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mercoledì 6 maggio 2020

Un programma socialista per l'immigrazione


Io credo che la questione migratoria non possa essere evitata da chi si volesse proporre di ricostruire un socialismo con basi realmente popolari ed in grado di parlare al Paese, non ad astratti ideali. Tralasciando il partito del buonismo e della sanatoria (per il quale c'è già una casa, LeU, che niente ha a che vedere con il socialismo, e volendo anche Iv, visto l'impegno che la Bellanova sta profondendo per avere manodopera immigrata in agricoltura a 5 euro netti all'ora) ed ovviamente evitando di cadere in una posizione speculare a quella delle destre. Bisogna partire dalla consapevolezza che l’immigrazione di massa è favorita o per motivi di business, perché ampiamente privatizzata ed affidata a filiere imprenditoriali che, dietro il paravento cooperativo e “no profit”, rivelano solidi legami con centri di potere politico e famelici interessi economici. Ed anche per motivi di ristrutturazione al ribasso del mercato del lavoro, tramite la creazione di esercito industriale di riserva che spinga verso il basso salari e diritti: proprio il dibattito di questi giorni sulla regolarizzazione di circa 600.000 clandestini da utilizzare nei campi, quando la gravissima crisi economica spinge milioni di italiani, a detta degli stessi datori di lavoro, a chiedere tale occupazione, dovrebbe far capire a chi voglia intraprendere una ricostruzione di una sinistra di classe che pelosi internazionalismi mascherati da solidarismi vuoti non consentono di recuperare consenso popolare. 
Come avviare una riflessione su questo tema? Cercando di adottare un approccio analitico che dal contesto identifichi le criticità e le priorità e vada alle azioni. Il contesto, temo, è che l'Italia continuerà ad essere terra di immigrazione di massa almeno per i prossimi 30-40 anni, atteso che non ci saranno segnali di superamento della transizione demografica dell'Africa subsahariana entro il 2050 e che gli effetti della desertificazione e dell'impronta antropica su acqua e risorse alimentari non cesseranno di aggravarsi. Nei prossimi 30 anni, la popolazione africana raddoppierà, dagli attuali 1,2 miliardi a 2,5 miliardi di abitanti. Di fronte a questa situazione, le previsioni ambientali, soprattutto per i paesi della fascia del Sahel, sono inquietanti: un aumento medio delle temperature ad un ritmo medio di 1,5 volte superiore alla media globale, che potrebbe portare ad un aumento di 3-5 gradi delle temperature medie nel 2050, con effetti disastrosi sul regime delle piogge e sull’agricoltura, in Paesi in cui, a volte, anche il 70-80% della popolazione attiva è impiegata nel comparto primario. Sul versante urbano, il 62% delle città africane, già oggi, subisce problemi legati ad eccessive emissioni atmosferiche ed a carenza di risorse idriche. Le previsioni sono chiare: entro il 2050, circa 75 milioni di africani saranno spinti ad emigrare in Europa esclusivamente per questioni ambientali, oltre a quelli che emigreranno per guerre, persecuzioni, ecc. 

Anche se il nostro Paese dovesse subire un impoverimento, legato al mancato superamento del suo gap di competitività ed al rallentamento della crescita dell'Europa intera prevedibile nei prossimi anni, la sua ricchezza continuerebbe, in termini relativi, a crescere rispetto a quella dell'Africa, per via dell'aggravamento degli squilibri demografici ed ambientali del continente africano, continuando così ad essere attrattivo per i migranti. Nei prossimi anni, è altresì prevedibile una cessazione pressoché totale dei meccanismi di solidarietà europea, già estremamente marginali, sul tema del contrasto e dell'accoglienza, per cui ci troveremo sempre più soli ad affrontare il tema. Una stabilizzazione dell'area nordafricana, essenziale per contenere i flussi, appare ad oggi piuttosto complessa: quand'anche la possibile sconfitta militare di Haftar dovesse condurre ad una stabilizzazione della Libia, ci sarà da affrontare la sostanziale perdita di influenza politico-diplomatica subita dall'Italia dal 2011 ad oggi, mentre Algeria e Tunisia sono Paesi in bilico verso nuove fasi di profonda destabilizzazione, forse di guerra civile. D'altro canto, continui e crescenti flussi di immigrazione non potrebbero che destabilizzare completamente il mercato del lavoro italiano, pesare in modo esiziale sulle risorse dello stato sociale, produrre crescente senso di alienazione nei ceti popolari autoctoni, dando maggior consenso a soluzioni spicce. 

Di fronte all'enormità della questione, bisognerebbe, quantomeno, adottare un approccio che sia di mediazione fra rigore, contenimento di flussi che rischiano di divenire incontrollabili e tutela dei diritti umani e civili. Magari partire da alcuni punti fermi, che provo ad elencare: 

