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sabato 9 febbraio 2019

I limiti del bismarckismo ed i pericoli per l'Europa


La Germania è entrata in recessione: l'indice di produzione del manifatturiero, su base congiunturale, è caduto a 92, da 113 di novembre, tornando sui livelli del 2011. L'indice degli ordinativi è caduto di 10 punti in un mese, ed è un indice con valore previsionale, nel senso che se cadono gli ordini è da aspettarsi un ulteriore calo della produzione nei mesi successivi.
La Germania, ovviamente, costituisce solo la punta di un iceberg, nel senso che l’intera economia globale sta entrando in una fase di forte rallentamento, ed i motivi sono molteplici, non dipendenti dalla volontà tedesca: ritorno di forme di protezionismo, rallentamento macroeconomico cinese, alle prese con le contraddizioni del suo processo di crescita, entrata in crisi di alcune economie emergenti, l’effetto della Brexit sulla fiducia degli investitori, ecc.
Non vi è però dubbio che l’Europa si trova in una condizione di particolare fragilità, all’ingresso in questa nuova fase di rallentamento macroeconomico, perché anni di austerità selvaggia hanno minato la tenuta dei mercati interni, hanno ridotto al minimo la capacità di intervento degli Stati nell’economia con funzione anticiclica, hanno fatto crescere, anziché diminuire, i debiti sovrani, hanno peggiorato la qualità dei sistemi scolastici, formativi e delle reti pubbliche di R&S ed innovazione tecnologica.
La crisi colpisce, quindi, un’Europa già strutturalmente malata, come una polmonite che infetta un malato già debilitato da un’altra malattia cronica. Questa situazione di particolare debolezza è, a tutti gli effetti, colpa della Germania. Come più volte detto, in un’area valutaria comune di tipo asimmetrico, in cui, cioè, le performance economiche e di finanza pubblica dei diversi Stati aderenti sono differenziate, la tenuta di tale area dipende dalla capacità dei membri “deboli” di fare politiche di allineamento dei parametri macroeconomici, inflazionistici e di finanza pubblica rispetto al Paese leader. Si tratta, cioè, di un gioco di tipo “follow the leader”, ed è chiaro che, se in tutti questi anni la Germania ha condotto politiche economiche interne di tipo deflazionistico, gli altri Stati membri, con finanze pubbliche più fragili, sono stati costretti a strangolare le loro economie con un’austerità raddoppiata. Di fatto, l’ordoliberismo tedesco ha innescato una spirale senza fine di austerità e liberismo, che ha indebolito l’intero continente, incrementando gli effetti deleteri dei cicli discendenti dell’economia globale, come quello in cui siamo entrati.
Il vero problema è politico, prima ancora che economico (alla faccia di quelli che considerano morta la politica). La Germania, da un lato, non ha voluto intaccare, nemmeno in minima parte, il suo modello produttivo basato su un basso costo dei fattori rispetto alla loro produttività, una inflazione marcata a uomo, investimenti esclusivamente mirati alla competitività dal lato dell’offerta, ed un modello basato sulla Hausbank che, per le evidenti e crescenti difficoltà finanziarie del sistema creditizio tedesco a tutti i livelli (dalla Db alle Sparkassen di proprietà dei Lander) è divenuto insostenibile. Tale modello produttivo indebolisce il mercato interno e si basa in modo essenziale su quello estero. L’enorme avanzo di bilancia commerciale registrato dalla Germania in questi anni, ed il sistematico rifiuto tedesco di abbassarlo, nonostante i criteri del MIP (macroeconomic imbalance procedure), approvati dai tedeschi stessi, sono la conseguenza naturale di questa scelta, una scelta politica, avallata anche dai socialdemocratici, peraltro.
D’altro lato, la Germania (in questo aiutata dalla Francia, che ha condotto la politica del cane che lecca la mano al padrone per avere una focaccia) ha rifiutato qualsiasi coinvolgimento in una governance realmente europea della crisi economica, ricacciando qualsiasi progetto comune, dal redemption fund agli eurobond, di mutualizzazione dei debiti pubblici nazionali, al fine di evitare religiosamente qualsiasi forma di condivisione del rischio che sarebbe stata, di fatto, necessaria per costruire la gamba mancante dell’Europa, ovvero una politica di bilancio comune. Pur di non rischiare nemmeno in futuro di cadere in qualche forma di condivisione del rischio, i tedeschi hanno consentito al loro ex Ministro delle Finanze in uscita, il tetro Shaeuble, di diffondere un “non paper” nel quale si proponeva addirittura un rating dei debiti sovrani dei singoli Stati membri, che avrebbe prodotto, se attuato, una crisi finanziaria mondiale, di tipo terminale.
