sabato 28 novembre 2015

La Mara Salvatrucha: la globalizzazione del crimine


El Salvador, anni Ottanta. La guerra civile impazza, il Paese è nel caos. Migliaia di cittadini del Paese ceontroamericano emigrano verso gli USA, legalmente, perché l’Amministrazione Reagan, che supporta il Governo militare fascista, cerca di ripulire la sua immagine aprendo le braccia ai salvadoregni in fuga, o clandestinamente. Fra questi, alcuni appartenenti agli squadroni della morte dell’estrema destra, che, con la copertura della CIA, si rifanno una vita negli USA, ed alcuni disertori dell’Esercito governativo. Ma anche molti guerriglieri del FMLN, la guerriglia marxista-leninista supportata da Cuba e dal Nicaragua sandinista, che fuggono dalla repressione militare che segue ai due tentativi di offensiva del FMLN, del 1981 e del 1989, duramente soffocati. La fuga di massa dei guerriglieri del FMLN è legata all’attività di Sombra Negra, gruppo paramilitare finanziato dalla CIA, che ha il compito di uccidere tutti i componenti della guerriglia comunista.
Soprattutto questi ex guerriglieri si localizzano nell’area di Los Angeles, creando, inizialmente, una associazione di protezione degli immigrati salvadoregni, con il compito di difenderli dalle aggressioni e prepotenze di altri gruppi di migranti, soprattutto guatemaltechi e messicani. Per fare ciò, circolano le armi e l’addestramento militare indurito in lunghi anni di guerriglia non si dimentica mai. Tra gli immigrati salvadoregni, ci sono moltissimi ragazzi ed adolescenti, rimasti senza la famiglia, massacrata nella guerra civile oppure abbandonata nel Paese natio. Ragazzi allo sbando, che cercano qualcuno, o qualcosa, che sostituisca una famiglia. E che vengono arruolati in massa nell’organizzazione di autodifesa. Gli ex guerriglieri ed ex militari li addestrano all’uso delle armi, alla disciplina. Nel giro di pochi anni, c’è un piccolo esercito di diverse migliaia di soldati, che mantiene i legami con la madrepatria, armato di tutto punto. A quel punto, nel caos tentacolare di Los Angeles, città crudele controllata da gang latinoamericane e nere che arricchiscono, nella povertà generale delle periferie, con il traffico di armi e droga, nel contesto di duro confronto etnico, che culminerà, nel 1991, con il pestaggio del giovane nero Rodney King da parte della polizia, con una conseguente sommossa che metterà la città a ferro e fuoco per settimane, localizzata nel ventre dell’enorme ghetto di South Central in cui viveva la comunità salvadoregna, la tentazione di imitarle, ed avviare attività criminali, diventa irresistibile.
L’uccisione di due leader della gang salvadoregna fa esplodere la violenza nelle strade di Los Angeles. Il salto di qualità avviene quando si stringe una alleanza operativa con una gang storica, la cosiddetta “Mafia messicana”, che garantisce alla Mara rispetto e protezione nell’ambiente criminale cittadino. Nasce ufficialmente la Mara Salvatrucha, o Ms-13. Il nome della gang alimenta un dibattito infinito. Probabilmente il termine “mara” deriva dal nome di una formica centroamericana, particolarmente aggressiva. “Salvatrucha” è un termine gergale per definire i salvadoregni. Anche se sin dall’inizio delle attività criminali, la mara accoglie anche honduregni, guatelmaltechi, messicani, nicaraguensi, persino piccole percentuali di neri. Sin dall’inizio, si caratterizza come una delle gang più violente mai viste nelle strade di Los Angeles . La sua rivalità con gli scissionisti di Barrio 18 o con i Latin Kings fa scorrere il sangue. Il numero 13, considerato numero fortunato da molti latinoamericani, è presente in numerosi tatuaggi identificativi. I membri della gang, infatti, per farsi riconoscere, si tatuano il corpo con il nome della Mara, il numero 13, parole come “Sur”, o simboli ed immagini sataniste. Gli stessi simboli dei tatuaggi vengono usati per i graffiti con i quali demarcano le zone sotto il loro controllo dell’enorme ghetto suburbano di L.A. gli altri membri di gang diverse sono avvertiti: entrare in quelle zone significa morire. Elaborano un codice di segni e gesti, in parte mutuati dalle gang afroamericane, per comunicare, fra cui le corna, come simbolo del Diavolo. 

La disciplina militare è assoluta, ogni infedeltà viene punita con la morte, il motto è “se vive por la mara y se muere por la mara”. Non ci sono eccezioni: persino uno dei fondatori storici della Mara, Ernesto Miranda, detto “Smokey”, ex militare governativo, viene assassinato per essersi rifiutato di partecipare alla festa per la scarcerazione di una appartenente alla Mara. Un rifiuto interpretato come una ribellione. Per entrare dentro il gruppo, il neofita deve accettare di farsi picchiare selvaggiamente per 13 secondi di fila, oppure di entrare nella zona di una gang rivale per commettere un omicidio. Le donne sono molto raramente accettate, se non come mogli ed amanti dei componenti maschi, e sottoposte in modo totale agli ordini degli uomini.
Nel 1996, le Autorità statunitensi, nel tentativo di sradicare il gruppo, commettono un errore esiziale. Deportano migliaia di immigrati salvadoregni sospettati di appartenere alla Ms-13 nel Paese di origine. L’errore è tragico: i mareros deportati ricostituiscono la Mara in El Salvador, ed utilizzano le relazioni maturate nel periodo trascorso negli USA per costituire una criminalità transnazionale. Da El Salvador, un flusso enorme di armi, droga e prostitute prende la strada degli USA, accolto dai terminali statunitensi della Mara. In cambio, un flusso enorme di dollari esportati per essere riciclati destabilizza la già fragilissima economia salvadoregna.
La Mara si organizza in una pluralità di cellule semi-autonome, che pian piano, come un contagio, si diffondono in tutti gli USA, e nei Paesi centramericani limitrofi, tanto da destabilizzarli: il vicino Honduras diventa il secondo Paese per numero di omicidi al mondo. La classe dirigente honduregna viene sottoposta a enormi pressioni. Quando, nel 2004, l’allora presidente honduregno presenta un progetto per ripristinare la pena di morte contro i membri di gang, la Mara uccide, per rappresaglia, 28 persone, molte delle quali donne e bambini, su un autobus. Quando il successore prende il potere, il giorno stesso del suo insediamento, trova davanti a casa una valigia, con dentro un cadavere smembrato e decapitato. Un avvertimento molto chiaro a non proseguire nelle politiche del predecessore. In El Salvador, la Mara è riuscita, nel 2012, a coinvolgere il Governo e la Chiesa locali nel negoziato di un accordo di tregua con gli storici rivali del Barrio 18, accreditandosi come interlocutore politico.
Alla fine, la Mara diventa una organizzazione che conta fra i 30.000 ed i 50.000 membri, ed un milione e mezzo di sostenitori esterni, diffusa praticamene in tutto il mondo, ovunque vi siano comunità di emigrati latinoamericani nelle quali insediarsi (è di qualche mese fa circa l’apparizione della Mara in Italia, con il truculento episodio di Milano: ad un capotreno viene amputato il braccio a colpi di machete da un giovane ecuadoriano, riconosciuto poi come membro della Ms-13 per i tatuaggi sul corpo). Si articola su decine di migliaia di cellule autonome, ognuna delle quali avente la sua gerarchia interna (articolata sul leader, chiamato palabrero, e sui sottocapi, chiamati primera palabra o segunda palabra) che però riconoscono una sorta di autorità centrale di coordinamento internazionale, ubicata a El Salvador, una cupola chiamata Ranfla Nacional. Si tratta di una vera e propria gang globalizzata, che sfrutta la globalizzazione per reclutare membri fra i giovani immigrati, e per commerciare droga, armi e prostitute lungo le rotte commerciali mondiali, oppure per organizzare la tratta dell’emigrazione clandestina verso gli USA attraverso il Messico. Una struttura molto flessibile, che adegua le sue attività al singolo contesto nazionale in cui opera. Mentre negli USA, opera come una tradizionale gang suburbana di strada, nel Centroamerica si occupa di racket, estorsioni e commercio di armi. In Europa, ed in Italia in particolare, sfruttano la loro capacità di controllo del territorio per offrirsi come intermediari fra i grandi gruppi mafiosi che importano lo stupefacente, e la rete degli spacciatori di strada.
Una gang globalizzata che ha elaborato un linguaggio di tatuaggi, simboli e gesti per comunicare fra cellule diverse, operanti in diversi Paesi. Che in molte carceri centroamericane ha creato una sorta di autogestione: le guardie carcerarie vengono allontanate, i carcerati si autoamministrano, trasformando il carcere in una sorta di periodo di riposo in mezzo al lusso, dal quale continuare ad organizzare le attività criminali esterne (come nel penitenziario salvadoregno di Ciudad Barrios, che è occupato da 2.500 mareros, senza nessun secondino all’interno della struttura, e l’Esercito posto all'esterno, per impedire le fughe).

