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martedì 25 dicembre 2018

Quali spazi di manovra ha ancora la sinistra? Per un entrismo di sinistra



E' oramai troppo tardi per pensare ad uno spazio sociale e politico nel quale ricostruire una sinistra autonoma, non socio-liberale come il Pd né radical-salottiera e di fatto culturalmente subordinata ai poteri globalisti, come il pulviscolo ex LeU ed ex PaP in cerca di sopravvivenza. Alla base di questo governo populista si è formato un blocco sociale, non diverso da quello formatosi in altri periodi storici di crisi e transizione del Paese, formato da piccola borghesia che vive di mercato interno più che di export, ceti medi ed operai o legati a questo mondo di piccole e medie imprese con mercato di riferimento domestico oppure genericamente impoveriti dalla crisi, sottoproletariato urbano.
Tale blocco sociale è molto solido perché è tenuto insieme da collanti potentissimi: la richiesta di assistenzialismo e di protezione si traduce in istanze di difesa del mercato interno e dei redditi, fino al giusto timore che l'immigrazione massiccia di poveri si traduca in esercito industriale di riserva, con pressioni al ribasso su lavoro e salario, oltre che esclusione dallo Stato sociale residualmente sopravvissuto dopo i tanti anni di austerity.
Poiché in politica la sovrastruttura è fondamentale, e quindi le istanze sociali devono tradursi in un immaginario simbolico, tali istanze si traducono in modo perfetto attraverso il recupero di suggestioni sovraniste e securitarie, che hanno una presa fortissima nell'immaginario collettivo. La sinistra, oltre che non avere più credibilità, non ha più un immaginario da offrire: perché o adotta quello dei populisti, alleandovisi (ovviamente in una posizione subordinata) oppure lo contrasta, rimanendo ancorata a quell'europeismo e immigrazionismo oramai (a giusto titolo) ritenuti la radice dei guai del Paese. La sinistra ha perso il treno.
Solo la destra popolare, in questa fase storica, poteva costringere la Trojka a negoziare da pari a pari un accordo di bilancio, ricostruendo, tramite un compromesso, una dignità politica nazionale ed evitando disfatte complete alla Tsipras, perché la destra, storicamente, ha una cultura della Patria e della Nazione nel suo Dna. La sinistra non poteva farlo, o perché esplicitamente traditrice del Paese e venduta a forze economiche e finanziarie transnazionali, o perché sovranista per modo di dire, ed incapace di uscire dall'asfittico recinto di un radicalismo internazionalista e libertario di facciata e bon ton. Il tempo per uscire da questo recinto mortale e costruire un qualche rapporto dialettico con i populismi, partendo da una posizione autonoma, è scaduto, gli eventi hanno superato ogni spazio di manovra residuo. Il superamento dello scoglio della legge di bilancio, con un compromesso di spesa in deficit al rialzo rispetto alle prescrizioni del Six Pack e tutti gli obiettivi fondanti il patto sottostante il blocco sociale (reddito di cittadinanza, quota 100, iniziale introduzione della flat tax, contrazione del sistema di accoglienza degli immigrati, maggiore securitarismo) nominalmente salvi, fa sì che oramai i populisti si sentano forti per aver acquisito autonomia e riconoscimento politico nella società italiana. Il prevedibile avanzamento che si verificherà a maggio, con le elezioni europee, chiuderà definitivamente ogni discorso.
Per carità, non è che le acque di questo governo siano tranquille, tutt'altro: il M5S, squassato da enormi divisioni interne e tributario di voti alla Lega, avrà bisogno, prima o poi, di chiudere l'esperienza di governo per tornare all'opposizione e recuperare lo spirito giacobino degli inizi, ricompattandosi. Salvini avrà bisogno della prova elettorale per affermare la sua egemonia sull'area di centrodestra e domare gli ultimi rigurgiti di orgoglio di un Berlusconi in declino. E' molto probabile che, dopo il voto di maggio, questo governo vada verso la dissoluzione programmata, imponendo a Mattarella le elezioni anticipate per mancanza di una maggioranza con la quale fare un governo tecnico (non credo che Fico abbia la leadership ed i numeri per promuovere una fronda pro-governo tecnico all'interno dei 5 Stelle). Alla fine, dopo l'approvazione della legge di bilancio e dei relativi provvedimenti attuativi, i due partner di governo hanno ben poco da fare ancora insieme, rispetto al contratto sottoscritto a maggio.
