La pista neofascista: le ipotesi
Con puntualità tutta italiana,
uno dei grandi misteri giudiziari ancora non del tutto risolti, quello del
Mostro di Firenze, ricompare in questa torrida estate, con una nuova pista, per
la verità citata dai giornali e smentita dalla Procura di Firenze: la pista
neofascista, che mira a inserire i delitti del Mostro dentro la più generale
strategia della tensione, che insanguinò il Paese per quasi vent’anni, e nello
specifico con l’obiettivo di mostrare al Paese la presunta “inefficacia” delle Forze
dell’Ordine nel garantire sicurezza, creando un clima di terrore, incertezza e
sfiducia nelle istituzioni. Tale pista, come detto smentita ufficialmente dalla
Procura, non è nuova: se ne è parlato in un libro del criminologo Aurelio
Mattei “Coniglio il martedì”, pubblicato nel 1993, ed è da sempre sostenuta
dall’avvocato delle famiglie delle due vittime francesi del Mostro, Vieri
Adriani.
Tutto ruota attorno ad un signore
molto anziano e dalla vita spericolata, un ex legionario che ha combattuto in
Cambogia e in Algeria, e da sempre legato agli ambienti di estrema destra. Costui,
che negli anni di operatività del mostro viveva a Vicchio, come i compagni di
merende, non è nuovo agli inquirenti: già nel 1985 e nel 1994 entrò nelle
indagini, tramite due perquisizioni nel suo domicilio. Nel corso della prima
perquisizione, condotta pochi giorni dopo il delitto Scopeti ed effettuata
perché il soggetto rientrava fra i tantissimi che, potenzialmente, potevano
rientrare in un vago profilo psicologico del mostro, furono ritrovati numerosi
articoli di giornale che riferivano delle gesta del mostro. Nella seconda,
furono ritrovati diversi proiettili calibro 22 Winchester Serie H, che erano
usciti di produzione da 13 anni. Proprio il tipo di proiettile utilizzato per
gli omicidi del mostro. Trattandosi di elementi meramente circostanziali e che
di per sé non dimostravano niente (gli articoli sul mostro custoditi in casa potevano
essere semplicemente l’effetto di una curiosità morbosa, i proiettili, benché
fuori produzione, avevano avuto una certa diffusione commerciale, essendo
utilizzabili anche nel tiro a segno sportivo) l’uomo uscì dall’indagine rapidamente,
per poi rientrarvi adesso.
Oltre che sui legami politici di
questo ex legionario, oggi rimesso sotto indagine, la pista dell’eversione
neofascista si basa su elementi vaghi, suggestivi ma niente più che evocativi. In
primis, la coincidenza delle date: l’omicidio Pettini-Gentilcore, del 14
settembre 1974, si svolge poche ore dopo una celebrazione, con tanto di marcia
di partigiani, della liberazione di Vicchio dal nazifascismo. La stessa
vittima, la Pettini, era figlia di un ex partigiano ed attivista del PCI
locale. Per la prima volta, l’omicidio ha natura maniacale: il corpo della
donna viene brutalmente straziato e sottoposto ad umiliazioni, come se l’assassino
avesse qualcosa di personale, o un motivo di particolare odio. Tutto questo
accanimento (che non aveva avuto luogo nell’omicidio precedente, risalente al
1968) è stato da alcuni accostato alle brutali torture condotte dalle SS di
Reder durante l’eccidio di Vinca, esattamente trent’anni prima. Anche se in
verità durante questo episodio, le vittime vennero impalate, e non sottoposte
alle violenze cui fu sottoposta la Pettini. Ancora: nel 1981 il mostro colpisce
due volte: la prima avviene due settimane dopo la scoperta delle liste segrete
di iscritti alla P2 del toscano Licio Gelli.
Altro elemento è costituito dai
numerosi depistaggi che le indagini, negli anni, hanno subito, ivi compreso il presunto
ritrovamento, nel 2011, della pistola usata dal mostro nell’armadio della sezione
di P.G. dei carabinieri di Potenza (si accertò successivamente che non era l’arma
dei delitti). Tali depistaggi hanno fatto pensare alla “mano” dei servizi
segreti, come avvenuto in altre inchieste legate alla strategia della tensione.
Il coinvolgimento del Sisde divenne manifesto quando il criminologo Francesco Bruno,
nominato consulente tecnico della difesa di Pietro Pacciani, dichiara, durante
una udienza processuale del 1994, di essere collaboratore dei servizi. Lo stesso
Bruno si renderà poi autore di una poco convincente ricostruzione del profilo
del mostro, sulla base della teoria del “killer solitario”: un uomo mai individuato d'intelligenza
superiore alla media, mosso da delirio religioso e suggestioni moralistiche. Una
ipotesi incompatibile con le mutilazioni sessuali inflitte alle vittime, che
propendono più per il profilo del “lust murderer” (suggerito dall’Fbi) che per
l’assassino motivato da fattori religiosi e moralistici.