Una gang di rinomata ferocia nel mondo criminale mondiale, tanto che diversi mareros vengono reclutati come mercenari, da parte del cartello di Sinaloa guidato dal “Chapo” Guzmán, per combattere nella guerra di droga che infiamma il Nord del Messico. Che sfrutta la miseria e la disperazione per reclutare ragazzi di strada, fra i 13 ed i 17 anni, trasformandoli in crudeli assassini tramite una vera e propria scuola del crimine interna ad ogni cellula. Talmente pericolosa da aver indotto l’FBI, nel 2004, a creare una task force nazionale contro le gang, un centro nazionale di intelligence ed una strategia nazionale di contrasto alle gang sottoposta al Congresso. 

martedì 10 novembre 2015

‘Ndrangheta in Emilia Romagna




E’ iniziato in questi giorni a Bologna, con grande enfasi mediatica, il maxi processo per l’operazione Aemilia, che mette in luce la capillare penetrazione delle ‘ndrine calabresi nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna. nello specifico, si tratta del clan dei Grande-Aracri, che opera fra Cutro e Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. L’analisi di questo caso è interessante, perché dimostra le caratteristiche tipiche dell’infiltrazione mafiosa a Nord.
La Grande Aracri nasce, come ‘ndrina, negli anni novanta, da una scissione della storica ‘ndrina dei Dragone, per contrasti relativi al traffico di stupefacenti. La seconda guerra di ‘Ndrangheta è finita, portando a nuovi equilibri, si cercano modalità di composizione che porteranno, negli anni, ad una struttura organizzativa in grado di controllare tutto e mediare fra i conflitti interni. Ma nel crotonese  gli equilibri sono ancora precari. Nel 1990, Cutro si bagna di sangue. Ci vanno di mezzo anche gli innocenti. Il killer di origine emiliana Paolo Bellini, affiliato alla ‘Ndrina, ammazza, a settembre di quell’anno, un giovane pescivendolo, sul lungomare di Crotone, per un banale litigio stradale. La sua presenza a Crotone mostra come i Grande Aracri siano già insediati in Emilia.
A livello locale, la ‘ndrina emergente si consolida rapidamente, stringendo alleanze. Con i Vrenna di Crotone, storici padroni della città, stringono un accordo per la spartizione al 50% dei proventi di tutti i traffici illeciti della città, tramite “Gnègnè” Bonaventura, fiduciario dei Vrenna stessi. Si stringe un accordo con i Nicoscia di Isola di Capo Rizzuto, e da quella che è considerata la capitale della ‘Ndrangheta, il paese aspromontano di San Luca, il boss dei boss, “Gambazza” Antonio Pelle conferisce a Nicolino Aracri il titolo di “crimine”, sostanzialmente colui che, nella società maggiore, organizza le faide e le ritorsioni. Un titolo molto importante, che lo investe della responsabilità di radicare in Emilia Romagna l’intero sistema delle alleanze delle ‘ndrine reggine e della Locride, dai citati Pelle ai Di Stefano.
Ed inizia l’espansione sistematica a Nord, sancita dagli omicidi. A Brescello, il paese di Peppone e don Camillo, nel 1992 viene ammazzato Giuseppe Ruggiero, catanzarese pregiudicato. La zona di Reggio diventa un far west. Come nasce l’attenzione per l’Emilia Romagna? nel modo più tradizionale, ovvero il trasferimento per residenza coatta. Nel 1982, infatti, viene trasferito in soggiorno obbligato, nel reggiano, il boss Francesco Aracri, detto “Manuzza”, ufficialmente bidello, fratello di Nicolino. Rimanendo lì, stringe conoscenze con il sottobosco criminale locale, trova coperture nelle parti non sane delle, altrimenti oneste, comunità di emigrati cutresi.
Ed inizia una vera e propria clonazione dell’apparato organizzativo della ‘Ndrina di Cutro nelle nuove terre di conquista, replicando fedelmente strutture, uomini e gerarchie, oltre che i riti di affiliazione. I legami con la politica si fanno inquietanti. Gli inquirenti ricostruiscono le numerose e strane “discese” di politici reggiani a Cutro in quegli anni, per presenziare alla processione. Manco fosse il carnevale di Rio. 
Ad ogni modo, in Emilia Romagna la ‘ndrina tesse una serie di affari molto lucrosi, dal trasporto di rifiuti pericolosi dal Nord vero la Terra dei Fuochi, al racket, all’influenza sugli appalti pubblici per far entrare imprese collegate, soprattutto con il business della ricostruzione dopo il sisma del 2012, ed in primis nel movimento terra. "È caduto un capannone a Mirandola"; "eh allora lavoriamo là" è la risposta accompagnata ridendo. "Ah si, cominciamo facciamo il giro...". Questo un particolare estrapolato dalla intercettazione di un colloquio tra due degli indagati della cosca Aracri.
Gli affari illeciti producono un fiume di denaro riciclato negli immobili, nei terreni agricoli, in strutture turistiche. Ed altrettanto tipico, si mantiene saldo il rapporto con la ‘ndrina di provenienza, nel frattempo impegnata in una nuova faida con i Dragone e gli Arena, in terra natia. Una parte dei proventi, infatti, viene spedito in Calabria tramite un ingegnoso sistema di false fatturazioni fra imprese legate al clan. Anche questo è un tratto classico, le ‘Ndrine operano su diversi piani, anche nazionale ed internazionale, ma il radicamento nel territorio di origine rimane strategico, non solo per motivi affettivi, o per l’ovvia conseguenza della struttura fortemente familistica della ‘Ndrangheta, che la contraddistingue rispetto ad altre mafie, ma molto pratici: il livello locale fornisce gruppi di fuoco affidabili, possibilità di nascondere e proteggere i latitanti, nuove leve (Giap Parini, 2012).
A gennaio 2015, la ‘ndrina viene decapitata: a seguito dell’operazione Aemilia, infatti, vengono arrestate 160 persone in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia delle procure di Bologna, Catanzaro e Brescia tra cui affiliati dei Grande Aracri e il presunto capo della locale di Reggio Emilia, nonché il capogruppo di Fi di Reggio Emilia. Gli arrestati sono accusati di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti. A Luglio 2015, nuova fase dell'operazione Aemilia: nove arresti, un sequestro di nove società, beni e attività commerciali per oltre 330 milioni di euro, e un altro sequestro di beni per circa mezzo milione di euro. Cadono nella rete anche dei giornalisti locali, accusati di fare campagne mediatiche per proteggere la ‘Ndrina (evidenziando la capacità di comunicazione che tale organizzazione detiene), ed avvocati accusati di fare indebite pressioni per ottenere decisioni favorevoli nei processi. Si ipotizza una spartizione territoriale sul modello delle Locali, con tre capi-locale su Reggio Emilia, Parma e Modena. Il processo inizia subito nel modo classico, con richieste di spostarlo a Catanzaro, il boss Aracri che si sente male e vuole essere trasferito in ospedale, gli avvocati intenti ad affermare che l’Emilia Romagna non è affetta da infiltrazioni mafiose, gli imputati che si difendono affermando di essere semplici emigranti.
Ovviamente si apre uno spazio, per l’insediamento di nuove realtà. L’Emilia Romagna è già oggi affetta da altre presenze, come le ‘Ndrine Bellocco e Mancuso su Bologna, i Farao-Marincola su Ferrara, e così via (fonte. Mappa della mafia in Emilia Romagna). Senza contare la forte presenza camorristica. 

venerdì 30 ottobre 2015

Una terza faida di Scampia in atto?



