E’ iniziato in questi giorni a
Bologna, con grande enfasi mediatica, il maxi processo per l’operazione
Aemilia, che mette in luce la capillare penetrazione delle ‘ndrine calabresi
nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna. nello specifico, si tratta del
clan dei Grande-Aracri, che opera fra Cutro e Isola di Capo Rizzuto, in provincia
di Crotone. L’analisi di questo caso è interessante, perché dimostra le
caratteristiche tipiche dell’infiltrazione mafiosa a Nord.
La Grande Aracri nasce, come ‘ndrina,
negli anni novanta, da una scissione della storica ‘ndrina dei Dragone, per
contrasti relativi al traffico di stupefacenti. La seconda guerra di ‘Ndrangheta
è finita, portando a nuovi equilibri, si cercano modalità di composizione che
porteranno, negli anni, ad una struttura organizzativa in grado di controllare
tutto e mediare fra i conflitti interni. Ma nel crotonese gli equilibri sono ancora precari. Nel 1990,
Cutro si bagna di sangue. Ci vanno di mezzo anche gli innocenti. Il killer di
origine emiliana Paolo Bellini, affiliato alla ‘Ndrina, ammazza, a settembre di
quell’anno, un giovane pescivendolo, sul lungomare di Crotone, per un banale
litigio stradale. La sua presenza a Crotone mostra come i Grande Aracri siano
già insediati in Emilia.
A livello locale, la ‘ndrina
emergente si consolida rapidamente, stringendo alleanze. Con i Vrenna di
Crotone, storici padroni della città, stringono un accordo per la spartizione
al 50% dei proventi di tutti i traffici illeciti della città, tramite “Gnègnè”
Bonaventura, fiduciario dei Vrenna stessi. Si stringe un accordo con i Nicoscia
di Isola di Capo Rizzuto, e da quella che è considerata la capitale della ‘Ndrangheta,
il paese aspromontano di San Luca, il boss dei boss, “Gambazza” Antonio Pelle
conferisce a Nicolino Aracri il titolo di “crimine”, sostanzialmente colui che,
nella società maggiore, organizza le faide e le ritorsioni. Un titolo molto
importante, che lo investe della responsabilità di radicare in Emilia Romagna l’intero
sistema delle alleanze delle ‘ndrine reggine e della Locride, dai citati Pelle
ai Di Stefano.
Ed inizia l’espansione sistematica
a Nord, sancita dagli omicidi. A Brescello, il paese di Peppone e don Camillo,
nel 1992 viene ammazzato Giuseppe Ruggiero, catanzarese pregiudicato. La zona
di Reggio diventa un far west. Come nasce l’attenzione per l’Emilia Romagna?
nel modo più tradizionale, ovvero il trasferimento per residenza coatta. Nel 1982,
infatti, viene trasferito in soggiorno obbligato, nel reggiano, il boss
Francesco Aracri, detto “Manuzza”, ufficialmente bidello, fratello di Nicolino.
Rimanendo lì, stringe conoscenze con il sottobosco criminale locale, trova
coperture nelle parti non sane delle, altrimenti oneste, comunità di emigrati
cutresi.
Ed inizia una vera e propria clonazione
dell’apparato organizzativo della ‘Ndrina di Cutro nelle nuove terre di conquista,
replicando fedelmente strutture, uomini e gerarchie, oltre che i riti di
affiliazione. I legami con la politica si fanno inquietanti. Gli inquirenti
ricostruiscono le numerose e strane “discese” di politici reggiani a Cutro in
quegli anni, per presenziare alla processione. Manco
fosse il carnevale di Rio.
Ad ogni modo, in Emilia Romagna
la ‘ndrina tesse una serie di affari molto lucrosi, dal trasporto di rifiuti
pericolosi dal Nord vero la Terra dei Fuochi, al racket, all’influenza sugli
appalti pubblici per far entrare imprese collegate, soprattutto con il business
della ricostruzione dopo il sisma del 2012, ed in primis nel movimento terra. "È
caduto un capannone a Mirandola"; "eh allora lavoriamo là" è la
risposta accompagnata ridendo. "Ah si, cominciamo facciamo il
giro...". Questo un particolare estrapolato dalla intercettazione di un
colloquio tra due degli indagati della cosca Aracri.
Gli affari illeciti producono un
fiume di denaro riciclato negli immobili, nei terreni agricoli, in strutture
turistiche. Ed altrettanto tipico, si mantiene saldo il rapporto con la ‘ndrina
di provenienza, nel frattempo impegnata in una nuova faida con i Dragone e gli
Arena, in terra natia. Una parte dei proventi, infatti, viene spedito in
Calabria tramite un ingegnoso sistema di false fatturazioni fra imprese legate
al clan. Anche questo è un tratto classico, le ‘Ndrine operano su diversi
piani, anche nazionale ed internazionale, ma il radicamento nel territorio di
origine rimane strategico, non solo per motivi affettivi, o per l’ovvia
conseguenza della struttura fortemente familistica della ‘Ndrangheta, che la
contraddistingue rispetto ad altre mafie, ma molto pratici: il livello locale
fornisce gruppi di fuoco affidabili, possibilità di nascondere e proteggere i
latitanti, nuove leve (Giap Parini, 2012).
A gennaio 2015, la ‘ndrina viene
decapitata: a seguito dell’operazione Aemilia, infatti, vengono arrestate 160
persone in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia
delle procure di Bologna, Catanzaro e Brescia tra cui affiliati dei Grande
Aracri e il presunto capo della locale di Reggio Emilia, nonché il capogruppo
di Fi di Reggio Emilia. Gli arrestati sono accusati di associazione di tipo
mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi, intestazione
fittizia di beni, reimpiego di capitali di illecita provenienza, emissione di
fatture per operazioni inesistenti. A Luglio 2015, nuova fase dell'operazione
Aemilia: nove arresti, un sequestro di nove società, beni e attività
commerciali per oltre 330 milioni di euro, e un altro sequestro di beni per circa
mezzo milione di euro. Cadono nella rete anche dei giornalisti locali, accusati
di fare campagne mediatiche per proteggere la ‘Ndrina (evidenziando la capacità
di comunicazione che tale organizzazione detiene), ed avvocati accusati di fare
indebite pressioni per ottenere decisioni favorevoli nei processi. Si ipotizza
una spartizione territoriale sul modello delle Locali, con tre capi-locale su
Reggio Emilia, Parma e Modena. Il processo inizia subito nel modo classico, con
richieste di spostarlo a Catanzaro, il boss Aracri che si sente male e vuole
essere trasferito in ospedale, gli avvocati intenti ad affermare che l’Emilia
Romagna non è affetta da infiltrazioni mafiose, gli imputati che si difendono
affermando di essere semplici emigranti.
Ovviamente si apre uno spazio,
per l’insediamento di nuove realtà. L’Emilia Romagna è già oggi affetta da
altre presenze, come le ‘Ndrine Bellocco e Mancuso su Bologna, i
Farao-Marincola su Ferrara, e così via (fonte. Mappa della mafia in Emilia
Romagna). Senza contare la forte presenza camorristica.
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