venerdì 29 maggio 2020

Il reddito universale: un vecchio progetto per un nuovo mondo



Gli effetti dell'epidemia sul mercato del lavoro, su scala mondiale, sono devastanti. Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO Monitor: COVID-19 and the world of work. Fourth edition, maggio 2020) nel 2020 il numero di ore lavorate nel mondo diminuirà di quasi l'11% rispetto ai livelli pre-crisi, il che equivale ad una scomparsa di circa 305 milioni di posti di lavoro a tempo pieno, che saranno bruciati su scala globale.

Purtroppo, una simile distruzione di lavoro, per i ben noti meccanismi di isteresi della disoccupazione, non sarà recuperabile in breve tempo, quando tornerà la ripresa. I tassi di disoccupazione rimarranno persistentemente più alti dei livelli pre-crisi anche a seguito della prevista ripresa globale del 2021. Secondo il Fmi (World Economic Outlook, aprile 2020), infatti, il tasso di disoccupazione dell'area-euro rimarrà nel 2021 attorno all'8%, dal 6,6% del 2019. Quello statunitense si attesterà al 9%, dal 3,7%, dopo essere schizzato oltre il 10% nel presente anno, il che equivale ad un vero disastro, che probabilmente peserà sulla campagna elettorale per le presidenziali.

Ad essere colpiti saranno soprattutto i giovani, già più fragili per la maggiore concentrazione nei settori produttivi più colpiti dalla crisi (turismo e ristorazione, commercio, manifatturiero, servizi immobiliari ed amministrativi, trasporti e logistica). Ben il 17% di loro, infatti, ha perso il lavoro durante l'epidemia. Alla perdita di lavoro, si associa un altro ingrediente micidiale, ovvero l'interruzione delle attività educative e formative. Percentuali di giovani oscillanti fra l'86% e l'88%, nel mondo sviluppato, segnalano l'interruzione delle attività formative o della istruzione tecnica e professionale durante l'epidemia. La combinazione fra perdita del lavoro e interruzione formativa produrrà un cocktail letale di aumento di giovani tagliati fuori sia dal mercato del lavoro che dalla formazione, i cosiddetti N.E.E.T., un esercito di emarginati perenni, senza gli strumenti per riaccedere all'integrazione socio-lavorativa, che porranno un evidente problema sociale per lunghi anni a venire, stante la loro giovane età.

La tragedia in atto nel mercato del lavoro, legata all'epidemia, in realtà anticipa la pesante riduzione occupazionale innescata dalla rivoluzione tecnologica in atto. Prima della pandemia, infatti, si stimava che la sola diffusione dell'intelligenza artificiale collegata alla robotica avrebbe distrutto 375 milioni di posti di lavoro. Negli Stati Uniti, secondo Frey ed Osborne (The Future of Employment, how susceptible are jobs to computerisation?, Oxford Martin School, 2013), il 47% dei lavoratori è a rischio di perdita del lavoro per i processi di automazione nei prossimi 10-20 anni. Una stima analoga, in una forchetta che arriva sino al 47%, riguarda il mercato del lavoro della Ue. Ed a essere colpite non saranno soltanto le professioni più dequalificate e ripetitive, come si crede. La nuova generazione di macchine avrà la capacità di imparare, seppur entro i limiti del teorema di Goedel (chi pensa a macchine pienamente "umane" nel senso più profondo del termine rimarrà deluso, cfr. R. Achilli, Il turbocapitalismo all'assalto dell'essenza della vita e del'umanità, giugno 2014, su sinistrainrete.info) e minaccerà quindi anche mestieri di medio livello di complessità, come quello di autista, di cassiere di banca, di commesso, di bibliotecario, ecc.

Complessivamente, i settori più coinvolti, in termini di sostituzione di lavoro umano con quello artificiale, saranno gli stessi nei quali sono stati colpiti in misura molto più dura i giovani lavoratori durante la presente epidemia di Covid: la ristorazione ed il turismo, il commercio, la logistica ed i trasporti, i servizi di pulizia ed i servizi alla persona, i servizi amministrativi, le mansioni operaie di bassa e media qualificazione nel manifatturiero.

In sostanza, gli effetti dell'epidemia di Covid stanno anticipando le conseguenze che la rivoluzione cibernetica in atto avrebbe comunque prodotto in un arco temporale di 10 o forse 20 anni. Distruggono posti di lavoro producendo una disoccupazione di lungo periodo, non integralmente riassorbibile nel medio termine, anche se, ovviamente, a lungo termine gli effetti della rivoluzione tecnologica generano nuove professionalità, oggi inimmaginabili, riducendo la disoccupazione tecnologica e ribaltando le prospettive. Ma è chiaro che ciò dipende anche, in modo cruciale, dalla capacità degli occupati attuali di riconvertirsi professionalmente tramite la formazione, il che, però è in contrasto con il prevedibile aumento del bacino globale di N.E.E.T. (un bacino già ampio prima della crisi sanitaria, stimato dall'ILO attorno ai 267 milioni di giovani a livello mondiale) che, come detto, si sta profilando.