Lo scenario è quello di sempre. Napoli nord, i quartieri di Secondigliano e Scampia, i grandi dormitori dello spaccio di droga sui quali Saviano ha ambientato il suo romanzo. Non cambiano i luoghi, e potrebbero tornare anche le facce del passato. Il clan Di Lauro, ai tempi del suo boss di prima generazione, Paolo, detto “Ciruzzo ‘o milionario” (si vocifera che tale soprannome gli fu dato dal boss dei boss della camorra napoletana, “o rre”, Luigi Giuliano, quando, in una partita di poker, gli vide cadere dalle tasche biglietti da 100.000 lire) potentissima cosca in grado di rimanere autonoma dall’altrettanto influente alleanza di Secondigliano, negli ultimi anni veniva data in declino. Ridotta perlopiù ad un ruolo interstiziale di mediazione fra i gruppi in lotta per il controllo della periferia nord, dopo le perdite riportate nella sanguinosa faida di Scampia del 2004-2005 e con gli arresti in massa del 2005 (fra i quali quello di Ciruzzo stesso, oltre che di circa un centinaio di affiliati, fra i quali vigili urbani che avvertivano in caso di retate delle forze dell’ordine, e meccanici che realizzavano i nascondigli della droga nei veicoli del clan). Il figlio, Marco, oggi trentacinquenne, latitante da dieci anni, molto probabilmente ancora nascosto nella zona di Secondigliano-Scampia, nella quale può contare su appoggi e aiuti di vario genere (si dice che abbia a disposizione addirittura una attrezzatissima palestra personale), è diventato di fatto il capo di ciò che resta del clan.

Gli strascichi della prima faida di Scampia del 2004-2005 proseguono fino alla primavera del 2011. E continuano ad essere negativi per i Di Lauro, in declino. È il 14 aprile del 2011 - sono le 20,38 - quando Antonio Mennetta, stando al racconto di un pentito, avrebbe poggiato la canna della pistola all’altezza del lato superiore dell’occhio destro. Un colpo alla tempia, per uccidere Antonello Faiello, affiliato ai Di Lauro, dopo un conflitto da far west con quelli del clan Di Lauro. Oltre al pentito, ad incastrare Mennetta c’è un dato tecnico: il tatuaggio che gli sbuca sul braccio, che viene «riconosciuto» nel corso di un filmato ricavato dalla telecamera di un negozio nei paraggi. La scena è da far west. I Di Lauro sono per strada alla ricerca di un loro nemico, tale “Paoluccio ‘o terrore”. Si ritrovano davanti un gruppo di fuoco capeggiato da Mennetta. Faiello viene colpito, e poi Mennetta gli somministra il colpo di grazia alla tempia. Un altro, Luigi De Lucia, è ferito. Ma Marco Di Lauro, presente alla scena, viene immobilizzato dai killer per evitargli ferite da arama da fuoco. Un segnale chiarissimo. Gli uccidono i sottoposti e lo proteggono. Vogliono fare una alleanza con i Di Lauro, non una nuova geurra, ma alle loro condizioni. “Loro” chi? Sono un gruppo emergente, che si è staccato dagli scissionisti della prima faida contro i Di Lauro. Questo gruppo viene chiamato con il nome delle strade di Napoli nord in cui hanno la loro base: i Vannella-Grassi. Soprannominati “i girati” (cioè i traditori), per essersi ribellati, agli inizi degli anni Duemila, ai Di Lauro, si stanno costruendo un loro spazio autonomo nello spaccio di stupefacente nei quartieri della periferia nord, e ora colpiscono i loro ex alleati scissionisti per allargare il controllo delle strade e dei luoghi di distribuzione dello stupefacente, e per convincere i “capi piazza” (cioè i responsabili delle squadre di spaccio sulla strada) a passare sotto la loro protezione.

Mennetta è poi un personaggio inquietante. Soprannominato “El niño”, come il tifone, oppure “Lo spartano”, per la sua passione per la guerra e la violenza, è un ragazzone enorme di 26 anni, con un passato, vociferano gli inquirenti ripresi da un articolo del Messaggero del 5 Gennaio 2013, da killer dei Di Lauro durante la prima faida di Scampia (poi traditi) e da spacciatore pagato con il sistema della “settimana”. Ama dare personalmente il colpo di grazia alla vittima ferita a terra con un colpo in testa. E’ anche molto ambizioso. C’è agli atti un’intercettazione ambientale in cui lo spartano racconta alla madre il suo sogno di ventenne: «voglio diventare imperatore di Scampia e Secondigliano, non mi voglio accontentare della settimana che mi passano quelli». Dal luglio 2013 è latitante.

Pochissimi mesi dopo, a gennaio 2012, il sangue torna a scorrere per il controllo dello spaccio di stupefacente a Napoli nord. Muoiono in un agguato Raffaele Stanchi, il presunto cassiere degli scissionisti della prima faida contro i Di Lauro del 2004-2005, e il suo guardaspalle Luigi Mondò. Secondo gli inquirenti, sono morti per lavare un affronto: gli scissionisti non pagano la quota dello smercio di cocaina a quelli della Vannella, che a loro volta si vendicano tagliando la mano a Stanchi, al cassiere, prima di dargli fuoco. Omicidio simbolico. Ancora pochi mesi, ed a agosto Gaetano Marino, soprannominato “moncherino” per  un handicap agli arti superiori, fratello di Gennaro, detto “McKay”, boss dei cosiddetti “scissionisti” di Secondigliano, nel 2005 in guerra con i Di Lauro, viene ammazzato a Terracina, in pieno giorno e in una spiaggia affollata, dove trascorreva le vacanze con la famiglia. E’ l’inizio della seconda faida di Scampia. I presunti autori sono, ancora una volta, i girati. Agiscono, in questa fase, come alleati del gruppo Di Lauro. Marco ha quindi stretto un nuovo patto di sangue con una parte degli ex nemici.

La faida si fa immediatamente cruenta. Luigi Lucenti, pregiudicato cinquantenne, viene ammazzato addirittura nel cortile di una scuola materna di Scampia, in mezzo ai bambini, dove aveva invano cercato rifugio dai killer che lo inseguivano. Purtroppo ci va di mezzo un innocente: Pasquale Romano, ragazzo ammazzato per errore il 15 ottobre 2012 nel quartiere di Marianella, perché scambiato per uno spacciatore (vero bersaglio dei killer) a cui assomigliava. La faida finisce a dicembre, con nuovi equilibri, dopo decine di morti. I girati si sono conquistati il loro posto al sole nelle piazze di spaccio di Secondigliano e Scampia, i Di Lauro sono usciti dal loro declino, e mediano la pax camorristica.

Pax camorristica, e veniamo agli episodi recenti, che viene violata in quella che sembra essere, in tutto e per tutto, una nuova guerra di camorra. Il mese di ottobre 2015 si tinge di sangue. Raffaele Stravato, 39 anni, pregiudicato, viene assassinato il 24 ottobre, raggiunto da diversi colpi di pistola tra Scampia e Marianella. Una settimana prima, nel cuore della notte, è stato giustiziato Domenico Aporta, 24 anni, con precedenti per rapina, rimasto a terra per almeno tre ore a San Pietro a Patierno prima che arrivasse la polizia, in un clima di omertà e paura. Il primo è ritenuto dagli inquirenti vicino ai Lo Russo, un clan tradizionale, anch’esso, guarda caso, operante sulla piazza di Secondigliano, oltre che nel business del racket sugli appalti degli ospedali. Soprannominati “i capitoni”, sono nemici storici dei Di Lauro, fin dalla prima faida di Scampia, e, oggi ritemprati da alcune scarcerazioni di loro presunti affiliati. Il secondo morto è invece affiliato ai Vannella-Grassi.