a) produrre uno sforzo eccezionale per immaginare un piano di aiuto all’Africa, che parta da presupposti diversi da ciò che si è fatto sinora, al di là delle risorse finanziarie da mettere in campo. Non servono le imprese multinazionali che delocalizzano, non servono gli incubi metropolitani circondati da bidonville, non servono i progetti per le grandi infrastrutture dirette verso il nulla, e nemmeno parodie di democrazie occidentali con Parlamenti e pseudo-istituzioni saccheggiate da bracconieri di elefanti in doppio petto. Servono forme di stabilizzazione politica (e quindi interetnica ed interreligiosa) ragionevoli e rispettose delle condizioni locali, affidate non a esorcisti sorti da pseudo elezioni finto democratiche, ma a leader sufficientemente competenti, onesti ed inclusivi rispetto ai clan diversi dal loro. Servono i micro progetti per scavare un pozzo artesiano in ogni villaggio, per connettere i villaggi con insegnanti ambulanti, per realizzare ambulatori medici di comunità, dove insegnare le regole minime dell'igiene e della prevenzione, corsi per formare professionalmente una classe di tecnici e professionisti locali nei settori prioritari (agricoltura ed allevamento, servizi pubblici, ambiente, turismo, ecc.);

b) Serve una politica coattiva di contenimento delle nascite alla cinese per impedire la trappola della povertà e disinnescare la bomba demografica. E serve una politica ambientale, stavolta sì globale, per fermare la desertificazione e la contrazione delle falde acquifere, che sta colpendo durissimo il Sahel;
c) riconoscere che la privatizzazione della filiera migratoria ha prodotto danni e creato occasioni per comportamenti opportunisti se non criminogeni. Il trasferimento dei migranti non va affidato a equivoche Ong, il salvataggio in mare è compito della Guardia Costiera. Hotspot e centri di accoglienza di primo e secondo livello sono servizi pubblici, non da affidare a fameliche cooperative, anche cattoliche e vaticane, che vedono nell’immigrazione una fonte di reddito, e che quindi spingono per una crescita dei flussi e dei soldi;

d) serve una politica repressiva che, dalla propaganda dissuasiva ad emigrare nei Paesi di origine, fino al presidio, anche militare, delle vie di transito (con opportuni accordi, anche economici, con clan e tribù che controllano le vie di transito dei migranti), impedisca un inutile e dannoso - dannoso in primis per l'Africa - esodo delle risorse più pregiate e giovani verso un assurdo e deludente sogno europeo, che si converte o in una morte in mare o in una detenzione in un hotspot o in un incubo nelle bidonville di Rosarno o di Villa Literno. Nei Paesi nordafricani di imbarco, servono accordi specifici con i governi locali, mirati a fornire assistenza economica in cambio di controlli dei porti e delle spiagge per evitare le partenze, progetti di potenziamento delle forze di Guardia Costiera, utilizzo delle capacità AWACS e di pattugliamento d’altura e costiero delle nostre Forze Armate per intercettare barconi e riportarli sulle coste africane in sicurezza, anche attraverso corridoi concordati con i governi locali;

e) la politica dei respingimenti deve essere rapida ed efficace. Le procedure per il riconoscimento dello status di immigrato devono essere rapide, i ricorsi dissuasi con offerte economiche o di formazione professionale nel Paese di origine, Marina ed Aeronautica devono prestare le loro risorse per i rimpatri forzosi;
f) la griglia dell’accoglienza deve prevedere esclusivamente figure giuridiche ben precise: la protezione internazionale (rifugiati politici e protezione sussidiaria) di tipo stabile, la protezione per motivi sociali, calamità naturali, cure mediche o per motivi speciali (come da attuale Decreto Sicurezza) di tipo provvisorio e di breve durata, rinnovabile solo per casi eccezionali da verificare di volta in volta. Si potrà prevedere che chi può dimostrare di essere rimasto in Italia da almeno 3 anni senza aver commesso reati, seppur irregolare, possa essere regolarizzato;

g) le politiche di respingimento dei clandestini devono superare il costoso e pericoloso modello dei Cie, che crea carceri speciali molto costose e gravi violazioni dei diritti umani. L’espulsione dei clandestini non deve più avvenire, come oggi, solo “sulla carta”, con foglio di via del questore o del prefetto, ma deve essere fattiva: chi viene identificato deve essere espulso entro un mese, prevedendo forme di detenzione ordinaria nel periodo provvisorio. Se il Paese di origine non lo vuole riprendere, si deve procedere ad una proporzionale riduzione degli aiuti economici al Paese stesso. L’immigrazione economica va fortemente disincentivata. I decreti flussi vanno rivisti finalizzandoli all’accoglienza di profili professionali molto specifici, per i quali le imprese possono dimostrare che vi è insufficiente offerta di lavoro dentro il Paese, o per profili professionali altamente qualificati;

h) per chi rimane da noi, occorrono strumenti di accoglienza dignitosi, che evitino lo sfruttamento. I lavoratori devono essere inquadrati nei contratti collettivi di lavoro nazionali, la lotta a caporalato e lavoro nero deve essere totale e spietata, anche varando una legislazione speciale molto repressiva contro  i datori di lavoro irregolari, l’accesso ai servizi welfaristici ed alla scuola pubblica deve avvenire su base egualitaria rispetto agli autoctoni, il circuito degli Sprar va riattivato per fornire competenze linguistiche e culturali di base necessarie all’integrazione, occorrerà prevedere finestre di sanatoria per i figli degli immigrati nati in Italia, i ricongiungimenti familiari devono essere favoriti. La libertà di culto e di utilizzo della propria lingua va riconosciuta, ma solo nella sfera privata, non in quella scolastica, lavorativa o nel rapporto con la P.A. Pratiche culturali proibite dal nostro ordinamento, come i matrimoni combinati, l’infibulazione, lo sfruttamento femminile o minorile, la prostituzione, anche per motivi religiosi o consuetudinari, il sacrificio di animali per motivi religiosi o divinatori, ecc. vanno proibite. 

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