Prima che la rivoluzione cibernetica produca effetti strutturali positivi sul mercato del lavoro, dunque, dovremo prepararci necessariamente ad una transizione, in cui le chance di permanenza o di reingresso nel mercato del lavoro saranno fortemente diseguali all'interno delle società più avanzate, come la nostra. I prossimi 10-20 anni vedranno quindi aumentare il bacino degli esclusi permanenti, bruceranno, di fatto, una intera generazione, che si andrà a sommare a quella dei millennials, già provata da precarietà, impoverimento e riduzione delle prospettive esistenziali. E non lo dico io, lo dice la comunicazione sull'intelligenza artificiale della Commissione Europea pubblicata nell'aprile del 2018. Vi si afferma, infatti, che "l’UE deve concentrare gli sforzi sull’aiuto ai lavoratori nelle occupazioni che probabilmente subiranno le maggiori trasformazioni o scompariranno per effetto dell’automazione, della robotica e dell’IA. Ciò significa anche garantire l’accesso di tutti i cittadini, compresi i lavoratori subordinati e autonomi, alla protezione sociale, in linea con il pilastro europeo dei diritti sociali". 

Tuttavia, niente viene spiegato in merito al modo in cui, concretamente, dovrà avvenire tale accesso alla protezione sociale. E' infatti di tutta evidenza che la disoccupazione strutturale, generata dal coronavirus prima ancora che l'intelligenza artificiale potesse sortire appieno i suoi effetti, riduce la base contributiva dei sistemi assicurativi contro la disoccupazione e la povertà. A parità di funzionamento dei sistemi di protezione sociale dei diversi Stati, vi saranno meno risorse, quindi prestazioni meno generose (ed ovviamente l'invecchiamento demografico delle società europee aggraverà la situazione). D'altra parte, persino la vocazione liberista della Commissione, quindi inevitabilmente ottimistica circa gli effetti dell'innovazione tecnologica, paventa le conseguenze sociali della progressiva emarginazione di milioni di lavoratori non più utili nei nuovi processi produttivi ("se non affrontato prontamente e in modo proattivo, tale fenomeno potrebbe esacerbare le ineguaglianze tra persone, regioni e settori dell’UE") e, certo, una strategia mirata unicamente alla sia pur indispensabile formazione permanente per riqualificare gli skill dei lavoratori alle nuove tecnologie ed ai nuovi mestieri che esse creeranno non può bastare per ridurre tali potenziali squilibri, senza una parallela azione di tipo assistenziale. 

 Il rischio è quello di trovarsi precipitati, senza adeguata preparazione, dentro una contraddizione stritolante fra, da un lato, una società nella quale l'identificazione e l'inserimento sociale dell'individuo continuerà a dipendere dalla sua posizione lavorativa, sempre più minacciata per i più deboli ed i meno pronti ad accedere al sistema della formazione di nuove competenze, e, dall'altro, l'inevitabile dato che tale possibilità di ingresso "lavoristico" sarà, almeno per i prossimi 10 o 20 anni, sempre più ridotta. Si rischia seriamente di creare una società neo-comunale in cui i garantiti, coloro che svolgono una professione ad alto livello di ocmpetenze specialistiche e/o di creatività e progettualità, si chiudano dentro le mura della cittadella, mentre milioni di emarginati, deprivati dalla possibilità di accedere alle nuove competenze, premeranno dall'esterno, privati di identità sociale e abbandonati in una landa di miseria esistenziale e morale.

Dentro tale contraddizione strutturale deve trovare posto una proposta di un nuovo socialismo. E' dentro la faglia delle contraddizioni e delle conseguenti sofferenze sociali che il socialismo trova, da sempre, la sua ragion d'essere. Non si può non pensare che, per tenere in piedi la cittadella degli inclusi e il contado degli esclusi, sarà necessario pensare a strumenti di sostegno esistenziale, di tipo monetario, permanenti ed universalistici, accompagnati da strumenti di formazione professionale digitale e cibernetica e di orientamento verso le profesioni nascenti dell'IA, necessari per aprire le porte di quella cittadella. Uno strumento di reddito di cittadinanza accompagnato da percorsi di formazione, qualificazione e riqualificazione professionale, sostenuti fiscalmente dagli abitanti della cittadella, che dovranno sopportare una riduzione del loro benessere per alimentare il contado, prima che il contado, nella disperazione, bruci tutto in una apocalisse luddistica che, come ogni luddismo, non porterà nessun vantaggio nemmeno a chi lo pratica. 




