La Germania è entrata in
recessione: l'indice di produzione del manifatturiero, su base congiunturale, è
caduto a 92, da 113 di novembre, tornando sui livelli del 2011. L'indice degli
ordinativi è caduto di 10 punti in un mese, ed è un indice con valore
previsionale, nel senso che se cadono gli ordini è da aspettarsi un ulteriore
calo della produzione nei mesi successivi.
La Germania, ovviamente,
costituisce solo la punta di un iceberg, nel senso che l’intera economia globale
sta entrando in una fase di forte rallentamento, ed i motivi sono molteplici,
non dipendenti dalla volontà tedesca: ritorno di forme di protezionismo,
rallentamento macroeconomico cinese, alle prese con le contraddizioni del suo
processo di crescita, entrata in crisi di alcune economie emergenti, l’effetto
della Brexit sulla fiducia degli investitori, ecc.
Non vi è però dubbio che l’Europa
si trova in una condizione di particolare fragilità, all’ingresso in questa
nuova fase di rallentamento macroeconomico, perché anni di austerità selvaggia
hanno minato la tenuta dei mercati interni, hanno ridotto al minimo la capacità
di intervento degli Stati nell’economia con funzione anticiclica, hanno fatto
crescere, anziché diminuire, i debiti sovrani, hanno peggiorato la qualità dei
sistemi scolastici, formativi e delle reti pubbliche di R&S ed innovazione
tecnologica.
La crisi colpisce, quindi, un’Europa
già strutturalmente malata, come una polmonite che infetta un malato già
debilitato da un’altra malattia cronica. Questa situazione di particolare
debolezza è, a tutti gli effetti, colpa della Germania. Come più volte detto,
in un’area valutaria comune di tipo asimmetrico, in cui, cioè, le performance
economiche e di finanza pubblica dei diversi Stati aderenti sono differenziate,
la tenuta di tale area dipende dalla capacità dei membri “deboli” di fare
politiche di allineamento dei parametri macroeconomici, inflazionistici e di
finanza pubblica rispetto al Paese leader. Si tratta, cioè, di un gioco di tipo
“follow the leader”, ed è chiaro che, se in tutti questi anni la Germania ha
condotto politiche economiche interne di tipo deflazionistico, gli altri Stati
membri, con finanze pubbliche più fragili, sono stati costretti a strangolare le
loro economie con un’austerità raddoppiata. Di fatto, l’ordoliberismo tedesco
ha innescato una spirale senza fine di austerità e liberismo, che ha indebolito
l’intero continente, incrementando gli effetti deleteri dei cicli discendenti
dell’economia globale, come quello in cui siamo entrati.
Il vero problema è politico,
prima ancora che economico (alla faccia di quelli che considerano morta la
politica). La Germania, da un lato, non ha voluto intaccare, nemmeno in minima
parte, il suo modello produttivo basato su un basso costo dei fattori rispetto
alla loro produttività, una inflazione marcata a uomo, investimenti
esclusivamente mirati alla competitività dal lato dell’offerta, ed un modello
basato sulla Hausbank che, per le evidenti e crescenti difficoltà finanziarie del
sistema creditizio tedesco a tutti i livelli (dalla Db alle Sparkassen di
proprietà dei Lander) è divenuto insostenibile. Tale modello produttivo
indebolisce il mercato interno e si basa in modo essenziale su quello estero. L’enorme
avanzo di bilancia commerciale registrato dalla Germania in questi anni, ed il
sistematico rifiuto tedesco di abbassarlo, nonostante i criteri del MIP
(macroeconomic imbalance procedure), approvati dai tedeschi stessi, sono la
conseguenza naturale di questa scelta, una scelta politica, avallata anche dai
socialdemocratici, peraltro.
D’altro lato, la Germania (in
questo aiutata dalla Francia, che ha condotto la politica del cane che lecca la
mano al padrone per avere una focaccia) ha rifiutato qualsiasi coinvolgimento
in una governance realmente europea della crisi economica, ricacciando
qualsiasi progetto comune, dal redemption fund agli eurobond, di
mutualizzazione dei debiti pubblici nazionali, al fine di evitare
religiosamente qualsiasi forma di condivisione del rischio che sarebbe stata,
di fatto, necessaria per costruire la gamba mancante dell’Europa, ovvero una
politica di bilancio comune. Pur di non rischiare nemmeno in futuro di cadere
in qualche forma di condivisione del rischio, i tedeschi hanno consentito al
loro ex Ministro delle Finanze in uscita, il tetro Shaeuble, di diffondere un “non
paper” nel quale si proponeva addirittura un rating dei debiti sovrani dei
singoli Stati membri, che avrebbe prodotto, se attuato, una crisi finanziaria
mondiale, di tipo terminale.