In questo contesto, potrebbe essere ipotizzabile l’inizio di una guerra, una terza faida di Scampia, fra i Lo Russo ed i girati, che di conseguenza coinvolgerebbe i Di Lauro, che sono divenuti loro alleati. Un articolo di Napoli.zon di tre giorni fa annuncia la possibile reazione. Favorita anche dalla scarcerazione di Raffaele e Vincenzo, due componenti fondamentali della famiglia. Evidentemente, si raccolgono umori e voci della strada, che spesso sono esatte. I Di Lauro potrebbero approfittare dell’attacco ai Vannella-Grassi, con i quali l’alleanza è solo strumentale, per riguadagnare potere. Oppure allearsi con i girati per contrastare l’aggressività di altri clan. Solo nei prossimi mesi lo scenario sarà più chiaro. Ma una cosa è sicura. Il sangue a Scampia non scorre mai per errore, e non si ferma mai alle prime vittime. 

mercoledì 29 aprile 2015

Una modellizzazione di funzionamento di un mercato inquinato da criminalità, di Riccardo Achilli



Due economisti, il cinese Choi ed il tedesco Thum, hanno costruito nel 2001 un modello generale di funzionamento di un mercato pubblico caratterizzato da corruzione o da racket/estorsione. L'ipotesi di partenza è che un imprenditore deve acquistare e rinnovare un permesso amministrativo per esercitare la propria attività, versando la mazzetta al funzionario pubblico corrotto, sia in fase di primo acquisto dell'autorizzazione, che di suo aggiornamento. Mutatis mutandis, tale modello è applicabile anche al caso di un imprenditore che deve pagare, ad una organizzazione mafiosa, il racket per entrare e rimanere sul mercato.

In questo mercato, dunque, si verifica una condizione di concorrenza imperfetta. C'è infatti una barriera all'ingresso, che fa sì che soltanto le imprese che possono o vogliono pagare la mazzetta vi entrino. In un certo senso, quindi, la presenza del costo legato alla mazzetta seleziona le imprese che entrano nel mercato. Ci troviamo quindi in una situazione prossima all'oligopolio.

Come dimostrano Hall, Hitch e Sweezy, la curva di domanda, che lega il prezzo alla quantità domandata, su un mercato oligopolistico, è ad angolo, e non è quindi continua. L'angolo corrisponde al prezzo ed alla quantità di equilibrio che si vengono a creare sul mercato. Il prezzo, fissato per coprire tutti i costi e per garantire un margine di profitto, non aumenta, perché l'aumento stabilito da una impresa non sarebbe seguito dai concorrenti, mentre una eventuale diminuzione non coprirebbe il costo ed il margine di profitto prefissato. 

 Una curva di domanda che mette in relazione prezzo e quantità venduta può essere trasformata mettendo in relazione profitto (che è il prodotto del prezzo per la quantità), rappresentata nelle ordinate del grafico sottostante con la variabile v, e numero di imprese che entrano nel mercato, rappresentata in ascissa con la variabile n. La relazione è decrescente, perché all'aumentare del numero di imprese che entrano nel mercato, il profitto unitario tende a diminuire per via della maggiore pressione concorrenziale. La curva è quindi, come detto, ad angolo. 


 In presenza di un costo fisso derivante dalla mazzetta, il punto di equilibrio del mercato si verificherà in corrispondenza del punto angolare, dove entrano i ¾ delle imprese che entrerebbero in condizioni di mercato senza pagamento della mazzetta. Tale valore è infatti il più alto che il mafioso può fissare senza indurre un eccessivo e troppo rapido calo dei profitti delle imprese, che determinerebbe un disincentivo ad entrare sul mercato. 

In assenza della mazzetta, la curva traslerebbe verso l'alto, per una distanza verticale pari all'importo della mazzetta stessa, perché a parità di numero n di imprese operanti sul mercato, il profitto aumenterebbe per un importo pari al costo risparmiato della tangente, come da immagine sottostante. La curva più spessa rappresenta lo spostamento in avanti derivante dall'assenza del pagamento della mazzetta. Come è possibile vedere, con la curva priva del costo della mazzetta, il numero di imprese, pari a 1 (il 100% delle imprese che potenzialmente vogliono entrare sul mercato) è superiore al valore di ¾ (cioè solo il 75% delle imprese che potenzialmente vogliono entrare nel mercato) legato alla presenza del costo del pagamento della mazzetta. 


   Se ne ricavano tre conseguenze:
- la presenza di corruzione o racket genera una situazione economicamente inefficiente, riducendo il numero di imprese che potrebbero operare sul mercato se non dovessero pagare un costo estorsivo. Quindi la presenza di criminalità riduce crescita ed occupazione;
- vi può essere un interesse collusivo delle imprese ad alimentare il meccanismo corruttivo o estorsivo: per quanto esso sia un costo per le stesse, ha il vantaggio di impedire a dei potenziali concorrenti di entrare sul mercato, facendo quindi crescere, per il minor numero di imprese presenti, il profitto unitario. Se il maggior profitto unitario legato al minor numero di imprese è superiore all'entità del costo estorsivo da pagare, le imprese possono colludere con l'organizzazione criminale (o il funzionario corrotto) per tenere in piedi il meccanismo illegale. Ciò spiega la condotta cooperativa del privato nelle fattispecie di corruzione, ed anche l'omertà che spesso proviene dalle imprese sottoposte a racket;
- infine, l’entità della mazzetta imposta dal mafioso è una funzione del valore (profitto d’impresa) immediatamente precedente al «precipitare» della funzione che lega il valore al numero di imprese operanti sul mercato. Ciò significa che se il criminale “sbaglia” per eccesso nella fissazione della mazzetta, facendo precipitare le imprese vittime nella parte più discendente della curva, quindi provocando un eccessivo taglio del profitto, si genera un incentivo a denunciare il criminale da parte dell'impresa taglieggiata. Quandi la fissazione dell'entità della mazzetta è una attività complessa, che richiede una buona conoscenza del mercato, e che deve realizzare un equilibrio fra massimizzazione del reddito illegale per il criminale, e salvaguardia di un livello minimo di profittabilità per le imprese vittime.




mercoledì 25 marzo 2015

La guerra di camorra in atto a Napoli Est





Ha fatto molto scalpore, nella stampa, l’ennesimo episodio della guerra di camorra che si sta verificando nella periferia est di Napoli, con la diffusione dei video fatti dai carabinieri nell’ambito dell’indagine che ha portato a 63 arresti per  tentato omicidio, sequestro di persona, porto e detenzione di armi da sparo, tutto aggravato dal metodo mafioso, in cui si vedono sparatorie in mezzo al rione Conocal di Ponticelli. Evidentemente, l’assenza di una struttura organizzativa piramidale (come quella che, a quanto pare, si è data recentemente la ‘Ndrangheta) dopo la grande guerra di camorra fra cutoliani e Nuova Famiglia degli anni passati, e la conseguente anarchia dei clan camorristici, soprattutto nel napoletano (dove, a differenza del casertano, non vi è un clan egemone che in qualche modo impone la sua legge agli altri) porta naturalmente a questa estrema e manifesta violenza di strada durante le guerre per la spartizione del territorio (nel caso di specie, soprattutto per la divisione delle piazze di spaccio dello stupefacente fra clan rivali).
Cerchiamo, quindi, di collocare quanto sta avvenendo in questi giorni nella periferia napoletana, individuando luoghi, protagonisti e conflitti in atto. Iniziando dal luogo: il rione Conocal nasce immediatamente dopo il terremoto del 1980, finanziato dalla legge di ricostruzione (la 219/1981), come espansione edilizia del famigerato quartiere de Gasperi, sede di molti dei gruppi camorristici napoletani più famosi , come quello dei Sarno. Si tratta di un quartiere di edilizia popolare di cattiva qualità, con indici di popolamento eccessivi, caratterizzato da forte degrado urbanistico, dove peraltro le problematiche dell’amianto non sono ancora del tutto risolte, che, negli anni Ottanta, ha accolto gli sfollati del terremoto provenienti da altri quartieri della città. Un insieme di alveari edilizi mal costruiti, senza servizi, di fatto uno dei tanti snodi della speculazione edilizia degli anni Ottanta, che ha creato problemi di convivenza e qualità della vita legati all’eccessiva densità abitativa privata di adeguati spazi verdi e di socializzazione, accentuati dal senso di sradicamento di molti abitanti, provenienti da altre zone della città e che ha finito per creare una sensazione diffusa di ghettizzazione , con tutte le conseguenze in termini di emarginazione sociale e senso di abbandono da parte delle istituzioni che tale sensazione genera. Oltretutto, per un tragico errore urbanistico, tale rione viene costruito proprio a ridosso di un’area a fortissima densità camorristica, facendo finire gli abitanti del rione in pasto alla camorra. Non a caso, uno dei primi business che il capostipite dei Sarno, Ciro, mette in campo con i nuovi arrivati dopo il terremoto, è l’assegnazione illegale degli alloggi popolari, a danno dei legittimi proprietari. E non è un caso: con l’amministrazione delle case occupate illegalmente, Ciro Sarno guadagnerà il rispetto dei residenti, e spesso la loro gratitudine, fino ad acquisire il soprannome di ’o Sindaco, realizzando quel radicamento sociale che ogni sistema mafioso ricerca (per vari motivi, il principale dei quali è che in questo modo il clan acquisisce pacchetti di consenso utilizzabili per negoziare favori con la politica, tramite il voto di scambio. Infatti, dopo il suo pentimento, Ciro Sarno racconterà dei rapporti intrattenuti con la Dc napoletana). 