sabato 16 maggio 2020

L'abolizione del contante: l'ennesimo danno firmato M5s-Fatto Quotidiano


In un momento in cui la domanda per consumi è crollata su livelli subsahariani, qual è la priorità dei pentastellati e del loro referente mediatico, ovvero Il Fatto Quotidiano? Abolire il contante!!! Così anche quelle categorie sociali che non hanno facilità con l'uso delle carte di credito (ad es. i pensionati) vengono tagliate fuori dal ciclo della spesa. Una bella misura prociclica per aggravare ulteriormente la recessione. Naturalmente, per non farsi mancare niente, lanciano un bell’appello on line (quindi maliziosamente fatto in modo da tagliare fuori l’opinione di chi non è on line, e quindi non saprebbe utilizzare la moneta elettronica, distorcendo la rappresentatività della platea) mettendo in bella mostra due o tre nomi di magistrati di punta, non esattamente esperti di macroeconomia. Secondo il Centro Studi Confindustria, la spesa per consumi degli over 65, la categoria con maggiore difficoltà ad assimilare meccanismi di pagamento elettronico, vale circa 200 miliardi, circa il 20% del totale dei consumi delle famiglie italiane. Tagliare del 20% la spesa per consumi nella furia ideologica di eliminare il contante, in un momento di crisi economica così profonda, è semplicemente uno stupido suicidio. 
E allora perché commettere questo suicidio?
L’Italia è uno dei Paesi a minor intensità di utilizzo della moneta elettronica. Con una media europea di circa 108 transazioni elettroniche per residente nel 2017, l’Italia è ultima, dietro alla Grecia, con circa 48 transazioni per residente (fonte: Centro Studi Confindustria su dati Bce). Ad influire su tale situazione vi sono numerosi fattori: l’alto costo delle transazioni bancarie e delle commissioni delle carte di credito, la bassa diffusione di postazioni Pos e Atm nel circuito commerciale, fattori culturali legati al digital divide di ampie fasce di popolazione (non è facile insegnare alla vecchietta ad utilizzare moneta elettronica e conto on line, quando spesso non sa nemmeno accedere ad Internet). 
Il presunto “vantaggio” della moneta elettronica, secondo i suoi sostenitori, consisterebbe nella tracciabilità dei flussi di pagamento, che renderebbe impossibile occultare fatturato e/o effettuare pagamenti illeciti (ad es. il pagamento del pizzo nel racket). Tuttavia, ad un esame più attento dei fatti, tale vantaggio è limitato. La composizione interna dell’evasione fiscale italiana è la seguente (fonte:...): dei circa 180 miliardi di evasione fiscale, 78,2 derivano dalla criminalità organizzata, 60,4 dalle medie e grandi imprese e “solo” 42,5 miliardi provengono dai soggetti più piccoli, ovvero individui che fanno lavoro nero o doppio lavoro, micro imprese, lavoratori autonomi. Nell’attuale crisi, questi 42 miliardi sono sostanzialmente evasione di sopravvivenza da parte di gente che, se pagasse il dovuto, morirebbe di fame. 
I 60 miliardi di evasione delle big company sono al riparo dagli effetti dell’introduzione della moneta elettronica. Tale evasione, infatti, deriva da meccanismi finanziari sofisticati, essenzialmente costituiti dalla creazione di fondi neri, tramite scatole cinesi societarie, in paradisi fiscali o Paesi ad elevatissima tutela del segreto bancario, transitano già dalle banche e tramite meccanismi di trasferimento elettronico dei fondi, mascherati, ad esempio, dietro falsi acquisti o transazioni inesistenti e/o pagamenti intrasocietari fasulli. Su tale tipologia di evasione l’effetto della moneta elettronica è inesistente. 
Le medie imprese evadono essenzialmente senza fare uso di flussi monetari, falsificando i bilanci (aumentando fittiziamente i valori delle scorte, dei fondi di svalutazione dei crediti e dell’ammortamento, per ridurre il reddito di esercizio fiscalmente imponibile) o agendo con prestanome che producono fatturazioni fittizie. 
Lo stesso vale per gran parte dei 78 miliardi di evasione legata ad attività criminale e mafiosa.  A livello di grandi organizzazioni mafiose, infatti, il riciclaggio del denaro sporco avviene mediante meccanismi non dissimili da quelli analizzati per le big company, oppure tramite il gioco d’azzardo on line, gestito da società e server ubicati fuori dal territorio nazionale, in Stati con normativa fiscale molto favorevole, in cui la tassazione delle vincite sfugge alla legislazione italiana. Il gioco d’azzardo on line consente anche il fenomeno del “chip dumping”: un giocatore, intenzionato a far sparire proventi illeciti, acquista gettoni di gioco con una carta di credito clonata e li scarica sul conto di un altro giocatore, un complice ubicato fuori dalla legislazione fiscale italiana. O tramite il gioco d’azzardo fisico, nei bar, effettuato con macchinette distaccate dalla connessione on line con Agenzia delle Entrate, o mediante il meccanismo dei ticket (si versa al concessionario del gioco la somma in denaro, ottenendo in cambio ticket per giocare, che possono essere riconvertiti in denaro, o scambiati con altri giocatori, quasi fossero una moneta parallela, in cambio di beni o servizi). 
Ma, ribattono i soliti ingenui (si fa per dire…), la moneta elettronica può contrastare la microcriminalità di strada, ad esempio lo spaccio di stupefacenti. Niente di più falso. Una volta abolito il contante, lo spacciatore può farsi pagare in natura, in beni o servizi (mica si possono abolire tutti i beni fisici) oppure, addirittura, può sfruttare la stessa moneta elettronica per fare affari aggiuntivi. Durante il periodo di lockdown, infatti, si è riscontrato il seguente fenomeno: i clienti che non potevano andare in strada per rifornirsi di droga, effettuavano un pagamento tramite Paypal (quindi un pagamento elettronico a tutti gli effetti) per l’acquisto di un bene fittizio ad un prestanome dello spacciatore, che in cambio lasciava la droga in un luogo convenuto (ad esempio dentro il sellino di un motorino parcheggiato). Tutto è passato attraverso moneta elettronica, senza uso di contante!
Ma diamo la parola a testimoni insospettabili. L’allora viceministro all’Economia Casero, nel Governo Renzi, dichiarò nel 2014 ad Affaritaliani: “abbassare ulteriormente la soglia dei contanti non porterebbe ad alcun beneficio in termini di lotta all’evasione. Abbiamo già visto in questi anni che la grande evasione non si nasconde fa i pagamenti in contanti”. Ancora, il vicedirettore dell’Agenzia delle Entrate, Di Capua, sottolineò che “sulla lotta all’evasione la soglia dei 1.000 euro non ha inciso in misura significativa”. 
Tra l’altro, dal punto di vista strettamente politico, per il M5s, cavalcare questo cavallo comporta anche il rischio di perdere voti. In un sondaggio effettuato nel 2012 sul blog di Beppe Grillo, su 24.000 simpatizzanti pentastellati, il 79% si espresse contro l’abolizione del contante. Naturalmente, quando c’è da combattere una battaglia dannosa per il Paese, ecco arrivare anche il soccorso armato dei dirigenti di LeU, come Fratoianni o di Articolo Uno, come Bersani. La sinistra non si smentisce mai, quando si tratta di accorrere al capezzale degli interessi forti.  
Ed allora a cosa serve l’accanimento contro il contante? Essenzialmente per un motivo di tipo lobbistico: far ricadere l’intero peso della lotta all’evasione fiscale sui soggetti minori, quelli che spesso evadono per sopravvivere, lasciando del tutto indisturbate le grandi imprese e la criminalità organizzata. Accessoriamente, tale lotta aiuta le banche, attraverso le società finanziarie da loro controllate, ad allargare un nuovo ambito di business nella gestione (a titolo oneroso, quindi gravante sulla tasca dei clienti) di carte di credito e strumenti di pagamento elettronico. La carta di credito frutta tassi di interesse e commissioni alla banca. Il contante invece no. Ecco perché i pentastellati, finti paladini di una finta rivoluzione civica e cavalieri di una fantomatica moralità, ed il Fatto Quotidiano, portavoce della borghesia bene alla Travaglio, spingono sull’abolizione del contante.