Vanno infine menzionate le
simpatie fasciste proclamate durante il processo da uno dei compagni di
merenda, il “Torsolo” Vanni, e che potrebbero essere interpretate come un segno
di vicinanza ad ambienti eversivi di estrema destra che, in quegli anni,
attraverso l’empolese Mario Tuti, imperversavano nelle campagne della Valdarno.
L’esistenza del secondo livello
La verità è che, nonostante i
tentativi di Pierluigi Vigna di chiudere gli esiti del processo al solo primo
livello dei “compagni di merende”, è piuttosto ovvio che esista un secondo
livello mai scoperto, e che ha motivato l’insistenza con cui il PM Canessa, pur
se trasferito a Pistoia, ha proseguito ad indagare[1].
I compagni di merenda erano, a partire dal “Vampa” Pacciani, individui intellettualmente
o mentalmente minorati. Mario Vanni, detto “Torsolo” (in dialetto toscano, non
designa solo una conformazione fisica esile, ma anche una certa ingenuità) era
un alcolista. “Katanga” Lotti era affetto da un deficit mentale diagnosticato
ed era il classico scemo del villaggio, incapace di svolgere qualsiasi lavoro e
completamente sostenuto dalla Caritas locale, Pucci soffriva di oligofrenia e
deficit cognitivi. Una simile combriccola non sarebbe riuscita, lasciata a se
stessa e senza una intelligenza superiore che la guidasse, a farla franca per
un periodo così lungo (dal 1968 al 1985) riuscendo anche a far sparire
definitivamente l’arma dei delitti. Il Vampa era un uomo profondamente violento
e perverso: fu infatti condannato per l’omicidio preterintenzionale di un amante
della sua ragazza, nel 1951, e tornò in galera nel 1987 per stupro nei
confronti delle figlie e ripetute violenze domestiche contro la moglie. Nel frattempo,
si era reso protagonista di numerose risse: in una di queste fece fare 26
giorni di ospedale ad un guardiacaccia. Un uomo così collerico ed impulsivo
difficilmente avrebbe potuto mantenere il sangue freddo, senza farsi scoprire,
per tutti quegli anni, se non fosse stato controllato da una mente superiore. E
poi vanno menzionate le enormi disponibilità economiche in capo a Pacciani: 157
milioni di lire in banca, più cospicui investimenti per ristrutturare
completamente la casa, ed altri due appartamenti di proprietà. Troppa roba, per
un semplice agricoltore diretto, anche se estremamente tirchio, come era in
effetti. Entrate delle quali il Pacciani non fu mai capace di fornire
spiegazioni attendibili agli inquirenti, e che fanno pensare a pagamenti per la
partecipazione come manovalanza ai delitti del mostro. Va notato che anche il
Vanni, pur essendo un semplice postino, vantava disponibilità economiche
anomale.
Ma sono le circostanze della
morte di Pacciani a dimostrare in modo lampante l’esistenza di un secondo
livello. Il Vampa morì nella sua abitazione il 22 febbraio del 1998, proprio alla
vigilia dell’inizio del nuovo processo contro di lui, a causa della somministrazione
di un farmaco antiasmatico fortemente controindicato per lui (che non soffriva
di asma ed era invece affetto da una malattia cardiaca). Un farmaco ottenibile
solo tramite prescrizione medica, e che nessun medico della zona gli aveva prescritto,
né lo avrebbe fatto, stanti le condizioni cardiache dell’uomo. Il cadavere
venne trovato con i pantaloni abbassati e la maglietta sollevata, come se
qualcuno avesse voluto umiliarlo post mortem, ricordando le sue caratteristiche
di pervertito sessuale. E tale modalità di ritrovamento del cadavere può
indicare una sorta di avvertimento pseudo mafioso agli altri “compagni di
merenda”, inducendoli a tenere la bocca chiusa. Secondo le testimonianze dei
vicini di casa, da quando era stato scarcerato grazie alla sentenza di
assoluzione in appello, Pacciani non era più lo stesso: invece di essere il
solito rodomonte aggressivo, sembrava molto spaventato, e la notte si barricava
in casa, chiudendo porte e finestre. Il giorno in cui morì, però, porte e
finestre di casa erano spalancate. Le conclusioni dell’indagine, che parlarono
di morte accidentale, non convincono.
