La domanda delle domande che
echeggia da sempre sui mercati finanziari, fra i policy maker ed il pubblico, è
se il debito pubblico sovrano di un determinato Paese sia sostenibile o meno.
Come mai il debito pubblico giapponese, che è al 200% del Pil, è sostenibile, e
quello ucraino, che è al 30%, non lo è? Da cosa dipende il concetto di
sostenibilità nel tempo del debito pubblico? Un recentissimo paper di Debrun,
Ostry, Willems e Wyplosz[1]
cerca non di dare risposte definitive, ma di sistematizzare i vari elementi che
compongono il concetto di “sostenibilità” del debito pubblico. Essa, come
appare evidente, non dipende dalla percentuale sul Pil, o, peggio ancora, dal
suo valore assoluto, come indicano gli stupidi ed angosciosi cartelli messi
nella stazione centrale di Milano, che ogni secondo fanno vedere la crescita
dell’entità assoluta del debito pubblico italiano. Così come non è vero che il “debito
pubblico non esiste”, come ritengono i sostenitori della sua monetizzazione
totale.
Gli autori del paper in questione
mettono in fila le seguenti questioni, per poter definire la sostenibilità del
debito pubblico:
a- Solvibilità
del governo e stabilità della traiettoria intertemporale del debito pubblico;
b- Credibilità
del governo nell’imporre politiche fiscali restrittive;
c- Condizioni
di liquidità del Governo, che però, fintanto che dura l’attuale fase di
espansione monetaria della Bce, non è un problema per l’Italia.
Gli autori stessi evidenziano
come tutta una serie di aspetti più specifici, come la composizione del debito
pubblico rispetto alle valute in cui è denominato, o rispetto alle
caratteristiche dei creditori (istituzionali o di mercato, interni o esteri) o
la sua struttura per maturità sono fondamentali nel determinarne la
sostenibilità. Tali aspetti, però, in qualche modo possono essere ricompresi
nelle categorie a), b) e c) sopra citate. Vediamo di analizzarle con maggiore
dettaglio.
Solvibilità del governo
L’evoluzione intertemporale del
debito pubblico (d) fra i tempi t-1 e t dipende dalla seguente equazione
Dt – Dt-1 = (Rt-Yt/1+Yt)Dt-1 – PBt,
dove:
Rt è il tasso di interesse medio
sul debito pubblico, Yt il tasso di crescita del Pil, PB il surplus primario
(cioè la differenza fra entrate fiscali e spesa pubblica al netto del pagamento
degli interessi sul debito).
Sostanzialmente, tale equazione
ci dice che il debito pubblico cresce nel tempo se il tasso di interesse medio
su tale debito cresce più rapidamente del tasso di crescita del Pil, che è
correlato all’incremento degli introiti fiscali, e se la crescita del fardello
da indebitamento è superiore a quella del surplus primario di bilancio.
Da tale semplice equazione, è
possibile inferire la condizione di sostenibilità nel medio periodo del debito
pubblico. Se parametrizziamo la risposta di politica fiscale al tempo t
rispetto ad un dato livello del debito pubblico nel tempo precedente, allora
avremo che PBt = βDt-1, dove 0<β<1, abbiamo che la risposta in termini di
politica fiscale, cioè di avanzo primario, è un moltiplicatore del debito pubblico
al tempo precedente.
Da tale espressione, ricaviamo che se β>
(Rt-Yt/1+Yt), cioè se la risposta di politica fiscale è più ampia del
coefficiente che, nell’equazione precedente, produce accumulazione intertemporale
di debito, allora il debito pubblico è sostenibile nel tempo.
Ciò significa che, se la risposta di
politica fiscale in termini di aggiustamento verso l’alto dell’avanzo primario supera
il differenziale (supposto positivo) fra tasso di interesse medio del debito
pubblico e tasso di crescita, allora il debito pubblico sarà sostenibile, perché
tenderà, nel tempo, ad aggiustarsi verso un trend decrescente.
Naturalmente, le previsioni su tasso
di crescita, tasso di interesse e avanzo primario devono essere non solo realistiche,
ma basate su dati di fatto, e la crisi del debito pubblico greco è esplosa
anche per previsioni realistiche basate su dati di bilancio truccati.