Fonti:
Leonardo Facco, “Elogio del contante”, Miglio Verde Editore, 2017
Fabrizio Spagna, “A carte scoperte”, Lit Edizioni, 2017
Silvia Finazzi, “Italia Paese di vecchi: male per le pensioni, bene per i consumi”, su businesspeople.it , 11 febbraio 2020
Andrea Montanino-Centro Studi Confindustria, “Incentivare uso moneta elettronica e disincentivare il contante: una proposta”, note CsC. 

giovedì 14 maggio 2020

Una sanatoria per motivi opachi



Dopo un lungo braccio di ferro interno alla maggioranza, con Pd ed Italia Viva schierati dal lato della regolarizzazione senza se e senza ma e il M5s contrario, alla fine, seppur con un compromesso, è passata la linea dei primi, che possono, come giustamente mostrano le lacrime di gioia della Bellanova, il Ministro che più si era speso, considerarsi i vincitori della partita. Dentro il M5s tale sconfitta politica potrebbe non essere indolore, inserendosi dentro una situazione confusa e senza più leadership definita. Il reggente Crimi, già vulnerabile per la precarietà del suo incarico, rischia di pagarne le conseguenze.
Ma cosa prevede il compromesso raggiunto? Esso prevede due canali di regolarizzazione. Il primo è un’emersione di rapporti di lavoro irregolari. I datori di lavoro potranno concludere “un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, in regola o senza permesso di soggiorno” ma senza alcuno scudo penale o amministrativo per l’eventuale utilizzo in nero di manodopera in precedenza. La procedura è rivolta solo ai cittadini stranieri sottoposti a rilievi fotodattiloscopici (cioè all’acquisizione di impronte digitali e foto) prima dell’8 marzo 2020 e che non hanno lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020. L’emersione è limitata ai rapporti di lavoro nei settori della filiera agro-alimentare, assistenza alla persona e servizi domestici. Se per cause non imputabili al lavoratore, il datore di lavoro non è più disponibile a stipulare il contratto di lavoro, non è previsto il rilascio di un permesso per ricerca lavoro. Si tratta di un canale che risulterà pressoché inattivo, perché, come dimostrano le tante esperienze storiche dell’emersione dal nero, i datori di lavoro tendono a non emergere nemmeno se vi sono provvedimenti di tipo incentivante, perché strutturalmente non in grado di rimanere sul mercato in condizioni legali. Figuriamoci se lo faranno in assenza di qualsiasi incentivo, come in questo caso.
La seconda modalità, l’unica che risulterà essere operativa, consente ai cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto non prima del 31 ottobre 2019, di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di sei mesi dalla presentazione dell’istanza. Devono dimostrare di aver svolto attività di lavoro antecedentemente al 31 ottobre 2019, sempre e solo nei settori indicati dal provvedimento. L’istanza per il rilascio del permesso di soggiorno deve essere presentata dal cittadino straniero al Questore, dal 1° giugno al 15 luglio.
Stime alla mano, tale sanatoria riguarderà una platea teorica massima di non più di 200.000 irregolari circa, sui 500.000-600.000 stimati (con numeri, per lo scrivente, piuttosto sottodimensionati). Da questi 200.000, occorrerà sottrarre chi non avrà un datore di lavoro disposto a regolarizzarlo (anche in ragione dell’assenza di uno scudo penale o amministrativo per il pregresso) e, al contempo, non avrà un permesso di soggiorno scaduto da non più di 7 mesi o non sarà mai stato sottoposto a rilievi dattiloscopici. E’ anche ragionevole prevedere che numerosi irregolari, pur avendo i requisiti per la regolarizzazione, preferiranno evitare di chiederla, per il semplice motivo che, una volta regolarizzati, potrebbe risultare più difficile trovare un datore di lavoro disposto ad assumerli, dovendo necessariamente essere assunti con contratto regolare, quindi con livelli salariali più alti rispetto al nero e versamento obbligatorio dei contributi sociali.
Il bello è che la quasi totalità di tali lavoratori non fa parte del comparto agricolo, quindi non supporta la giustificazione principale addotta dalla Bellanova per chiedere la sanatoria: secondo Prandini, di Coldiretti, molto critica con la sanatoria, come le altre associazioni di categoria agricole, gli irregolari che saranno sanati in agricoltura saranno non più di 1.500-2.000 unità[1]. Il grosso dei residenti nelle baraccopoli del Sud, come quella di Rosarno, lavora infatti in altri settori (principalmente l’edilizia e la filiera ristorativa e dei pubblici esercizi, non coinvolte nella sanatoria) oppure, semplicemente, non lavora e vive di espedienti.
