immersione molto pratica nel cuore sofferente del Paese, quel cuore abbandonato da una sinistra parolaia e di potere, ricostruendo il senso della “commozione”, ovvero del muoversi insieme agli interessi sociali subalterni, entrando nelle loro paure, nelle loro sconfitte, non bollandole come manifestazioni di analfabetismo, ma sapendo comparteciparvi. E qui dirò esattamente come la penso: in assenza di una capacità di tenuta politico-organizzativa autonoma, che l’estinzione prossima ventura evidenzierà, sarà necessaria una soluzione “kirchneriana”: forme di entrismo intelligente e critico dentro il corpaccione del populismo di potere, per lavorarlo dall’interno, cercando di piegarne a sinistra, per quanto possibile, le enormi potenzialità di consenso che presidia. Possiamo anche baloccarci, con lo stesso spirito di quelli che brindavano sul ponte del Titanic un attimo prima della collisione, con giochetti organizzativi: con De Magistris si o no, con PaP si o no, Possibile si o no, e vediamo cosa fanno quelli di Mdp, e vediamo come e con chi riaggregare SI dopo l’inevitabile esplosione di LeU, e rimettiamo insieme cocci disparati. Sono soltanto forme di ricomporre una polpetta sfragnata, sono divertissement astratti, che non poggiano più su nessuna base di consenso, che non hanno più nessun margine di manovra nel mondo reale.
Il consenso sta altrove. Non c’è la forza e la credibilità per portarlo fuori dal recinto della fattoria degli zii Salvini e Di Maio. Ed allora occorrerà chinare la testa ed abbassare le orecchie, come è giusto facciano i perdenti, e cercare di entrare nel recinto portando dietro una posizione propria, e cercando di farla valere per quanto possibile. E l’unico modo per farlo, prima che sia troppo tardi ed i guardiani della fattoria ci abbattano, occorrerà iniziare a dialogare con le bestie che popolano la fattoria, oltre il recinto. Non continuando ad insultarli, a trattarli da fascio-razzisti, ma comprendendo a fondo le istanze sociali che rappresentano e mostrando rispetto. Cercando di sostenere le istanze interne al M5S che intendono contrastare gli aspetti più belluini delle politiche di questo Governo, aiutando tal istanze a non essere del tutto schiacciate. Prima che l’onda lunga della deriva di destra del Paese non ci cancelli del tutto, rendendoci inutili anche per questo ruolo residuale.

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