Credibilità
delle politiche fiscali e fiscal fatigue
Altrettanto naturalmente, le
previsioni di politica fiscale devono essere credibili, nella misura in cui i
mercati non crederanno mai ad ipotesi di avanzo primario troppo alte, che
sarebbero politicamente indigeribili e non fattibili. E qui veniamo alla
questione della credibilità del governo nel momento in cui impone politiche fiscali
restrittive per rendere sostenibile il debito pubblico, con i parametri sopra
definiti. Il tema è quello della “fiscal fatigue”, cioè dell’affaticamento dell’opinione
pubblica nell’accettare prolungati periodi di politiche fiscali restrittive. In
un grafico in cui le ascisse rappresentano i livelli di debito pubblico e le
ordinate i livelli di avanzo primario, la linea continua rappresenta la funzione
di reazione fiscale, ovvero i livelli di avanzo pubblico stabiliti dal governo
come reazione ad un determinato livello di debito pubblico. La linea
tratteggiata rappresenta il servizio totale per interessi sul debito pubblico,
ovviamente crescente al crescere del debito.
Il punto di intersezione A fra le due
curve rappresenta il punto di debito di equilibrio intertemporale, d*, verso il
quale si può far convergere l’economia: in tale punto, i livelli di avanzo
primario sono sufficienti a ripagare il servizio del debito, ed esso, quindi,
tenderà a non crescere ulteriormente. A sinistra del punto A, i livelli di
debito pubblico saranno così bassi da non stimolare una forte reazione di
politica fiscale. A destra del punto A, per livelli di debito più alti di d*,
il governo tenderà a fare politiche fiscali particolarmente restrittive, per
non farsi sfuggire la situazione di mano.
Tuttavia, se, nonostante tali
politiche fiscali restrittive, per shock macroeconomici sulla crescita o sul
tasso di interesse il debito arriva fino al punto d**, cioè all’intersezione
marcata con il punto B, la “fiscal fatigue” impedirà di esercitare interventi
fiscali ulteriormente restrittivi, e la curva di reazione fiscale tenderà ad
appiattirsi e divenire una retta orizzontale. A quel punto, ulteriori aumenti
del debito pubblico non potranno più essere contenuti dalla politica fiscale,
ed il tasso di interesse sul debito pubblico tenderà a schizzare verso l’infinito,
perché i premi per il rischio di investire in nuovi titoli del debito pubblico
diverranno tendenzialmente di entità incontenibile. Siamo nel caso del default
sovrano.
Debito
pubblico di equilibrio e di default
Gli
spazi fiscali disponibili
In realtà, tale situazione non si
realizzerà mai: nessuno consentirà che il debito arrivi fino a d**, perché gli
investitori sconteranno anticipatamente l’imminente default, e già al livello
di debito più basso marcato come dls, cioè al punto di intersezione C,
chiederanno un incremento del tasso di interesse sui nuovi titoli del debito
pubblico insostenibile. Il default avverrà per decisione del mercato prima
ancora di raggiungere il punto “automatico”.
Qui veniamo ad un ulteriore
punto: quello dello spazio fiscale. Fino a quanto uno Stato può permettersi di
ampliare il suo debito pubblico senza arrivare al fatidico punto dls, dove si
precipita nel default pilotato dai mercati? Una elaborazione del FMI sugli
spazi fiscali di un gruppo di Paesi, intesi come i margini disponibili per
abbassare le tasse e/o aumentare la spesa pubblica prima di finire in default,
prende in considerazione aspetti quali il livello medio di spead negli ultimi
12 mesi e negli ultimi 5 anni, la quota di debito pubblico detenuta dai non
residenti, la struttura per maturità del debito, l’entità degli asset
finanziari di proprietà pubblica.
La proiezione di tale modello per
l’Italia la colloca in uno spazio fiscale limitato, insieme a Paesi quali l’Argentina,
il Brasile, il Sudafrica e la Spagna, con un rischio moderato in termini di
disponibilità di nuovi finanziamenti dai mercati, ma elevato in termini di sostenibilità
futura del debito pubblico, cioè di suo incremento per non soddisfazione della
già citata condizione di equilibrio β> (Rt-Yt/1+Yt) per via di una futura “fiscal
fatigue” che allenterà le politiche fiscali.
Messa in questi termini, l’Italia
potrebbe, a bocce ferme, ed almeno per i prossimi anni, permettersi un
allentamento delle politiche fiscali sapendo che il rischio di non essere più
finanziata dai mercati in sede di rollover del suo debito sovrano è moderato. Ciò
però inevitabilmente comporterà un avvicinamento a livello critico dls, dove
tutto cambierà. A meno che il rilassamento delle politiche fiscali non comporti
un incremento di Yt, cioè del tasso di crescita dell’economia, oltre il tasso
di interesse sul debito sovrano. In effetti, sembra che un disavanzo pubblico
integralmente costituito da investimenti pubblici sia considerato “credibile”
dai mercati, comportando, ceteris paribus, un calo del tasso di interesse sul
debito.