Complessivamente, quindi, la sanatoria non regolarizzerà più di 50.000-100.000 unità nella situazione più rosea, e non avrà alcun effetto significativo sul problema della raccolta di frutta e verdura nei campi, sia per i numeri del tutto insignificanti ricordati da Coldiretti, sia perché, da un punto di vista burocratico, essa non partirà prima di luglio, quando gran parte delle attività di raccolta saranno già state espletate. Niente rispetto ai 2.800.000 irregolari sanati dal 1986 ad oggi (con il picco di 647.000 sanatorie raggiunto, ironia della sorte, dal Governo Forza Italia-An-Lega in occasione del varo della Bossi-Fini del 2002). Anche il presunto effetto benefico sui conti previdenziali adotto dai partigiani della regolarizzazione sarà molto modesto, e perlopiù discutibile (regolarizzandosi, tali soggetti hanno il dovere di pagare i contributi sociali, ma se e soltanto se troveranno lavoro nei prossimi mesi, ma avranno comunque diritto, lavorando oppure no, ad accedere a benefici welfaristici cui non potevano o preferivano non accedere da irregolari, quindi andranno a pesare anche sul versante della spesa pubblica).
Da un punto di vista economico, quindi, la regolarizzazione non ha alcun effetto positivo: non risolve il problema della raccolta nei campi, non esercita effetti positivi apprezzabili sui conti dell’Inps, pesa, viceversa, su conti e liste di attesa del sistema sanitario. Non avrà effetti apprezzabili nemmeno sulla qualità della vita di chi si regolarizzerà, perché se vorrà lavorare in settori ad ampia presenza di lavoro sommerso, come agricoltura o servizi domestici, per essere competitivo agli occhi dei datori di lavoro dovrà accettare di continuarlo a fare in nero. Ed infatti Soumahoro, sindacalista di base dei braccianti extracomunitari, è estremamente negativo su questo provvedimento, ed evidenzia che se non vi sarà un riequilibrio nel potere di mercato fra agricoltura e Gdo (che ovviamente nessuno, fra i renziani ed i piddini, vuole) non ci sarà alcun effetto prativo sulla qualità del lavoro degli stranieri.
 Anche la motivazione di tipo sanitario appare del tutto stravagante. Secondo tale motivazione, regolarizzando i migranti, essi saranno incentivati a recarsi nelle strutture sanitarie per farsi controllare per il coronavirus, ma si tratta, perlopiù, di un auspicio, così come è soltanto auspicabile che essi possano essere destinatari delle misure di sicurezza sanitaria previste sul luogo di lavoro, posto che, normalmente, i datori di lavoro che usano tali misure non impiegano irregolari, mentre chi impiega ex irregolari sanati, in genere, non ha una grande propensione ad investire in sicurezza del lavoro ed igiene delle operazioni produttive. E comunque, se si volesse veramente provvedere in tal senso, sarebbe semplicissimo: basterebbe risanare e riqualificare, dal punto di vista abitativo, sanitario ed igienico, le bidonville in cui risiedono gli irregolari, che tutti sanno dove sono. E che non verranno minimamente risanate, nemmeno con tale provvedimento.
Una sanatoria che è quindi inutile rispetto ai motivi ufficialmente addotti, i cui veri motivi sono ideologici, ma soprattutto legati alla volontà di creare una maggiore guerra fra poveri, immettendo nel mercato del lavoro manodopera dequalificata, in modo da generare pressioni al ribasso sui salari dei lavoratori italiani, dall’altro. Da chi ha scritto ed approvato il Jobs Act che ha distrutto 60 anni di civiltà del lavoro e da sindacati confederali che lo hanno avallato, non c’era da aspettarsi niente di diverso. Tra l’altro, come tutte le sanatorie, anche quelle fiscali o edilizie, esercita un effetto molto negativo in termini di azzardo morale: restituisce, nei Paesi di origine di queste persone, l’immagine di una Italia pronta a calarsi le brache di fronte all’immigrazione, anche clandestina. E ciò favorirà nuove partenze, nuovi business per il sistema dell’accoglienza in mano a cooperative orbitanti nel mondo cattolico ed in quello del Pd, nuovi incarichi pubblici in presunti centri studi o comitati/consulte di migranti ed altre diavolerie finanziate con soldi pubblici.



[1] https://www.ilsole24ore.com/art/agricoltori-raccolti-non-aspettano-tempi-burocratici-sanatorie-ADKHQLQ 