Rione Conocal


Inevitabilmente, le scelte urbanistiche ed edilizie facilitano il radicamento criminale. Conocal è di fatto, oggi, uno degli epicentri della criminalità partenopea. Ed è una delle zone più calde dei conflitti camorristici. In particolare, è in atto una guerra che deriva, in parte, dalla destrutturazione di alcuni clan tradizionalmente dominanti nell’area est (ovvero i Sarno e i Cuccaro/Aprea, questi ultimi radicati nel “Lotto Zero”, quartiere confinante a Conocal) colpiti dalle indagini e dai processi, ed in parte dal ridimensionamento dello spaccio di stupefacente nei quartieri settentrionali, che porta ad uno spostamento delle piazze di spaccio in quelli orientali, creando inevitabili tensioni con chi è già insediato in tali aree.
In particolare, il clan Sarno, destrutturato dall’ondata di arresti del 2008-2009 e dal pentimento del patriarca Ciro,  sembra aver finito di consumarsi nel tentativo di scalzare il potente clan Mazzarella, suo ex alleato ai tempi del cartello fra i clan Mazzarella/Sarno/Misso. I Mazzarella, dunque, usciti vincitori dalla guerra con ciò che restava dei Sarno, sebbene indeboliti, sono oggi ancora dominanti a San Giovanni a Teduccio. Hanno inoltre sottoposto al loro controllo il clan dei D’Amico, che un tempo operava come gruppo di fuoco al servizio dei Sarno, e che con la fine di questi ultimi ha cambiato padrone.
Il clan D’Amico è quindi da sempre un gruppo di affiliati, che ha sfruttato le sue capacità militari come gruppo di fuoco al servizio di clan sovraordinati, ed è capeggiato da Antonio, detto “Fravulella” (fragolina), che però è un tipo tutt’altro che dolce: viene arrestato nel 2009 per omicidio ed associazione a delinquere di stampo mafioso ed è considerato alleato al clan dei Ricci (è zio di Marco Ricci) che opera nei quartieri spagnoli (e dunque in centro). La crescita di importanza, sia pur come affiliato ai Mazzarella, di “Fravulella”, deriva dalla guerra in atto nei quartieri orientali, ed è testimoniata da 4 arrestati che portano il tatuaggio di Fravulella sul petto, e che quindi sono, presuntamente, suoi soldati. Il tatuaggio ha un significato simbolico molto potente per i camorristi, che può grosso modo tradursi in “mi ti porto addosso, sulla pelle”, cioè in una testimonianza di fedeltà assoluta, “fisica”, nei confronti del bosso che ti “marchia” sul corpo il suo nome. 

Uno degli arrestati con il tatuaggio di Fravulella



 Ed un arrestato del clan di "Bodo", il cui tatuaggio, oltre che il soprannome del boss, riporta le parole "rispetto, fedeltà, onore" che sanciscono il vincolo associativo di obbedienza al capo




Il clan D’Amico deve quindi difendersi, anche per conto dei Mazzarella che gli sono sovraordinati, dall’aggressività di un clan emergente, quello dei De Micco, anch’esso operante nella zona est (in determinate aree di Ponticelli) che, molto ben armato, operante nelle estorsioni e nella droga, sfrutta la sua alleanza con il clan Amodio/Abrunzio per occupare le zone del clan Cuccaro/Aprea, in declino, e per aprirsi la strada verso le piazze di spaccio nel quartiere Conocal (il clan Amodio/Abrunzio deriva proprio da elementi del gruppo Cuccaro). Il suo boss, Marco De Micco, soprannominato “Bodo” (un personaggio dei cartoni animati) è giovane e molto aggressivo, ed è attualmente detenuto in Lombardia per una condanna in primo grado a due anni e otto mesi di reclusione per tentata estorsione aggravata dalla matrice camorristica.
Il conflitto ha radici più antiche. Nel 2013, inizia una scia di sangue, e ciò può essere considerato come il primo atto della guerra culminata con gli arresti sopra descritti.  Il primo omicidio è avvenuto a San Giovanni a Teduccio il 12 gennaio 2013. La vittima, ventiquattro anni, e incensurata. Pochi giorni dopo, vengono colpiti due giovani, di 20 e 18 anni, quest’ultimo  nipote di Teresa De Luca Bossa, appartenente all’omonimo clan (un clan scissionista dei Sarno, a lungo impegnato in una sanguinosa faida con questi, anch’esso operante su Ponticelli, oltre che a Pianura). La violenza sale di livello quando ad ottobre 2013 viene ucciso un membro di spicco del clan Cuccaro, e l’8 aprile 2014 viene colpito un capo del gruppo Amodio/Abrunzio. Questi due omicidi possono essere infatti letti come tentativi di frenare l’espansione del sodalizio De Micco/Amodio/Abrunzio. 
 Cosa succederà ora? Difficile dirlo. L’ondata di arresti, secondo la stampa, avrebbe disarticolato sia i D’Amico che i De Micco. L’esperienza dimostra che la galassia camorrista è sempre pronta ad occupare gli spazi lasciati liberi da chi cade in disgrazia. Quindi, si aprono spazi per l’espansione di nuovi gruppi. Forse i De Luca Bossa, che dopo una fase di declino sembrano essersi alleati con il boss di Pianura, ovvero Giuseppe Marfella detto ‘o Percuoco? O forse altri clan affiliati ai Mazzarella, come i Formicola/Silenzio, potrebbero allargare la loro attività, sostituendo gli alleati D’Amico in rovina? E’ evidentemente troppo presto per dirlo. Ciò che invece non è affatto prematuro è prevedere una nuova fase di omicidi e sangue nelle strade di Conocal e di Ponticelli, per occupare gli spazi liberi. Occorrerà quindi grande attenzione da parte delle forze dell’ordine nei prossimi mesi.

sabato 14 marzo 2015

Mafia Capitale, seconda parte: organizzazione e finalità







Questa è la seconda parte della descrizione di Mafia Capitale, come emerge dalle risultanze investigative e dall’ordinanza cautelare del magistrato inquirente. Dopo averne descritto la genesi, nell’articolo precedente, in questa sede si approfondiscono le caratteristiche operative e le finalità.

