sabato 16 febbraio 2019

Regionalismo rafforzato fra mito e realtà



Sull'autonomia differenziata stanno girando autentiche balle, messe in giro, purtroppo, oltre che dai soliti professionisti della controinformazione di sinistra, anche dai pentastellati, che stanno commettendo un errore politico grave, nel tentativo di cavalcare demagogicamente il loro elettorato nel Sud. Qui il tema non è quello della secessione dei ricchi, o della deprivazione di risorse del povero Sud. Queste sono solo fregnacce, e basta. Soltanto fregnacce, dal punto di vista finanziario.
La bozza approntata dal confronto fra Ministero e le tre Regioni del Lombardo-Veneto prevede che le funzioni trasferite siano finanziate tramite il cosiddetto residuo fiscale, ovvero la differenza fra gettito fiscale generato a valere sulle imposte nazionali e spesa pubblica per il finanziamento delle funzioni da trasferire, valutata al costo storico. Esemplificando: poniamo che, ad oggi, una Regione generi 100 di gettito fiscale sulle imposte nazionali, interamente incassato dallo Stato, e che riceva 20 dallo Stato sotto forma di trasferimenti per la gestione di una funzione per la quale c’è competenza concorrente ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Il residuo fiscale, pari a 80, è interamente incassato dallo Stato. Con il nuovo meccanismo, la Regione, che genera sempre 100 di gettito, non riceve più i 20 di trasferimento dello Stato, ma paga questi 20 direttamente di tasca sua, perché a quel punto sono divenuti costi di una funzione di competenza propria. Rimangono quindi ancora una volta gli 80 euro che, esattamente come avviene oggi, vengono incassati dallo Stato per finanziare le sue funzioni e fare perequazione territoriale.
Non è neanche vero che aumenteranno le risorse trattenute dalle tre Regioni autonomistiche all’aumentare del gettito, perchè se il gettito arriva, poniamo, a 110, la Regione continuerà a pagare la funzione trasferita per 20, poiché il criterio rimane quello del costo storico. Significa solo che il residuo che incassa lo Stato crescerà a 90.
Anche il rischio che, in futuro, il costo storico tenda a slittare verso l’alto per (presunte) inefficienze gestionali delle Regioni, sarà neutralizzato dalla progressiva entrata a regime del criterio del costo standard: il costo di funzioni identiche, auspicabilmente corretto per differenziali territoriali o locali che incidono sull’efficienza, sarà identico per tutte le Amministrazioni, statali o regionali, che dovranno attenervisi.
Personalmente, e qui concordo con i 5 Stelle, auspico che tale omogeneizzazione avvenga sui fabbisogni standard valutati sui Lep (livelli essenziali delle prestazioni) piuttosto che sui costi standard. Valutare il costo delle funzioni su parametri di servizio alle popolazioni piuttosto che meramente contabili fa una enorme differenza: è qui che risiede una diferenza di impostazione ideologica di fondo: riviene a chiedersi se la spesa pubblica debba finanziare i bisogni dei cittadini, o una esigenza di equilibrio del bilancio. Naturalmente, io sono per la prima risposta, e contrario alla seconda.

Il meccanismo è comunque neutrale dal punto di vista finanziario, e non penalizza nessuno. Non c’è nessuna ruberia dei ricchi sui poveri. Il punto vero è un altro, e verte su un ragionamento circa il regionalizzare completamente materie come la programmazione scolastica, la sanità, le infrastrutture o l’energia. Questo è il punto, perché tramite questo meccanismo, e il progressivo aumento delle Regioni che verranno a chiedere l’autonomia rafforzata, si realizzerà un cambiamento strutturale della forma dello Stato, superando un regionalismo confuso ed inefficiente, per realizzare uno Stato federale.
Anche su questo aspetto, però, si registrano posizioni confuse e piuttosto assurde, basate su una sorta di sovranismo aprioristico. La Germania è uno Stato federale, e non per questo i cittadini tedeschi ed i loro dirigenti politici non hanno un fortissimo senso della Patria e dell'interesse nazionale. Lo stesso può dirsi degli USA. Il patriottismo ed il senso dell'interesse nazionale superiore non dipende dagli assetti di governance, ma da fattori storici e culturali sedimentati in un popolo. L'Italia è stata, per quasi tutta la sua storia unitaria, e certamente per più di un secolo dall'unità fino alla attuazione del regionalismo negli anni Settanta, uno Stato fortemente centralista, e ciò non ha condotto ad una parallela crescita del sentimento nazionale degli italiani, che restano un popolo piuttosto esterofilo e non di rado innervato da sentimenti autorazzisti, o comunque di un ingiustificato disprezzo per sé stesso.
Il problema della crescita del sentimento nazionale non passa per le maggiori o minori autonomie regionali o locali, così come lo sviluppo del Mezzogiorno passa solo parzialmente dai trasferimenti di uno Stato centralizzato onnisciente, perché altrimenti, con il flusso di trasferimenti pervenuti dal Centro dall'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno ad oggi, il Sud Italia sarebbe la California. Se una maggiore programmazione centrale delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno è auspicabile, anche una maggiore responsabilizzazione delle sue classi dirigenti locali, di fronte alle popolazioni, è fondamentale, perché sino ad oggi esse hanno potuto beneficiare di una condizione perversa di notabilato: spendere, per meccanismi di consenso, soldi di cui non erano, se non marginalmente, responsabili per la rendicontazione, in quanto provenienti da Bruxelles e da Roma.

Senza voler toccare il nervo delicato dei difetti storici del processo di unificazione nazionale, e delle grandi diversità interne al nostro Paese, che sono valori da preservare e non da distruggere, evidentemente né lo Stato centralista, così caro alle nostre élite liberiste (non ultimo Mario Monti) né lo Stato regionalista, sprofondato nel caos e nella lite fra livelli istituzionali, hanno fornito prestazioni convincenti.


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