mercoledì 6 maggio 2020

Un programma socialista per l'immigrazione


Io credo che la questione migratoria non possa essere evitata da chi si volesse proporre di ricostruire un socialismo con basi realmente popolari ed in grado di parlare al Paese, non ad astratti ideali. Tralasciando il partito del buonismo e della sanatoria (per il quale c'è già una casa, LeU, che niente ha a che vedere con il socialismo, e volendo anche Iv, visto l'impegno che la Bellanova sta profondendo per avere manodopera immigrata in agricoltura a 5 euro netti all'ora) ed ovviamente evitando di cadere in una posizione speculare a quella delle destre. Bisogna partire dalla consapevolezza che l’immigrazione di massa è favorita o per motivi di business, perché ampiamente privatizzata ed affidata a filiere imprenditoriali che, dietro il paravento cooperativo e “no profit”, rivelano solidi legami con centri di potere politico e famelici interessi economici. Ed anche per motivi di ristrutturazione al ribasso del mercato del lavoro, tramite la creazione di esercito industriale di riserva che spinga verso il basso salari e diritti: proprio il dibattito di questi giorni sulla regolarizzazione di circa 600.000 clandestini da utilizzare nei campi, quando la gravissima crisi economica spinge milioni di italiani, a detta degli stessi datori di lavoro, a chiedere tale occupazione, dovrebbe far capire a chi voglia intraprendere una ricostruzione di una sinistra di classe che pelosi internazionalismi mascherati da solidarismi vuoti non consentono di recuperare consenso popolare. 
Come avviare una riflessione su questo tema? Cercando di adottare un approccio analitico che dal contesto identifichi le criticità e le priorità e vada alle azioni. Il contesto, temo, è che l'Italia continuerà ad essere terra di immigrazione di massa almeno per i prossimi 30-40 anni, atteso che non ci saranno segnali di superamento della transizione demografica dell'Africa subsahariana entro il 2050 e che gli effetti della desertificazione e dell'impronta antropica su acqua e risorse alimentari non cesseranno di aggravarsi. Nei prossimi 30 anni, la popolazione africana raddoppierà, dagli attuali 1,2 miliardi a 2,5 miliardi di abitanti. Di fronte a questa situazione, le previsioni ambientali, soprattutto per i paesi della fascia del Sahel, sono inquietanti: un aumento medio delle temperature ad un ritmo medio di 1,5 volte superiore alla media globale, che potrebbe portare ad un aumento di 3-5 gradi delle temperature medie nel 2050, con effetti disastrosi sul regime delle piogge e sull’agricoltura, in Paesi in cui, a volte, anche il 70-80% della popolazione attiva è impiegata nel comparto primario. Sul versante urbano, il 62% delle città africane, già oggi, subisce problemi legati ad eccessive emissioni atmosferiche ed a carenza di risorse idriche. Le previsioni sono chiare: entro il 2050, circa 75 milioni di africani saranno spinti ad emigrare in Europa esclusivamente per questioni ambientali, oltre a quelli che emigreranno per guerre, persecuzioni, ecc. 

Anche se il nostro Paese dovesse subire un impoverimento, legato al mancato superamento del suo gap di competitività ed al rallentamento della crescita dell'Europa intera prevedibile nei prossimi anni, la sua ricchezza continuerebbe, in termini relativi, a crescere rispetto a quella dell'Africa, per via dell'aggravamento degli squilibri demografici ed ambientali del continente africano, continuando così ad essere attrattivo per i migranti. Nei prossimi anni, è altresì prevedibile una cessazione pressoché totale dei meccanismi di solidarietà europea, già estremamente marginali, sul tema del contrasto e dell'accoglienza, per cui ci troveremo sempre più soli ad affrontare il tema. Una stabilizzazione dell'area nordafricana, essenziale per contenere i flussi, appare ad oggi piuttosto complessa: quand'anche la possibile sconfitta militare di Haftar dovesse condurre ad una stabilizzazione della Libia, ci sarà da affrontare la sostanziale perdita di influenza politico-diplomatica subita dall'Italia dal 2011 ad oggi, mentre Algeria e Tunisia sono Paesi in bilico verso nuove fasi di profonda destabilizzazione, forse di guerra civile. D'altro canto, continui e crescenti flussi di immigrazione non potrebbero che destabilizzare completamente il mercato del lavoro italiano, pesare in modo esiziale sulle risorse dello stato sociale, produrre crescente senso di alienazione nei ceti popolari autoctoni, dando maggior consenso a soluzioni spicce. 

Di fronte all'enormità della questione, bisognerebbe, quantomeno, adottare un approccio che sia di mediazione fra rigore, contenimento di flussi che rischiano di divenire incontrollabili e tutela dei diritti umani e civili. Magari partire da alcuni punti fermi, che provo ad elencare: 

a) produrre uno sforzo eccezionale per immaginare un piano di aiuto all’Africa, che parta da presupposti diversi da ciò che si è fatto sinora, al di là delle risorse finanziarie da mettere in campo. Non servono le imprese multinazionali che delocalizzano, non servono gli incubi metropolitani circondati da bidonville, non servono i progetti per le grandi infrastrutture dirette verso il nulla, e nemmeno parodie di democrazie occidentali con Parlamenti e pseudo-istituzioni saccheggiate da bracconieri di elefanti in doppio petto. Servono forme di stabilizzazione politica (e quindi interetnica ed interreligiosa) ragionevoli e rispettose delle condizioni locali, affidate non a esorcisti sorti da pseudo elezioni finto democratiche, ma a leader sufficientemente competenti, onesti ed inclusivi rispetto ai clan diversi dal loro. Servono i micro progetti per scavare un pozzo artesiano in ogni villaggio, per connettere i villaggi con insegnanti ambulanti, per realizzare ambulatori medici di comunità, dove insegnare le regole minime dell'igiene e della prevenzione, corsi per formare professionalmente una classe di tecnici e professionisti locali nei settori prioritari (agricoltura ed allevamento, servizi pubblici, ambiente, turismo, ecc.);

b) Serve una politica coattiva di contenimento delle nascite alla cinese per impedire la trappola della povertà e disinnescare la bomba demografica. E serve una politica ambientale, stavolta sì globale, per fermare la desertificazione e la contrazione delle falde acquifere, che sta colpendo durissimo il Sahel;
c) riconoscere che la privatizzazione della filiera migratoria ha prodotto danni e creato occasioni per comportamenti opportunisti se non criminogeni. Il trasferimento dei migranti non va affidato a equivoche Ong, il salvataggio in mare è compito della Guardia Costiera. Hotspot e centri di accoglienza di primo e secondo livello sono servizi pubblici, non da affidare a fameliche cooperative, anche cattoliche e vaticane, che vedono nell’immigrazione una fonte di reddito, e che quindi spingono per una crescita dei flussi e dei soldi;