1) I diversi strati dell’organizzazione , le sue caratteristiche generali e le sue finalità: l’agenzia di servizi e l’intermediazione fra i mondi

1.1) La leadership
Il magistrato inquirente individua almeno tre livelli di attività:
  • Il livello criminale vero e proprio,
  • Il livello economico,
  • Il livello della pubblica amministrazione e politico.
Tutti questi livelli sono in qualche modo isolati l’uno dall’altro, con l’unico trait d’union della guida, ovvero di Massimo Carminati, personaggio già conosciuto e descritto nella prima parte di questo lavoro. Il suo ruolo di comando emerge con chiarezza nelle intercettazioni, sia nel modo in cui gli altri componenti del sodalizio si rivolgono a lui, sia per il modo, chiaramente caratterizzato dalla volontà del capo di un gruppo criminale di imporre rispetto e timore sugli altri, con cui spesso Carminati stesso si rivolge agli altri. Ad esempio, in una intercettazione se la prende con il sodale Giovanni Lacopo, il gestore del benzinaio di corso Francia presso il quale i membri dell’organizzazione si incontrano, reo di aver un esattore dell’organizzazione, Matteo Calvio, per finalità personali (per farsi dare da tale Manattini dei soldi prestatigli dal padre di Lacopo stesso). Carminati, imbestialito per questo utilizzo “personale” e non concordato con lui di una risorsa dell’organizzazione, dirà infatti “al nano (riferendosi a Lacopo)...mo' come arriva come passa prendo il primo oggetto contundente che trovo ..mo' ne faccio trovare uno […] ti ammazzo come un cane![…]
E’ Carminati ad avere l’ultima parola nelle decisioni strategiche e nel disegno delle attività del gruppo. A puro titolo di esempio, in una intercettazione Carminati spiega il metodo che l’organizzazione deve avere nell’approcciare un imprenditore al suo braccio destro, Riccardo Brugia. Dice infatti: “noi dobbiamo andare dritto per le cose... cioè questi devono essere nostri esecutori... devono lavorare per noi.. non si può più fare come una volta…che noi arriviamo dopo facciamo i recuperi… e allora senti lo sai che c’è?... “i recuperi… vatteli a fa da solo”… a noi non ci interessa più... te lo dico..perchè poi.. a fa' i recuperi si fa 'na guerra con quelli che l’hanno solato? …ma perché? ..la gente ruba… e noi ci mettiamo a fare i recuperi… non siamo più gente che potemo fa una cosa del genere…pe’ du lire”. O ancora, quando istruisce i componenti del livello criminale dell’organizzazione su come si fa ad acquisire il controllo di un imprenditore: “..nella strada… glielo devi dire… aaa come ti chiami?... comandiamo sempre noi.... non comanderà mai uno come te nella strada.. nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”. Ed il suo ruolo primario emerge anche quando deve “punire” un componente del sodalizio per un comportamento sbagliato, come quando intima a Lacopo, in modo sbrigativo, di pagare Calvio per un recupero crediti non andato a buon fine per colpa di Lacopo stesso. Dirà infatti Calvio alla sua compagna “… Massimo gli ha detto due parole, dice’ te sei messo in mezzo te? Ecco .. mo’ paghi te, subito veloce”. 

1.2) Il manifesto programmatico e il funzionamento dell’organizzazione: L’Agenzia di servizi
Il “manifesto programmatico” di funzionamento dell’organizzazione, che imprime Carminati, è particolarmente importante per giudicare alcune caratteristiche tipiche delle mafie del Centro Nord, e si basa essenzialmente su due parole d’ordine: flessibilità e relazionalità. Ogni livello (criminale, economico, politico/amministrativo) viene attivato ed utilizzato in modo flessibile, in base alle esigenze, ed il sodalizio ricava la sua forza non tanto dalla violenza, che Carminati aborrisce come un rimedio da utilizzare soltanto in casi estremi (perché ha un costo per l’organizzazione, la rende più visibile alle forze dell’ordine, rovina relazioni che potrebbero essere importanti in futuro, e ne compromette l’immagine, mentre cerca di penetrare nella cerchia più esclusiva dei salotti del potere politico ed economico, nei confronti dei quali occorre essere felpati e diplomatici). dirà infatti che “noi alzamo le mani .. a la gente, quando uno ti dice di fare una cosa fai quello che te dico io .. se mi dai una parola, no che non la mantieni più, .. però noi non ci approfittiamo mai di nessuno ...”.
L’organizzazione ricava la sua forza dalla rete relazionale. Significativo è ciò che Carminati dice a Gaglianone, imprenditore che secondo le indagini sarebbe collegato al gruppo: no pero' poi meno male che hai conosciuto Fabrizio perchè così.. poi.. quando ci sarà da...pure Carlo.. quell'altro...quell'altro è l'uomo de.. invece de Mancini... Carlo te lo avevo prese.. guarda che lui è l'uomo dell'ente EUR ...che loro per dire ... gli danno i chilometri di sabbia.. questi qua quelli che arrivano a noi ...per il movimento terra.. fanno tutti capo a lui .. e' lui che se ne sta occupando capito? ..in maniera che questi vanno a fa il sopralluogo.. li conosci tu a pe'...eh...mo ti chiama...nun te preoccupà....stiamo a mette, stiamo a mette su' una bella squadra..piano piano...capito?”
In questo modo, flessibilità e relazionalità consentono di mettere in collegamento il mondo di sotto, cioè quello criminale, con il mondo di sopra dell’élite imprenditoriale e politica, attraverso la ben nota metafora del “mondo di mezzo” che Carminati, ex NAR, spiega a Brugia, altro ex NAR, in un linguaggio tolkeniano che ben si adatta ai miti delle destra neofascista: “è la teoria del mondo di mezzo compà. ....ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo (…) e allora....e allora vuol dire che ci sta un mondo.. un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici cazzo come è possibile che quello…come è possibile che ne so che un domani io posso stare a cena con Berlusconi..cazzo è impossibile.. capito come idea?. . .è quella che il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra. . cioè.. hai capito?... allora le persone.. le persone di un certo tipo… di qualunque di qualunque cosa... .si incontrano tutti là. . .si incontrano tutti là no?.. tu stai lì...ma non per una questione di ceto… per una questione di merito, no? ...allora nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno. . questa è la cosa…e tutto si mischia.
Carminati, quindi, si posiziona al crocevia fra mondo legale e mondo illegale, fungendo da intermediatore che li mette in collegamento fra loro, in funzione di specifiche esigenze, ed operando quindi sia al livello dei vivi che a quello dei morti, senza sporcarsi le mani direttamente (“non siamo più gente che potemo fa una cosa del genere”) se non quando strettamente necessario per imporre timore e rispetto per le regole dell’organizzazione a chi sgarra, o non prende in considerazione il ruolo dell’organizzazione, e non intende passare per la sua intermediazione: (“Come posso guadagnare, che te serve il movimento terra? Che ti attacco i manifesti? Che ti pulisco il culo ..ecco, te lo faccio io perché se poi vengo a sapè che te lo fa un altro, capito? Allora è una cosa sgradevole…”). In questo modo, l’obiettivo è quello di entrare negli ingranaggi complessivi di funzionamento del sovra mondo, servendosi del sottomondo per fornirgli delle utilità (soldi a strozzo ad imprenditori o professionisti in difficoltà, imprese fornitrici colluse in particolari segmenti del ciclo edile, in particolare nel movimento terra, tradizionale settore di infiltrazione delle mafie, eventualmente voti a politici, o anche servizi di vario genere, ad esempio Carminati fornirà il suo esecutore Calvio all’imprenditore Manattini, come guardia del corpo).
La finalità non è quindi quella di agire nel sottomondo con i caratteristici affari criminali, come il traffico di droga (“la storia della droga è della stampa”) ma di creare una sorta di “agenzia di servizi” che operi in condizioni monopolistiche (non interferisco negli affari illegali degli altri gruppi criminali romani nel loro mondo di sotto, e loro mi lasciano l’esclusiva del mondo di mezzo) erogando servizi particolari, che solo dal sottomondo possono essere acquisiti. E che, però, per poter funzionare, deve mantenere un solido contatto con il sottomondo (da cui la rete di relazioni con la camorra dei Senese che opera nella capitale, così come con le ‘ndrine ed i clan di Cosa Nostra, o batterie italiane e extracomunitarie, come quelle di Santoni, “Diabolik Piscitelli”, che opeera su Ponte milvio, o Pavlovic).
Contatto che si estrinseca anche in interventi diretti di mediazione e di composizione di litigi interni al sottomondo, finalizzati a mantenere una “pax criminale” che faccia funzionare bene tutto il meccanismo. Il 17 aprile 2013, nell’area della stazione di servizio “ENI” di corso Francia, Carminati Massimo e Brugia discutevano dell’organizzazione di un incontro, non preceduto da appuntamenti telefonici - come da consuetudine di tutti i sodali - con soggetti descritti come “brutti forti”. In particolare, Brugia riferiva al Carminati: “a Mà…mò per ditte a quelli là gli ho detto ...fra quattro giorni penso di dargli appuntamento”, e quest’ultimo dettava le regole da seguire al fine di fissare appuntamenti sicuri, siti all’interno del quartiere di Vigna Stelluti, ove il sodalizio mantiene una maggiore influenza: “settimana prossima passano qua e lasciano soltanto il giorno a Roberto (Lacopo, titolare del benzinaio di corso Francia)… solo con Roberto gli dici guarda dì a Massimo giovedì per dirti ed io l'appuntamento poi glielo dò ad un'altra parte”. Brugia, nel confermare la circostanza, riferiva all’interlocutore che uno dei soggetti con i quali avrebbero dovuto incontrarsi “ha detto, lo sai come voleva la pistola…non l'hai visti, non l'hai visti come, come…come”, ottenendo conferma della pericolosità di tali personaggi dallo stesso Carminati, il quale riferiva all’interlocutore: “quelli so' brutti forti compà”, precisando “...sono andato da questi prima che prendono la pistola e sparano…”. Con quest’ultima affermazione, il Carminati sottolineava l’entità del proprio intervento di mediatore, espletato nei confronti di pericolosi soggetti del sottomondo, al fine di evitare una degenerazione violenta, che non conveniva alla buona gestione degli affari dell’”agenzia di servizi”. Si scoprirà poi che i soggetti con cui si sono incontrati sono effettivamente brutti: Roberto Santoni e Daniele Carlomosti, due pregiudicati romani, a capo di batterie di spacciatori e rapinatori, e lo slavo Tomislav Pavlovic, usuraio, attivo nel racket e nella ricettazione.

