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lunedì 19 novembre 2018

Il blocco gialloverde verso una divaricazione?



Riferirò di una mia sensazione. Il blocco gialloverde si sta per disgregare. Una volta condivisi ed attuati i pochi punti che tengono insieme la piattaforma dei leghisti e dei pentastellati, ovvero il controllo delle frontiere e il contrasto all'austerità, emergono inevitabilmente le grandi differenze di visione e linea. D'altro canto, il M5s sta pagando la sua partecipazione al governo con una continua emorragia di voti e crescenti divaricazioni interne, che rischiano di sfasciarsi. Il richiamo alle armi di Di Battista non è casuale: atteso che Fico, per l'incarico istituzionale rivestito, non può spingersi più di tanto nella guerra al governo, e che di Maio è ovviamente legato a questo governo, perché con la sua fine finirà anche il suo ciclo di leader, Di Battista è l'unico che abbia le mani libere per avviare la guerra vera.

E peraltro un ritorno all'opposizione è l'unica strada che i 5 Stelle abbiano per mantenere l'unità interna, che le scelte di governo compromettono, stanti le loro grandi divisioni di linea, tipiche di un movimento socialmente così trasversale.

Salvini lo sa, e sta spingendo sull'acceleratore proprio perché dopo dicembre, quando la legge di bilancio sarà stata incassata, lo scenario cambierà (e non fatevi illusioni: la legge di bilancio passerà con un compromesso onorevole, qualcosa sarà data per tranquillizzare i mercati, di fatto già il programma straordinario di dismissioni di immobili pubblici e la clausola di salvaguarda per evitare aumenti del deficit/PIL in presenza di crescita inferiore alle previsioni, inseriti nell'ultima versione del ddl di bilancio, sono concessioni fatte e scritte nella legge).

D'altra parte, dopo il decreto-sicurezza e la legge di bilancio, non vedo che si stanno varando progetti di ampio respiro, tali da giustificare la prosecuzione del governo dopo dicembre, e Salvini sa che rimanere al governo per fare mera amministrazione significa logorarsi lentamente. Il suo problema è quello di capitalizzare, nell’hic et nunc, il grande consenso di cui gode adesso, ma che con il protrarsi dell’azioen di governo potrebbe scemare.

Con il Rosatellum - le simulazioni sono state ampiamente fatte - basta un 39-40% ben distribuito territorialmente per avere una maggioranza parlamentare. Se si va al voto a breve, Salvini può puntare sul 30%, che, insieme al 7-8% di Berlusconi ed al 4-5% dei Fratelli d'Italia, gli può consentire di avere il 41-42%, cioè una maggioranza di centrodestra a trazione salviniana, senza l'alleato scomodo pentastellato, e con Berlusconi che si dovrà acconciare ad un ruolo secondario, in cambio di qualcosa (una tutela dei suoi beni e delle sue aziende, magari in prospettiva la promessa di candidarlo al Quirinale).

Un centrodestra salviniano sarebbe, peraltro, molto diverso da quello berlusconiano cui abbiamo assistito per vent’anni. Avrebbe un progetto vagamente orbaniano, ovvero quello di una destra popolare antiliberista e nazionale. Già vedo i sinistrati arricciare il naso. Arrendetevi all’evidenza. Il Sol dell’Avvenire è tramontato e ci vorranno, ben che vada e se emerge un gruppo politicamente ed intellettualmente preparato immediatamente (cosa che non si vede all’orizzonte) almeno dieci anni per riaverlo. Probabilmente molti di più. Una destra orbaniana, in grado di riportare al centro del ragionamento politico il concetto di frontiera e di etnia, di controllare l’immigrazione più selvaggia, di contrastare il liberismo più sfrenato con politiche di difesa del patrimonio produttivo pubblico, della famiglia e della nazione è quanto di meglio si possa avere al momento. Il resto sono fole e sogni, e non vale la pena di lottare per dei sogni vaghi, che il mattino distrugge.

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