d) serve una politica repressiva che, dalla propaganda dissuasiva ad emigrare nei Paesi di origine, fino al presidio, anche militare, delle vie di transito (con opportuni accordi, anche economici, con clan e tribù che controllano le vie di transito dei migranti), impedisca un inutile e dannoso - dannoso in primis per l'Africa - esodo delle risorse più pregiate e giovani verso un assurdo e deludente sogno europeo, che si converte o in una morte in mare o in una detenzione in un hotspot o in un incubo nelle bidonville di Rosarno o di Villa Literno. Nei Paesi nordafricani di imbarco, servono accordi specifici con i governi locali, mirati a fornire assistenza economica in cambio di controlli dei porti e delle spiagge per evitare le partenze, progetti di potenziamento delle forze di Guardia Costiera, utilizzo delle capacità AWACS e di pattugliamento d’altura e costiero delle nostre Forze Armate per intercettare barconi e riportarli sulle coste africane in sicurezza, anche attraverso corridoi concordati con i governi locali;

e) la politica dei respingimenti deve essere rapida ed efficace. Le procedure per il riconoscimento dello status di immigrato devono essere rapide, i ricorsi dissuasi con offerte economiche o di formazione professionale nel Paese di origine, Marina ed Aeronautica devono prestare le loro risorse per i rimpatri forzosi;
f) la griglia dell’accoglienza deve prevedere esclusivamente figure giuridiche ben precise: la protezione internazionale (rifugiati politici e protezione sussidiaria) di tipo stabile, la protezione per motivi sociali, calamità naturali, cure mediche o per motivi speciali (come da attuale Decreto Sicurezza) di tipo provvisorio e di breve durata, rinnovabile solo per casi eccezionali da verificare di volta in volta. Si potrà prevedere che chi può dimostrare di essere rimasto in Italia da almeno 3 anni senza aver commesso reati, seppur irregolare, possa essere regolarizzato;

g) le politiche di respingimento dei clandestini devono superare il costoso e pericoloso modello dei Cie, che crea carceri speciali molto costose e gravi violazioni dei diritti umani. L’espulsione dei clandestini non deve più avvenire, come oggi, solo “sulla carta”, con foglio di via del questore o del prefetto, ma deve essere fattiva: chi viene identificato deve essere espulso entro un mese, prevedendo forme di detenzione ordinaria nel periodo provvisorio. Se il Paese di origine non lo vuole riprendere, si deve procedere ad una proporzionale riduzione degli aiuti economici al Paese stesso. L’immigrazione economica va fortemente disincentivata. I decreti flussi vanno rivisti finalizzandoli all’accoglienza di profili professionali molto specifici, per i quali le imprese possono dimostrare che vi è insufficiente offerta di lavoro dentro il Paese, o per profili professionali altamente qualificati;

h) per chi rimane da noi, occorrono strumenti di accoglienza dignitosi, che evitino lo sfruttamento. I lavoratori devono essere inquadrati nei contratti collettivi di lavoro nazionali, la lotta a caporalato e lavoro nero deve essere totale e spietata, anche varando una legislazione speciale molto repressiva contro  i datori di lavoro irregolari, l’accesso ai servizi welfaristici ed alla scuola pubblica deve avvenire su base egualitaria rispetto agli autoctoni, il circuito degli Sprar va riattivato per fornire competenze linguistiche e culturali di base necessarie all’integrazione, occorrerà prevedere finestre di sanatoria per i figli degli immigrati nati in Italia, i ricongiungimenti familiari devono essere favoriti. La libertà di culto e di utilizzo della propria lingua va riconosciuta, ma solo nella sfera privata, non in quella scolastica, lavorativa o nel rapporto con la P.A. Pratiche culturali proibite dal nostro ordinamento, come i matrimoni combinati, l’infibulazione, lo sfruttamento femminile o minorile, la prostituzione, anche per motivi religiosi o consuetudinari, il sacrificio di animali per motivi religiosi o divinatori, ecc. vanno proibite. 

domenica 3 maggio 2020

Africa e coronavirus: una bomba economica e sociale


Dal punto di vista sanitario, la diffusione del coronavirus in Africa è attualmente ben inferiore ai timori lanciati dall'OMS per il continente. Benché tale diffusione sia molto più alta di quanto le statistiche mostrano, per via della inaffidabilità dei sistemi di monitoraggio epidemiologico di molti Stati africani e della bassa diffusione dei test, non si sono evidenziati assalti agli ospedali ed i fragilissimi sistemi sanitari di quei Paesi hanno resistito, segno di una diffusione del virus effettivamente contenuta. I Paesi più colpiti sono quelli dell'Africa del Nord, che risentono di maggiori flussi di interscambio con l'Europa meridionale gravemente colpita dall'epidemia, ed in particolare l'Egitto, l'Algeria e il Marocco, con una intensità comunque molto bassa rispetto ai dati europei (questi tre paesi, messi insieme, totalizzano appena 14.700 casi accertati) ed il Sud Africa, con appena 5.900 casi circa (va detto che l'aeroporto di Johannesburg è l'unico scalo aereo africano a figurare fra i primi 50 del mondo per traffico di passeggeri).

