domenica 3 maggio 2020

Africa e coronavirus: una bomba economica e sociale


Dal punto di vista sanitario, la diffusione del coronavirus in Africa è attualmente ben inferiore ai timori lanciati dall'OMS per il continente. Benché tale diffusione sia molto più alta di quanto le statistiche mostrano, per via della inaffidabilità dei sistemi di monitoraggio epidemiologico di molti Stati africani e della bassa diffusione dei test, non si sono evidenziati assalti agli ospedali ed i fragilissimi sistemi sanitari di quei Paesi hanno resistito, segno di una diffusione del virus effettivamente contenuta. I Paesi più colpiti sono quelli dell'Africa del Nord, che risentono di maggiori flussi di interscambio con l'Europa meridionale gravemente colpita dall'epidemia, ed in particolare l'Egitto, l'Algeria e il Marocco, con una intensità comunque molto bassa rispetto ai dati europei (questi tre paesi, messi insieme, totalizzano appena 14.700 casi accertati) ed il Sud Africa, con appena 5.900 casi circa (va detto che l'aeroporto di Johannesburg è l'unico scalo aereo africano a figurare fra i primi 50 del mondo per traffico di passeggeri).

Quali sono i motivi? Le possibili cause, secondo un interessante articolo (https://www.futura-sciences.com/sante/actualites/coronavirus-coronavirus-afrique-catastrophe-annoncee-na-pas-eu-lieu-79699/), sono le seguenti:
a) la modesta densità demografica e la scarsa circolazione della popolazione: molte zone dell'Africa vivono tuttora in isolamento ed autarchia, il Sahara può aver funzionato da "cordone sanitario" a protezione dell'Africa nera rispetto al contagio dell'Africa del Nord, il fenomeno delle diaspore e dell'immigrazione di ritorno è meno rilevante rispetto alla Cina, gran parte della popolazione vive dentro le grandi città, per via del macrocefalismo urbano tipico del sottosviluppo, e molte di queste megalopoli, come Lagos e Abuja in Nigeria, o Abidjan, in Costa d'Avorio, sono state sigillate dalle autorità sanitarie.
b) le caratteristiche della popolazione: la popolazione africana è molto giovane. Il 60% della popolazione africana ha meno di 25 anni. Quindi manca lo strato degli anziani, più sensibile al contagio con i sintomi più gravi, il tasso di obesità, considerato un fattore aggravante della malattia, è molto basso.
c) fattori sanitari: quote percentuali di popolazione molto più elevate che da noi sono sottoposte a profilassi contro la malaria, quindi a trattamento con la clorochina, che sembra avere un effetto protettivo dal coronavirus, così come la vaccinazione di massa contro la tubercolosi sembra proteggere la popolazione anche da altri virus delle vie respiratorie. Alcuni Paesi che negli ultimi anni sono stati colpiti da Ebola (Sierra Leone, Costa d'Avorio, Uganda, Burkina Faso) hanno sviluppato protocolli sanitari relativamente efficienti, in grado di rispondere rapidamente alle epidemie.

Aggiungo un ulteriore fattore, non citato dall'articolo: il minore sviluppo industriale, che implica minori emissioni atmosferiche, quindi minor presenza di particolato che, dagli ultimi studi condotti, sembra fungere da veicolo di trasporto del virus e da fattore infiammatorio delle vie respiratorie, che favorisce la penetrazione del virus nell'organismo. Non a caso le regioni più colpite, in Europa, hanno indici di concentrazione di attività industriali molto alti, e cattiva qualità dell'aria.

Ma il vero pericolo, per l'Africa, è un altro: il rischio di micidiali carestie legato alle misure sanitarie imposte su economie fragilissime. Si stima che il coronavirus possa produrre almeno 80-100 milioni di nuovi poveri assoluti, cioè di persone senza più accesso al cibo ed all'acqua. Le misure di contenimento impediscono di lavorare e guadagnare, il blocco delle catene logistiche fa aumentare il prezzo delle derrate alimentari, Si verificano già episodi di ribellione, in Nigeria, in Kenya, nella Guinea Conakry, davanti ai mercati ed ai punti di distribuzione alimentare. Il rischio alimentare, accentuato, nell'Africa Orientale, da una eccezionale ondata di cavallette, che ha già bruciato 200.000 ettari coltivabili, può rapidamente sfociare in conflitti etnici, guerre civili, instabilità politica.



Le conseguenze sarebbero, per noi europei, molto gravi: nuove gigantesche ondate di immigrazione ingestibili. Già adesso, nel periodo dell'epidemia (febbraio-aprile 2020) gli sbarchi in Italia sono aumentati del 345% rispetto al medesimo periodo del 2019, arrivando a sfiorare la quota di 3.500. E' evidente che, di fronte ad una catastrofe sociale, anche le misure di contenimento dei flussi salterebbero: la Libia, peraltro già provata dalla guerra civile, ha un gravissimo deficit di offerta sanitaria (si parla di appena 500 posti letto e 200 ventilatori disponibili). L'ospedale Covid di Tripoli è stato distrutto da un bombardamento delle forze di Haftar. Il Paese sarebbe semplicemente nell'impossibilità materiale di funzionare come filtro di contrasto alla partenza di nuove ondate di migranti via mare.

Si può trattate anche di immigrazione pericolosa socialmente: la Tunisia, uno dei principali Paesi di origine dei flussi migratori verso l'Italia, versa, oramai da anni, in una situazione di ingestibilità del suo apparato carcerario, sovraffollato, fatiscente e tuttora riempito di detenuti politici.Il presidente tunisino Kais Saied ha concesso una doppia grazia in occasione della festa nazionale dell’indipendenza del 20 marzo (1.856 detenuti liberati) e per l’emergenza coronavirus (1.420 rilasci): in totale fanno 3.276 detenuti rimessi in libertà. Analoghi provvedimenti sono stati presi in Algeria (5.037 detenuti liberati) ed in Marocco (graziati 5.654 detenuti). E' facile immaginare che, con la crisi economica innescata dal coronavirus, molti di questi detenuti saranno tentati dalla fuga verso l'Italia oppure dal provare a diventare scafisti.

Evidentemente, il problema va affrontato in altro modo. E' necessaria una cancellazione per almeno 500 miliardi di dollari del debito estero dei Paesi africani, insieme ad un piano di soccorso urgente, fatto di aiuti alimentari e finanziamenti alle micro e piccole imprese, di almeno altri 1.000 miliardi, gestito direttamente da organizzazioni internazionali, e non dai governi, spesso affetti da tassi di corruzione che sconfinano nella cleptocrazia, e che quindi farebbero sparire le risorse, senza farle giungere ai destinatari. E' probabilmente necessario anche un aiuto sanitario massivo, quando sarà necessario organizzare campagne di vaccinazione massive, nel momento in cui un vaccino sarà disponibile, e sarà impossibile poter contare sui soli sistemi sanitari nazionali di quei Paesi. E' altresì da mettere in conto una serie di nuove missioni militari di peacekeeping nei focolai di possibili conflitti etnici o politici innescati dalle conseguenze economiche del virus.

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