E' oramai troppo tardi
per pensare ad uno spazio sociale e politico nel quale ricostruire
una sinistra autonoma, non socio-liberale come il Pd né
radical-salottiera e di fatto culturalmente subordinata ai poteri
globalisti, come il pulviscolo ex LeU ed ex PaP in cerca di
sopravvivenza. Alla base di questo governo populista si è formato un
blocco sociale, non diverso da quello formatosi in altri periodi
storici di crisi e transizione del Paese, formato da piccola
borghesia che vive di mercato interno più che di export, ceti medi
ed operai o legati a questo mondo di piccole e medie imprese con
mercato di riferimento domestico oppure genericamente impoveriti
dalla crisi, sottoproletariato urbano.
Tale blocco sociale è
molto solido perché è tenuto insieme da collanti potentissimi: la
richiesta di assistenzialismo e di protezione si traduce in istanze
di difesa del mercato interno e dei redditi, fino al giusto timore
che l'immigrazione massiccia di poveri si traduca in esercito
industriale di riserva, con pressioni al ribasso su lavoro e salario,
oltre che esclusione dallo Stato sociale residualmente sopravvissuto
dopo i tanti anni di austerity.
Poiché in politica la
sovrastruttura è fondamentale, e quindi le istanze sociali devono
tradursi in un immaginario simbolico, tali istanze si traducono in
modo perfetto attraverso il recupero di suggestioni sovraniste e
securitarie, che hanno una presa fortissima nell'immaginario
collettivo. La sinistra, oltre che non avere più credibilità, non
ha più un immaginario da offrire: perché o adotta quello dei
populisti, alleandovisi (ovviamente in una posizione subordinata)
oppure lo contrasta, rimanendo ancorata a quell'europeismo e
immigrazionismo oramai (a giusto titolo) ritenuti la radice dei guai
del Paese. La sinistra ha perso il treno.
Solo la destra popolare,
in questa fase storica, poteva costringere la Trojka a negoziare da
pari a pari un accordo di bilancio, ricostruendo, tramite un
compromesso, una dignità politica nazionale ed evitando disfatte
complete alla Tsipras, perché la destra, storicamente, ha una
cultura della Patria e della Nazione nel suo Dna. La sinistra non
poteva farlo, o perché esplicitamente traditrice del Paese e venduta
a forze economiche e finanziarie transnazionali, o perché sovranista
per modo di dire, ed incapace di uscire dall'asfittico recinto di un
radicalismo internazionalista e libertario di facciata e bon ton. Il
tempo per uscire da questo recinto mortale e costruire un qualche
rapporto dialettico con i populismi, partendo da una posizione
autonoma, è scaduto, gli eventi hanno superato ogni spazio di
manovra residuo. Il superamento dello scoglio della legge di
bilancio, con un compromesso di spesa in deficit al rialzo rispetto
alle prescrizioni del Six Pack e tutti gli obiettivi fondanti il
patto sottostante il blocco sociale (reddito di cittadinanza, quota
100, iniziale introduzione della flat tax, contrazione del sistema di
accoglienza degli immigrati, maggiore securitarismo) nominalmente
salvi, fa sì che oramai i populisti si sentano forti per aver
acquisito autonomia e riconoscimento politico nella società
italiana. Il prevedibile avanzamento che si verificherà a maggio,
con le elezioni europee, chiuderà definitivamente ogni discorso.
Per carità, non è che
le acque di questo governo siano tranquille, tutt'altro: il M5S,
squassato da enormi divisioni interne e tributario di voti alla Lega,
avrà bisogno, prima o poi, di chiudere l'esperienza di governo per
tornare all'opposizione e recuperare lo spirito giacobino degli
inizi, ricompattandosi. Salvini avrà bisogno della prova elettorale
per affermare la sua egemonia sull'area di centrodestra e domare gli
ultimi rigurgiti di orgoglio di un Berlusconi in declino. E' molto
probabile che, dopo il voto di maggio, questo governo vada verso la
dissoluzione programmata, imponendo a Mattarella le elezioni
anticipate per mancanza di una maggioranza con la quale fare un
governo tecnico (non credo che Fico abbia la leadership ed i numeri
per promuovere una fronda pro-governo tecnico all'interno dei 5
Stelle). Alla fine, dopo l'approvazione della legge di bilancio e dei
relativi provvedimenti attuativi, i due partner di governo hanno ben
poco da fare ancora insieme, rispetto al contratto sottoscritto a
maggio.