Quali sono i motivi? Le possibili cause, secondo un interessante articolo (https://www.futura-sciences.com/sante/actualites/coronavirus-coronavirus-afrique-catastrophe-annoncee-na-pas-eu-lieu-79699/), sono le seguenti:
a) la modesta densità demografica e la scarsa circolazione della popolazione: molte zone dell'Africa vivono tuttora in isolamento ed autarchia, il Sahara può aver funzionato da "cordone sanitario" a protezione dell'Africa nera rispetto al contagio dell'Africa del Nord, il fenomeno delle diaspore e dell'immigrazione di ritorno è meno rilevante rispetto alla Cina, gran parte della popolazione vive dentro le grandi città, per via del macrocefalismo urbano tipico del sottosviluppo, e molte di queste megalopoli, come Lagos e Abuja in Nigeria, o Abidjan, in Costa d'Avorio, sono state sigillate dalle autorità sanitarie.
b) le caratteristiche della popolazione: la popolazione africana è molto giovane. Il 60% della popolazione africana ha meno di 25 anni. Quindi manca lo strato degli anziani, più sensibile al contagio con i sintomi più gravi, il tasso di obesità, considerato un fattore aggravante della malattia, è molto basso.
c) fattori sanitari: quote percentuali di popolazione molto più elevate che da noi sono sottoposte a profilassi contro la malaria, quindi a trattamento con la clorochina, che sembra avere un effetto protettivo dal coronavirus, così come la vaccinazione di massa contro la tubercolosi sembra proteggere la popolazione anche da altri virus delle vie respiratorie. Alcuni Paesi che negli ultimi anni sono stati colpiti da Ebola (Sierra Leone, Costa d'Avorio, Uganda, Burkina Faso) hanno sviluppato protocolli sanitari relativamente efficienti, in grado di rispondere rapidamente alle epidemie.

Aggiungo un ulteriore fattore, non citato dall'articolo: il minore sviluppo industriale, che implica minori emissioni atmosferiche, quindi minor presenza di particolato che, dagli ultimi studi condotti, sembra fungere da veicolo di trasporto del virus e da fattore infiammatorio delle vie respiratorie, che favorisce la penetrazione del virus nell'organismo. Non a caso le regioni più colpite, in Europa, hanno indici di concentrazione di attività industriali molto alti, e cattiva qualità dell'aria.

Ma il vero pericolo, per l'Africa, è un altro: il rischio di micidiali carestie legato alle misure sanitarie imposte su economie fragilissime. Si stima che il coronavirus possa produrre almeno 80-100 milioni di nuovi poveri assoluti, cioè di persone senza più accesso al cibo ed all'acqua. Le misure di contenimento impediscono di lavorare e guadagnare, il blocco delle catene logistiche fa aumentare il prezzo delle derrate alimentari, Si verificano già episodi di ribellione, in Nigeria, in Kenya, nella Guinea Conakry, davanti ai mercati ed ai punti di distribuzione alimentare. Il rischio alimentare, accentuato, nell'Africa Orientale, da una eccezionale ondata di cavallette, che ha già bruciato 200.000 ettari coltivabili, può rapidamente sfociare in conflitti etnici, guerre civili, instabilità politica.



Le conseguenze sarebbero, per noi europei, molto gravi: nuove gigantesche ondate di immigrazione ingestibili. Già adesso, nel periodo dell'epidemia (febbraio-aprile 2020) gli sbarchi in Italia sono aumentati del 345% rispetto al medesimo periodo del 2019, arrivando a sfiorare la quota di 3.500. E' evidente che, di fronte ad una catastrofe sociale, anche le misure di contenimento dei flussi salterebbero: la Libia, peraltro già provata dalla guerra civile, ha un gravissimo deficit di offerta sanitaria (si parla di appena 500 posti letto e 200 ventilatori disponibili). L'ospedale Covid di Tripoli è stato distrutto da un bombardamento delle forze di Haftar. Il Paese sarebbe semplicemente nell'impossibilità materiale di funzionare come filtro di contrasto alla partenza di nuove ondate di migranti via mare.

Si può trattate anche di immigrazione pericolosa socialmente: la Tunisia, uno dei principali Paesi di origine dei flussi migratori verso l'Italia, versa, oramai da anni, in una situazione di ingestibilità del suo apparato carcerario, sovraffollato, fatiscente e tuttora riempito di detenuti politici.Il presidente tunisino Kais Saied ha concesso una doppia grazia in occasione della festa nazionale dell’indipendenza del 20 marzo (1.856 detenuti liberati) e per l’emergenza coronavirus (1.420 rilasci): in totale fanno 3.276 detenuti rimessi in libertà. Analoghi provvedimenti sono stati presi in Algeria (5.037 detenuti liberati) ed in Marocco (graziati 5.654 detenuti). E' facile immaginare che, con la crisi economica innescata dal coronavirus, molti di questi detenuti saranno tentati dalla fuga verso l'Italia oppure dal provare a diventare scafisti.

Evidentemente, il problema va affrontato in altro modo. E' necessaria una cancellazione per almeno 500 miliardi di dollari del debito estero dei Paesi africani, insieme ad un piano di soccorso urgente, fatto di aiuti alimentari e finanziamenti alle micro e piccole imprese, di almeno altri 1.000 miliardi, gestito direttamente da organizzazioni internazionali, e non dai governi, spesso affetti da tassi di corruzione che sconfinano nella cleptocrazia, e che quindi farebbero sparire le risorse, senza farle giungere ai destinatari. E' probabilmente necessario anche un aiuto sanitario massivo, quando sarà necessario organizzare campagne di vaccinazione massive, nel momento in cui un vaccino sarà disponibile, e sarà impossibile poter contare sui soli sistemi sanitari nazionali di quei Paesi. E' altresì da mettere in conto una serie di nuove missioni militari di peacekeeping nei focolai di possibili conflitti etnici o politici innescati dalle conseguenze economiche del virus.