2) I connotati mafiosi
L’”agenzia di servizi” ha però i classici tratti dell’organizzazione mafiosa, ai sensi dell’articolo 416 bis del codice penale e della giurisprudenza in materia. Questi tratti si evidenziano sotto numerosi aspetti:
  • Il tipico potere intimidatorio del legame associativo;
  • Le modalità di infiltrazione nelle imprese e nel sistema degli appalti;
  • I legami fra gli associati, costruiti da reti di appartenenza, oltre che da meri interessi criminali comuni;
  • Il radicamento ed il controllo del proprio contesto territoriale e culturale di riferimento.
2.1) Il potere intimidatorio del vincolo associativo
Mafia Capitale presenta i tratti specificamente evolutivi delle mafie tradizionali che formano delle gemmazioni nel Centro Nord. La sua ambizione di agenzia di servizi la porta a ridurre al minimo indispensabile la violenza, perché il potere di intimidazione promana direttamente dalla percezione del vincolo associativo, che crea una minaccia generica di per sè stesso. Come per le mafie tradizionali, però, Mafia Capitale ha l’esigenza di mantenere stretti legami con il suo ambiente di provenienza, che ovviamente, a differenza delle mafie meridionali insediate al Nord, non è geografico, ma di contesto, ovvero il legame con il sottomondo, come detto in precedenza.
A pena di perdere il suo prestigio criminale e la sua forza di intimidazione, essenziali per porsi come intermediatrice fra mondo di sotto e di sopra, il sodalizio continua a operare nel sottomondo, non solo nelle funzioni di intermediazione e di risoluzione di conflitti sopra illustrati, ma anche attraverso la realizzazione dei delitti classici delle associazioni di stampo mafioso, quali l’usura e l’estorsione. Ciò è un ulteriore tratto classico delle mafie, comune a Mafia Capitale: anche se operano su livelli molto sofisticati di globalizzazione e finanziarizzazione, esse devono infatti “manutenere” il loro potere di intimidazione, e devono quindi continuare ad operare su reati da strada connotati da alti livelli di intimidazione delle vittime, come per l’appunto usura ed estorsione. L’omertà delle numerose vittime di estorsione di Mafia Capitale ne certifica il potere intimidatorio. Un esempio lampante è quello del debito contratto da tale Pirro Raimondo nei confronti del Brugia, peraltro per un fatto relativamente minore, di denaro per la vendita di due orologi di proprietà del Brugia stesso. Per Brugia e Carminati la riscossione del credito nei confronti del Pirro è principalmente una questione di reputazione criminale, ben più importante della cifra non particolarmente rilevante (Brugia dirà: “ormai, eh..se no..è diventata una questione principale, come no?” e Carminati risponde: “stavolta, stavolta se..se non è proprio la buca de notte, jè spaccamo proprio la faccia Riccardo: no, no jè do' una martellata in testa...come premessa..appena lo vedo l'ammazzo.. ormai è diventata una cosa...mica, mica può pensare deve passà, de esse passato così, questo che và a pija per culo la gente”). 

2.2) Protezione ed infiltrazione nelle imprese e nell’economia
Tipicamente mafiosa è poi, in ambito estorsivo, la “protezione” offerta, obtorto collo, agli imprenditori, che di fatto li trasforma in sodali del gruppo, utilizzabili ,ad esempio, per entrare nei subappalti dei cantieri edili, o nelle forniture. Una protezione, come avviene nei territori di alto insediamento mafioso, spesso cercata direttamente dall’imprenditore stesso, e nemmeno imposta dall’organizzazione, che attesta il suo livello di radicamento nel tessuto sociale e produttivo della capitale. La protezione è in realtà un mero strumento per inserirsi nell’attività imprenditoriale, dapprima fornendo tutta la serie di servizi strumentali senza partecipare al rischio d’impresa “noi lo sai perché andiamo bene?.. perché noi facciamo il movimento terra” oppure fornendo “tranquillità” (“tu lo devi mette seduto gli devi dì tu vuoi sta' tranquillo ? […] allora mettiamoci a… fermare il gioco… a come ti chiami?... comandiamo sempre noi....non comanderà mai uno come te nella strada... nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”), sino a raggiungere il vero obiettivo della manovra, ovvero la caduta dell’impresa “protetta” integralmente nella rete del sodalizio. Gli imprenditori così avvicinati “devono essere nostri esecutori.. devono lavorare per noi”. Infatti, sempre seguendo Carminati, “deve essere un rapporto paritario, je devi dì…non ti pensare che tu... ecco… a me mi puoi anche …dire che mi dai un milione di euro… per guardarmi… tutte ste merde…non mi interessa, già che faccio una cortesia...è normale che dall'amicizia deve nascere un discorso che facciamo affari insieme”. E’ una modalità operativa totalmente ripresa, in modo fedele, dal modus operandi delle mafie meridionali.
Assolutamente esemplificativo è in tal senso l’avvicinamento della famiglia imprenditoriale Guarnera al sodalizio: avvicinamento cercato dagli stessi imprenditori. Guarnera entra in contatto, inizialmente, con Brugia, nel dicembre del 2012, per richiedere protezione. Brugia gli concede Matteo Calvio quale “guardaspalle”. Al contempo, Guarnera proponeva a Brugia la partecipazione a un affare immobiliare, riferibile a “novanta appartamenti a Monteverde”. L’ingresso di Mafia Capitale nell’affare produce per Guarnera tangibili benefici, quali lo sblocco amministrativo del cantiere di via Innocenzo X, da parte di Carminati, per stessa ammissione di Guarnera: “lui è stato in grado di una cosa che io in due anni non sono riuscito a fare, lui in tre giorni è riuscito a sbloccarla!”.
L’affiliazione crescente di Guarnera passerà anche, nell’oramai consueta stazione di servizio di corso Francia, da una vera e propria formazione da mafioso, impartita da Carminati, iniziando dall’omertà (“.. uno non deve parlà”, “mai risponde alle domande ... le domande sono lecite le risposte non sono mai obbligatorie ..”)
Così come è tipicamente mafioso il modo in cui il gruppo penetra nel sistema degli appalti pubblici. Un misto di corruzione (dirà Buzzi “Lo sai perché Massimo è intoccabile? Perché era lui che portava i soldi per Finmeccanica! Bustoni di soldi! A tutti li ha portati Massimo! … 4 milioni dentro le buste! 4 milioni! Alla fine mi ha detto Massimo “è sicuro che l’ho portati a tutti! Tutti! Pure a Rifondazione!”) e di intimidazione, che al limite, se strettamente necessario, può arrivare alla violenza (Carminati riferirà a Brugia di aver “menato” Riccardo Mancini, detto “er Ciccione”, e camerata di Carminati nei NAR, che, da amministratore delegato di EUR SpA, nominato dal sindaco Alemanno, svolge, in modo troppo recalcitrante secondo Carminati, il ruolo di procacciatore di appalti pubblici per il sodalizio) o, più spesso, alle minacce. 