Ma, se anche questo governo sparirà, il blocco sociale che si è compattato attraverso l'esperienza dell'esecutivo gialloverde non si scioglierà. Ciò in ragione proprio degli interessi e dei simboli fondanti tale blocco che ho accennato in precedenza, che manterranno solido il patto fra i ceti sociali che compongono tale blocco. La questione sarà semplicemente quella di chiedersi chi raccoglierà la rappresentanza politico-parlamentare del blocco sociale in questione. Da questo punto di vista, la Lega ha una maggiore solidità organizzativa ed una migliore compattezza interna, tale da essere il candidato migliore ad assorbire gran parte di detto blocco sociale. Il M5S, in tale scenario, sarebbe destinato ad un ridimensionamento, tenendo elettoralmente perlopiù negli strati sociali più disagiati delle regioni del Mezzogiorno, dove la Lega ha, ed avrà per molti anni, difficoltà di penetrazione, e in segmenti di ceto medio subalterno sensibili alla retorica della lotta alla corruzione. E' anche possibile che tale M5S ridimensionato, lentamente, si sposti verso il Pd e la sinistra, condannandosi ad una opposizione senza fine. Ma ovviamente continuando a trattenere in corpo voti potenzialmente di sinistra.
I prossimi anni saranno appannaggio di una versione italiana dell'orbanismo, credo molto meno aggressiva di quest'ultimo rispetto alle libertà costituzionali (l'Italia ha una tradizione democratica ovviamente più consolidata rispetto all'Ungheria, ed i contrappesi sono maggiori) con una opposizione che continuerà ad essere ancorata ai principi del legalismo, dell'europeismo e del migrazionismo e, di conseguenza, di un liberismo moderato in politica economica e sociale. Una opposizione che, come negli anni di egemonia berlusconiana, si terrà insieme non con proposte programmatiche in grado di attrarre i ceti deboli, ma con la demonizzazione della figura dell'avversario, dando rappresentanza all'area garantita e benestante del Paese, alla finanza globale ed ai lavoratori del settore export oriented e/o eterodiretto della manifattura, essenzialmente oramai costituito dalle multinazionali estere che in questi anni hanno fatto shopping del patrimonio industriale italiano.
La sinistra, in questo quadro, non ha più lo spazio sociale per riorganizzarsi in un'area politica autonoma dotata di numeri significativi. Le rimane una sola possibilità per cercare di influire sugli eventi, posto che le istanze di solidarietà, uguaglianza e pacifismo rimangono comunque vive dentro la società: entrare, in forma organizzata e correntizia, dentro la Lega, con l'intento di costituirne l'ala sinistra, con una proposta programmatica più spostata sulle esigenze specifiche del segmento proletario e sottoproletario del blocco sociale della Lega, in una funzione che si proponga di esaltarle rispetto alla linea politica complessiva di questo orbanismo all'italiana in via di consolidamento. Invece, per quanto detto sopra, pensare di entrare nell'area populista con una forza politica socialista autonoma e dialettica, e con una logica coalizionale, è oramai impossibile e velleitario. La stessa Lega non avrebbe interesse a coltivare una simile coalizione. 
Viceversa, l'ingresso dentro la Lega potrebbe avvenire pian pianino, alla spicciolata, sia pur dentro una logica organizzata e con obiettivi precisi, andando, lentamente, a prendersi pezzi dell'organizzazione e costituendo, progressivamente ed in modo cauto, presidi organizzativi e comunicativi dentro il partito, dando ruolo anche a dirigenti, come Bagnai, un tempo vicini alla sinistra. Qualcosa di simile al vecchio entrismo. 
Non c'è niente di degradante o di umiliante nel cercare di influenzare dall'interno e da sinistra una linea politica che, in altri tempi, avrebbe potuto essere considerata avversaria. I tempi cambiano, i riferimenti sociali si spostano lungo linee di faglia nuove (dove, accanto alla linea capitale/lavoro, si impone anche, in parallelo, quella globale/nazionale).
Se si riconosce realisticamente che una linea politica diverrà dominante per i prossimi anni, ed i rapporti di forza sono quelli che sono, chi onestamente si riconosce nelle istanze del socialismo dovrebbe chiedersi se sia più onesto chiudersi identitariamente dentro il proprio piccolo mondo antico in via di sparizione, dove non parla più a nessuno, oppure tapparsi il naso e cercare di torcere, per quanto possibile, la linea egemone verso i bisogni di classe dei più fragili.



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