Ma la pista neofascista è poco credibile, molto meno di quella,
abbandonata, della setta satanica
Se quindi esiste un secondo
livello, quello che però non mi trova d’accordo è che esso sia costituito da
elementi eversivi e deviati in una logica di strategia della tensione. Gli ultimi
delitti del mostro, risalenti al 1984-1985, si verificano quando oramai tale
strategia è stata completamente abbandonata, ed anche le tensioni legate alla
scoperta della P2 e all’affaire Banco Ambrosiano si sono spente. L’eventuale
coinvolgimento del Sisde si può spiegare con la rilevanza che la questione del
mostro assunse nell’opinione pubblica, e non è detto che i vari depistaggi
siano opera sua. L’appartenenza alla destra dell’ex legionario più volte
indagato non significa che effettivamente la destra sia coinvolta, ammesso e
non concesso che egli abbia veramente qualcosa a che vedere con i delitti. La coincidenza
fra date dei delitti ed eventi nazionali o locali sopra descritte possono
essere meramente circostanziali. Inoltre il Vampa era un ex partigiano
comunista, che rimase legato al PCI anche negli anni postbellici. Difficile che
un gruppo di estrema destra si potesse servire di lui.
A mio avviso, è un peccato aver
abbandonato l’ipotesi della setta satanica (che poi potrebbe anche, incidentalmente,
avere relazioni con ambienti politici di estrema destra)[2].
Benché tale ipotesi non abbia portato a frutti processuali definitivi, e sia
stata criticata nettamente da un libro dell’avvocato Filastò (che però a mio avviso
è viziato dall’intento di dimostrare l’innocenza dei compagni di merenda –
Filastò era il difensore di Vanni) essa si basa su elementi di fatto indiscutibili:
gli oggetti ed i simboli esoterici ritrovati in almeno due casi nei pressi dei
luoghi degli omicidi, che non avevano alcun motivo di trovarsi in piena
campagna, il “penchant” per l’esoterismo del Pacciani (in casa sua furono
ritrovati libri di magia nera e satanismo, lo stesso inoltre frequentava un
mago locale in una cascina dove la vox popolare parlava di incontri satanici ed
orge), l’intercettazione telefonica e le lettere anonime che legano
esplicitamente il Pacciani all’omicidio/suicidio verificatosi nel 1985, poche
settimane dopo l’ultima uccisione del mostro, del dottor Narducci, un medico
perugino per il quale è stata raggiunta una verità processuale di omicidio e di
relazioni, non meglio specificate, con gli ambienti in cui sono maturati i
delitti del mostro[3]. Certo oramai
il tutto è caduto in prescrizione, però sono convito che sia ancora necessaria
una ricerca della verità, per motivi storici, che getti una luce sulle
patologie di un pezzo della società italiana.
[1]
Personalmente dò per scontato che i compagni di merenda siano stati coinvolti,
sia pur come manovalanza (e forse alcuni di loro soltanto come guardoni), nei
delitti. Pacciani fu trovato in possesso del numero di targa di una coppietta
che soleva appartarsi in uno dei luoghi dei delitti, diversi testimoni lo
videro sui luoghi dei delitti mentre faceva il guardone, furono rinvenuti nella
sua casa numerosi articoli sul mostro e fotografie pornografiche con pubi –
oggetto di specifiche attenzioni da parte del mostro - segnati a matita,
inoltre l’uomo scriveva la parola Repubblica con una sola b, come l’anonimo che
inviò ai magistrati inquirenti una lettera con una porzione del seno sinistro
di una delle vittime del mostro. Infine, va rilevata l’intercettazione
telefonica fatta a Katanga Lotti, il 24 marzo 1996. In tale telefonata, Lotti,
parlando con Filippa Nicoletti, una prostituta con cui aveva avuto rapporti,
sembrerebbe aver ammesso di essere stato presente sulla scena dei delitti del
1984 e del 1985, e di non aver detto niente alla polizia.
[2]
Sono peraltro convinto, in questo concordando con l’avvocato Vieri Adriani, che
i delitti del mostro iniziano da quello del 1974. L’omicidio del 1968, infatti,
presenta caratteristiche specifiche e non più replicate in quelli successivi,
ovvero l’assenza di atti maniacali e di violenza sessuale sui cadaveri. Difficilmente
un assassino sadico si sarebbe privato di tali atti, che costituiscono il fine
di un omicidio di questo genere. L’omicidio del 1968 potrebbe quindi essersi
effettivamente consumato nell’ambito di un delitto d’onore condotto da elementi
della criminalità sarda. Il mostro potrebbe poi essersi appropriato dell’arma,
magari rinvenuta dopo essere stata abbandonata, per i successivi delitti.
[3]
Per avvalorare l’ipotesi del suicidio, il cadavere del Narducci fu sostituito
con quello di uno sconosciuto.