2.3) I vincoli di gruppo
Manca invece, delle mafie tradizionali, il percorso di affiliazione formale, che passa attraverso un periodo di monitoraggio dell’aspirante affiliato, diversi gradi di affiliazione esterna (ad es. il passaggio dell’aspirante al grado intermedio di “contrasto onorato”, nel sistema ‘ndranghetista) ed una cerimonia formale di affiliazione, che serve perlopiù per cementare la fedeltà all’organizzazione, tramite una complessa simbologia religiosa ed esoterica che serve anche per suscitare emozioni e sentimenti di fratellanza con il gruppo da parte del neo-affiliato. Tuttavia, tale mancanza è più che compensata dal fatto che tutto il gruppo “interno” di Mafia Capitale, quelli cioè più vicini a Carminati, come Brugia, Gaudenzi, Grilli, o gli esponenti più importanti della raggiera esterna del gruppo, come Mancini o Mokbel, sono tutti componenti, a vario titolo e con diversi livelli, del mondo dell’eversione neofascista o dell’estrema destra extraparlamentare degli anni ’70 ed ’80, ed hanno quindi cementato, fra loro, un legame di solidarietà ed amicizia tale per cui, come confesserà lo stesso Grilli, “tra camerati non ci si tradisce”. Le intercettazioni telefoniche, infatti, testimoniano di un legame profondo, di amicizia e rispetto reciproco, fra Carminati e Brugia, che va al di là del mero rapporto utilitaristico ed affaristico, tanto che i due vivono a pochi metri di distanza, avendo Brugia preso casa nel villino di Sacrofano attiguo a quello di Carminati, e passando con lui intere giornate. Altri importanti esponenti di Mafia Capitale, come Buzzi, Calvio o Lacopo, pur non avendo un passato attestato nell’estremismo neofascista, sono amici personali di lunga data e quindi conosciuti e “fidati”. 

2.4) Il controllo del proprio contesto di riferimento
Lo stesso contesto in cui opera il sodalizio esprime un profondo radicamento dentro un circolo ristretto, facente capo agli ambienti “esclusivi” alla destra radicale, dentro il quale i protagonisti di questa storiaccia mostrano di sapersi muovere con la massima disinvoltura e confidenza, trovando alleanze, opportunità di business, manovalanza, ed anche, per così dire, “copertura” e rispettabilità sociale, e diventa quindi quel substrato “tradizionale” di radicamento primario di cui ogni mafia ha bisogno, anche quando entra nella fase dell’espansione in nuovi contesti. Quando parlo di contesto, mi riferisco ovviamente in primis a quello geografico: operano tutti nel quadrante di Roma Nord, fra i Parioli, Vigna Stelluti, il Fleming, il Flaminio e Sacrofano, un vero e proprio habitat elettorale e sociale della destra più radicale, che esprime quella piccola e media borghesia di “parvenus” e medi e grandi “commis” dell’Amministrazione Pubblica, dalla quale, peraltro, quasi tutti i protagonisti di Mafia Capitale sono stati allevati (nonostante l’estremo livello di degenerazione, anche nel modo di esprimersi, che Carminati manifesta, dopo tanti anni di frequentazioni criminali, egli stesso è, per unanime ammissione di tutti, un uomo intelligente, colto e perfettamente in grado di “stare” dentro contesti sociali altolocati). Il legame territoriale quasi simbiotico che, come ogni Mafia (organizzazione in primis territoriale, anche quando si espande) il gruppo esprime emerge dalle intercettazioni, dal richiamo costante che Carminati fa della sua appartenenza a Roma Nord (come quando Carminati contattava Santoni, dicendogli “ciao sono io, buongiorno…so’ quell’amico tuo di zona qui a Roma Nord…”). Tutti gli affari del gruppo si combinano quindi in “territorio amico”, dove Carminati e soci si sentono protetti e conosciuti, fra il benzinaio di corso Francia, l’Euclide di Vigna Stelluti, il bar Hungaria di piazza Ungheria, i ristoranti di Ponte Milvio e della Flaminia Nuova. Persino le telefonate “delicate” vengono fatte da una cabina di via Flaminia, o da una di viale Tiziano. Molto significativamente, perché è un altro connotato tipicamente mafioso, il territorio del boss, ovvero Sacrofano, si chiude in una perfetta omertà, se non in qualche tentativo di difesa dell’imprenditore edile sacrofanese Agostino Gaglianone, risultato, dalle emergenze investigative, colluso con il gruppo, e fortemente relazionato con Carminati1

Alcuni dei luoghi di Mafia Capitale. In alto  sinistra: corso Francia (con la stazione di servizio di Lacopo). In senso orario: piazza di Vigna Stelluti, Ponte Milvio, Sacrofano



Ma il contesto è anche culturale: non solo per nostalgia dei suoi vent’anni, ma anche per rinsaldare i legami affettivi con il gruppo, Carminati non di rado si lascia andare a rimembranze del suo passato di terrorista dei NAR, ricorda, persino divertito, di quando andò in Libano a fare il cecchino con i falangisti fascisti, nei primi anni Ottanta, tiene nella sua abitazione oggetti con una forte carica simbolica nell’immaginario neofascista, come una Katana giapponese, utilizza con i suoi uomini termini, come il “mondo di mezzo”, che evocano la paccottiglia pseudo-culturale delle letture tipiche dei neofascisti e degli ordinovisti, quando deve minacciare utilizza il linguaggio truculento dei picchiatori da strada dell’estrema destra (“lo famo strillà come un’aquila sgozzata”). Tutto questo non è casuale, serve per rinsaldare una sottocultura comune, nella quale i membri del gruppo possono riconoscersi e sentirsi a loro agio, quindi in ultima analisi sentirsi più legati al sodalizio. Anche questo è un comportamento mafioso: ad esempio, la ‘Ndrangheta ha elaborato un immaginario culturale, con tanto di mitologia delle origini (i famosi cavalieri Osso, Mastrosso e Scarcagnosso) e sincretismi cattolici, utile per rinsaldare la fedeltà dei propri affiliati. Lo stesso vale per Cosa Nostra, e per le elaborazioni politico/autonomistiche che Cutolo offrì alla NCO.

Conclusioni
In conclusione, Mafia Capitale appare come una organizzazione dai tipici tratti mafiosi, evolutasi dalla criminalità di strada verso una forma imprenditoriale di fornitura di servizi illeciti al “mondo di sopra” (l’agenzia di servizi) in condizioni di monopolio, quindi perfettamente inserita dentro le logiche di potere economico, amministrativo e politico di Roma, e per molti versi ad esse funzionale e servente. Una organizzazione che, accanto ai tipici caratteri intimidatori di una mafia (alimentati anche dal prestigio criminale di Carminati e dalla sua intelligenza organizzativa), ha accresciuto il suo potere grazie ad un notevole investimento in capitale sociale, capitale relazionale, che le consente di porsi al crocevia di una rete di rapporti, talvolta da essa stessa costruiti, talvolta ad essa preesistenti ma funzionali, con una capacità di estensione socio economica molto pervasiva e pericolosa, che dal centro di tutto, ovvero Carminati, si estende a raggiera, sia nel mondo criminale, in cui Carminati assume sempre più il ruolo di organizzatore e coordinatore (arrivando addirittura a pagare 20.000 euro ad un Casamonica, per tenersi buono il rapporto con il clan criminale) sia in quello imprenditoriale e politico/amministrativo. Il potere mafioso esercitato sul territorio si misura in termini di imprenditori collusi, che spesso vanno essi stessi a cercare protezione, amministratori coinvolti, comuni cittadini omertosi o impauriti.
Nell’ultimo capitolo di questa storia, si approfondiranno le biografie e i ruoli degli uomini coinvolti in Mafia Capitale.

1 Cfr. inchiesta del Fatto Quotidiano a Sacrofano del 04.12.2014