Adesso che i nodi arrivano al pettine, e la combinazione fra ordoliberismo ostinato e rifiuto della condivisione del rischio sta trascinando l’intera area euro in un rallentamento che ha il sapore di una recessione, i tedeschi sfuggono di nuovo alle loro responsabilità di leadership: firmano con la Francia, ad Aquisgrana, un trattato che di fatto esautora le istituzioni della Ue, creando un asse privilegiato Berlino-Parigi che esclude il resto dell’Europa dalle decisioni importanti, e, con una disinvoltura impressionante, spedisce il suo Ministro dell’Interno, Altmaier, ad esplorare i territori a lungo abbandonati e tornati vergine delle partecipazioni statali, della politica industriale programmata e del capitalismo di stato. Con impressionante disinvoltura, Altmaier, alfiere dell’ordoliberismo ortodosso, oggi afferma che “i mercati, da soli, non possono risolvere tutti i problemi e non possono dare agli investimenti la direzione ideale verso i settori e le tecnologie emergenti, che però ad oggi non hanno ancora mercati di riferimento”. E, come al solito, propone un asse privilegiato con la Francia per sviluppare progetti industriali comuni, soprattutto nelle nuove tecnologie di Industria 4.0, tramite investimenti pubblici e/o privati, ma incanalati da forme di programmazione pubblica. E chiede a gran voce che l’Antitrust europea si incarichi di bloccare progetti di merger and acquisition di imprese tedesche da parte di investitori stranieri.
Una piccola postilla: quando pubblicai questo articolo http://www.linterferenza.info/contributi/la-battaglia-anti-euro-ancora-possibileauspicabile/ venni insultato e aggredito da una masnada di anti-euro fanatici. Ma in realtà questo articolo, posso dirlo, anticipava il piano Altmaier. Era basato su una semplice constatazione: non potendo sostenere i costi economici e sociali di una uscita dall’euro, era molto meglio ripristinare la capacità di fare politiche industriali nazionali, a guida pubblica, andando a colpire gli articoli del Trattato che impediscono tale facoltà, in nome di un approccio da economia sociale di mercato. E’ interessante vedere che chi ieri mi criticava perché proponevo il ritorno a politiche industriali nazionali, oggi si complimenta con il ministro tedesco. Mi conferma nella certezza che la stupidità e la malafede sono qualità dominanti negli esseri umani.
Fatto questo breve inciso, e tornando al discorso principale, sostanzialmente, il giochino è chiaro: dopo aver rovinato l’Europa per difendere la Vaterland e per evitare qualsiasi interferenza esterna, di fronte ai danni che questa politica ha creato, persino alla stessa economia domestica tedesca, i germanici scaricano ciò che resta dell’Europa, per rinchiudersi, difensivamente, nelle mura del loro Stato, mettendo il gendarme francese a custodire il “limes”.
Non c’è niente di nuovo. Culturalmente, la Germania, pur avendo da sempre avuto gli strumenti economici ed industriali, oltre che di forte senso patriottico, per esercitare un ruolo imperiale, ha sempre interpretato la funzione imperiale con l’ottica di Bismarck: rifiutando l’idea stessa di impero, che necessariamente comporta una fusione fra gli assetti sociali, culturali ed economici dei vincitori e dei vinti (tanto che, ad esempio, nell’impero romano, i veri vincitori, culturalmente, erano i greci) la logica bismarckiana del Deutschland Uber Alles vede nei partner soltanto delle aree di sfruttamento e scaricamento delle tensioni sociali ed economiche interne, una sorta di lebensraum economico a servizio del popolo eletto, che non può essere minimamente scalfito nei suoi interessi, figli di un Destino Superiore. La stessa adesione tedesca alla Ue è stata da sempre minata dalla dottrina Ehrard, che, pur di perseguire gli interessi nazionali tedeschi, privilegiava il rapporto autonomo con gli USA piuttosto che con gli altri Paesi europei. I tedeschi sono fatti così, non è possibile cambiarli, e purtroppo, alla lunga, diventa dannoso conviverci, senza far valere con forza i propri interessi, anche andando allo scontro.

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