Ma, se anche questo
governo sparirà, il blocco sociale che si è compattato attraverso
l'esperienza dell'esecutivo gialloverde non si scioglierà. Ciò in
ragione proprio degli interessi e dei simboli fondanti tale blocco
che ho accennato in precedenza, che manterranno solido il patto fra i
ceti sociali che compongono tale blocco. La questione sarà
semplicemente quella di chiedersi chi raccoglierà la rappresentanza
politico-parlamentare del blocco sociale in questione. Da questo
punto di vista, la Lega ha una maggiore solidità organizzativa ed
una migliore compattezza interna, tale da essere il candidato
migliore ad assorbire gran parte di detto blocco sociale. Il M5S, in
tale scenario, sarebbe destinato ad un ridimensionamento, tenendo
elettoralmente perlopiù negli strati sociali più disagiati delle
regioni del Mezzogiorno, dove la Lega ha, ed avrà per molti anni,
difficoltà di penetrazione, e in segmenti di ceto medio subalterno
sensibili alla retorica della lotta alla corruzione. E' anche
possibile che tale M5S ridimensionato, lentamente, si sposti verso il
Pd e la sinistra, condannandosi ad una opposizione senza fine. Ma
ovviamente continuando a trattenere in corpo voti potenzialmente di
sinistra.
I prossimi anni saranno
appannaggio di una versione italiana dell'orbanismo, credo molto meno
aggressiva di quest'ultimo rispetto alle libertà costituzionali
(l'Italia ha una tradizione democratica ovviamente più consolidata
rispetto all'Ungheria, ed i contrappesi sono maggiori) con una
opposizione che continuerà ad essere ancorata ai principi del
legalismo, dell'europeismo e del migrazionismo e, di conseguenza, di
un liberismo moderato in politica economica e sociale. Una
opposizione che, come negli anni di egemonia berlusconiana, si terrà
insieme non con proposte programmatiche in grado di attrarre i ceti
deboli, ma con la demonizzazione della figura dell'avversario, dando
rappresentanza all'area garantita e benestante del Paese, alla
finanza globale ed ai lavoratori del settore export oriented e/o
eterodiretto della manifattura, essenzialmente oramai costituito
dalle multinazionali estere che in questi anni hanno fatto shopping
del patrimonio industriale italiano.
La sinistra, in questo
quadro, non ha più lo spazio sociale per riorganizzarsi in un'area
politica autonoma dotata di numeri significativi. Le rimane una sola
possibilità per cercare di influire sugli eventi, posto che le
istanze di solidarietà, uguaglianza e pacifismo rimangono comunque
vive dentro la società: entrare, in forma organizzata e correntizia,
dentro la Lega, con l'intento di costituirne l'ala sinistra, con una
proposta programmatica più spostata sulle esigenze specifiche del
segmento proletario e sottoproletario del blocco sociale della Lega,
in una funzione che si proponga di esaltarle rispetto alla linea
politica complessiva di questo orbanismo all'italiana in via di
consolidamento. Invece, per quanto detto sopra, pensare di entrare
nell'area populista con una forza politica socialista autonoma e
dialettica, e con una logica coalizionale, è oramai impossibile e velleitario. La stessa Lega non avrebbe interesse a coltivare una simile coalizione.
Viceversa, l'ingresso dentro la Lega potrebbe avvenire pian pianino, alla spicciolata, sia pur dentro una logica organizzata e con obiettivi precisi, andando, lentamente, a prendersi pezzi dell'organizzazione e costituendo, progressivamente ed in modo cauto, presidi organizzativi e comunicativi dentro il partito, dando ruolo anche a dirigenti, come Bagnai, un tempo vicini alla sinistra. Qualcosa di simile al vecchio entrismo.
Non c'è niente di
degradante o di umiliante nel cercare di influenzare dall'interno e
da sinistra una linea politica che, in altri tempi, avrebbe potuto
essere considerata avversaria. I tempi cambiano, i riferimenti
sociali si spostano lungo linee di faglia nuove (dove, accanto alla
linea capitale/lavoro, si impone anche, in parallelo, quella
globale/nazionale).
Se si riconosce
realisticamente che una linea politica diverrà dominante per i
prossimi anni, ed i rapporti di forza sono quelli che sono, chi
onestamente si riconosce nelle istanze del socialismo dovrebbe
chiedersi se sia più onesto chiudersi identitariamente dentro il
proprio piccolo mondo antico in via di sparizione, dove non parla più
a nessuno, oppure tapparsi il naso e cercare di torcere, per quanto
possibile, la linea egemone verso i bisogni di classe dei più
fragili.
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