Adesso che i nodi arrivano al
pettine, e la combinazione fra ordoliberismo ostinato e rifiuto della
condivisione del rischio sta trascinando l’intera area euro in un rallentamento
che ha il sapore di una recessione, i tedeschi sfuggono di nuovo alle loro
responsabilità di leadership: firmano con la Francia, ad Aquisgrana, un
trattato che di fatto esautora le istituzioni della Ue, creando un asse privilegiato
Berlino-Parigi che esclude il resto dell’Europa dalle decisioni importanti, e,
con una disinvoltura impressionante, spedisce il suo Ministro dell’Interno,
Altmaier, ad esplorare i territori a lungo abbandonati e tornati vergine delle
partecipazioni statali, della politica industriale programmata e del
capitalismo di stato. Con impressionante disinvoltura, Altmaier, alfiere dell’ordoliberismo
ortodosso, oggi afferma che “i mercati, da soli, non possono risolvere tutti i
problemi e non possono dare agli investimenti la direzione ideale verso i
settori e le tecnologie emergenti, che però ad oggi non hanno ancora mercati di
riferimento”. E, come al solito, propone un asse privilegiato con la Francia
per sviluppare progetti industriali comuni, soprattutto nelle nuove tecnologie
di Industria 4.0, tramite investimenti pubblici e/o privati, ma incanalati da
forme di programmazione pubblica. E chiede a gran voce che l’Antitrust europea
si incarichi di bloccare progetti di merger and acquisition di imprese tedesche
da parte di investitori stranieri.
Una piccola postilla: quando
pubblicai questo articolo http://www.linterferenza.info/contributi/la-battaglia-anti-euro-ancora-possibileauspicabile/
venni insultato e aggredito da una masnada di anti-euro fanatici. Ma in realtà
questo articolo, posso dirlo, anticipava il piano Altmaier. Era basato su una
semplice constatazione: non potendo sostenere i costi economici e sociali di
una uscita dall’euro, era molto meglio ripristinare la capacità di fare
politiche industriali nazionali, a guida pubblica, andando a colpire gli
articoli del Trattato che impediscono tale facoltà, in nome di un approccio da
economia sociale di mercato. E’ interessante vedere che chi ieri mi criticava
perché proponevo il ritorno a politiche industriali nazionali, oggi si complimenta
con il ministro tedesco. Mi conferma nella certezza che la stupidità e la
malafede sono qualità dominanti negli esseri umani.
Fatto questo breve inciso, e
tornando al discorso principale, sostanzialmente, il giochino è chiaro: dopo
aver rovinato l’Europa per difendere la Vaterland e per evitare qualsiasi
interferenza esterna, di fronte ai danni che questa politica ha creato, persino
alla stessa economia domestica tedesca, i germanici scaricano ciò che resta
dell’Europa, per rinchiudersi, difensivamente, nelle mura del loro Stato,
mettendo il gendarme francese a custodire il “limes”.
Non c’è niente di nuovo. Culturalmente,
la Germania, pur avendo da sempre avuto gli strumenti economici ed industriali,
oltre che di forte senso patriottico, per esercitare un ruolo imperiale, ha
sempre interpretato la funzione imperiale con l’ottica di Bismarck: rifiutando
l’idea stessa di impero, che necessariamente comporta una fusione fra gli
assetti sociali, culturali ed economici dei vincitori e dei vinti (tanto che,
ad esempio, nell’impero romano, i veri vincitori, culturalmente, erano i greci)
la logica bismarckiana del Deutschland Uber Alles vede nei partner soltanto
delle aree di sfruttamento e scaricamento delle tensioni sociali ed economiche
interne, una sorta di lebensraum economico a servizio del popolo eletto, che
non può essere minimamente scalfito nei suoi interessi, figli di un Destino
Superiore. La stessa adesione tedesca alla Ue è stata da sempre minata dalla
dottrina Ehrard, che, pur di perseguire gli interessi nazionali tedeschi, privilegiava
il rapporto autonomo con gli USA piuttosto che con gli altri Paesi europei. I tedeschi
sono fatti così, non è possibile cambiarli, e purtroppo, alla lunga, diventa dannoso
conviverci, senza far valere con forza i propri interessi, anche andando allo
scontro.
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