Gli stress test condotti sull’Italia
dal Fmi evidenziano che il rischio più grande di esplosione del debito pubblico
derivi da uno shock sull’economia reale, cioè da una recessione economica. L’esplosione
del debito pubblico che ne deriverebbe sarebbe molto più significativa rispetto
a quella derivante da un incremento dei tassi di interesse sul mercato del debito
pubblico o da uno shock sul saldo primario. Il rischio potenzialmente più alto
è però quello combinato: bassa o negativa crescita economica accompagnata da un
aumento della spesa pubblica, evidentemente non in grado di invertire il ciclo
negativo.
Stress
test sul debito pubblico italiano per tipologia di shock
Fonte: Fmi
Conclusioni
La sostanza di tutto questo
ragionamento è la seguente:
a a) Non
sembrano esservi, nel breve periodo, rischi significativi di mancato rollover
del debito pubblico. Se la Bce dovesse proseguire nel piano di acquisto di
titoli del debito pubblico sul mercato secondario, tale rischio sarebbe anche
più basso;
bb) Tuttavia,
tali rischi potrebbero aggravarsi significativamente con l’attuale progetto di
riforma dell’ESM (meccanismo europeo di stabilità) che sembra suggerire agli
investitori l’intento, da parte di Francia e Germania, di creare un cordone
protettivo contro il potenziale rischio di default italiano, inducendo sui
mercati le classiche previsioni auto-realizzanti, aggravate dalla previsione di
ristrutturazione automatica del debito con “private sector involvement” in caso
di richiesta di accesso al nuovo Mes. Tale riforma è avvenuta lungo la vita del
precedente governo gialloverde, perché la prima versione fu proposta nel dicembre
2018, e poi approvata dal Consiglio del giugno 2019, con Governo gialloverde
già in carica. Non si capisce, quindi, come mai Bagnai e Borghi sbraitino oggi.
Dovevano farlo prima, quando erano al governo e porre il veto. Evidentemente, l’attuale
premier Conte non sembra in grado di affrontare la questione, ma è dubbio che
lo possa fare anche un eventuale premier Salvini. Dov’era quando tali proposte
furono avanzate? Era al Governo, ma non ha fatto granché;
c) Il
rischio grosso che corriamo è che la crescita del Pil prosegua lungo l’attuale
fase di stagnazione o, peggio, decresca per via di una nuova recessione. In tal
caso, il debito pubblico esploderebbe verso il punto di default, e la fiscal
fatigue sarebbe ancora più rilevante (come imporre politiche fiscali restrittive
ad un Paese in crisi economica?)
dd) Se
si vuole fare politiche fiscali espansive, esse devono basarsi su spesa
pubblica ad elevato moltiplicatore sulla crescita, tipicamente su spesa per
investimento, riducendo il ricorso a spesa corrente ed a trasferimenti fiscali
poco produttivi sotto il profilo dell’impatto sui consumi e sulla crescita
(come ad esempio gli sgravi sui redditi medio-alti, tipici di sistemi come la
flat tax);
ee) La
spesa per investimenti va promossa rimuovendo i lacci e lacciuoli amministrativi
che rendono i tempi di completamento dei cantieri biblici. Non basta più fare
qualche ritocco al Codice degli Appalti, occorre una forte riduzione dei
controlli amministrativi e giurisdizionali ex ante, salvo poi recuperarli ex
post con particolare severità (non deve cioè essere consentito di pensare che i
controlli si ammorbidiscano, ma solo che essi avverranno ad opera consegnata, e
non in itinere. Se ad opera consegnata, in fase di collaudo, si riscontreranno
difetti o inadeguatezze di fabbricazione, l’opera verrà demolita ed i suoi
costruttori severamente puniti, ma perlomeno l’effetto di spesa sulla crescita
sarà stato conseguito);
ff)
Un rischio moderato di default rimane sulla
possibilità di shock sui tassi di interesse. Da questo punto di vista, c’è poco
da fare, se non sperare che la Bce non abbandoni del tutto la politica dei
tassi di interesse bassi sinora condotta, moderando molto la successiva ed
inevitabile fase di aumento che si verificherà, anche in considerazione di un
rischio inflazionistico inesistente.
Tutte queste considerazioni, ovviamente, valgono se non siamo già alla vigilia di una nuova recessione globale indotta proprio dai debiti sovrani. In quel caso, finiremo come la Grecie o giù di lì.
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