lunedì 16 novembre 2020

Vincolo esterno e depressione economica: dove stiamo andando in Europa?

 How is EU cooperation on the Covid-19 crisis perceived in member states? –  CEPS

Storicamente, il vincolo esterno, tramite l'adesione a Maastricht e all'euro, fu scelto, in una fase di grande caos (destrutturazione del sistema politico precedente ad opera di Tangentopoli, crisi valutaria nello Sme) da una classe dirigente che non si riteneva in grado di dare una disciplina ad un Paese complesso e fortemente individualistico, nel quale il senso dello Stato non era maturato a sufficienza. In ciò spinta anche da poteri esterni, interessati a liberalizzare il Paese per poi mangiarselo (non bisogna dimenticare che continuiamo a scontare gli effetti di lungo periodo della sconfitta nella seconda guerra mondiale). Si sperava che una disciplina eterodiretta, baluginando la continua prospettiva di una crescente integrazione europea come utopia da vendere ai ceti sociali che avevano dato maggiore consenso a Tangentopoli, fosse sufficiente a dare una disciplina al Paese.

 

Romano Prodi | Ci manca il coraggio di Andreatta

 

Gli anni sono passati, si è esaurita la prospettiva di una costruzione europea nella quale la Germania, da Paese leader, si sarebbe assunta le relative responsabilità, accollandosi in particolare il debito sovrano dei singoli Stati membri, la mitologica "condivisione dei rischi" tanto invocata dai quisling nostrani. Ciò non si è verificato, la Ue è rimasta un campo di battaglia di nazionalismi, i più deboli sono stati schiacciati, la Germania ha piegato la costruzione comune ai suoi interessi, imponendo il suo modello economico senza contropartite in termini di tutela di interessi comuni.

Questo modello non poteva reggere all'urto di uno shock di grandi dimensioni. Quando è arrivato il primo shock, con il fallimento sovrano greco, si è data la classica risposta dei deboli, ovvero una risposta repressiva. La Grecia è stata demolita sull'altare del mantenimento di questa costruzione germanocentrica, con tanto di complicità dolosa dei nostri dirigenti, in particolare Letta, Renzi ed il Pd, incapaci di capire che poi sarebbe toccato a noi, speranzosi di ottenere qualche micro vantaggio in termini di flessibilità di bilancio. Questa incapacità non è sorprendente. Decenni di linea strategica servile agli eurointeressi ha, di fatto, disattivato ogni pensiero alternativo nella nostra classe dirigente. C'è un inerzia che si crea quando una linea viene seguita per molto tempo, e diventa anche moralmente difficile modificarla.

Il Covid ha dato il colpo, a mio parere ferale, a questo modello. Perché la depressione che ne è seguita ha di fatto reso impossibile l'utilizzo del modello ordoliberista persino al Paese leader. Nemmeno la Germania è in grado di rispettare il Patto di stabilità. Il modello-Bundesbank della Bce avrebbe portato ad una catena di default da cui non si sarebbe salvato nessuno. La Merkel e la sua dipendente, la Von Der Leyen, due persone che, per quanto detestabili sotto il profilo politico inteso con la P maiuscola e sotto quello morale, sono estremamente intelligenti, lo hanno capito al volo. La Bce è stata, nei limiti dei suoi trattati, trasformata in qualcosa di vagamente simile ad un prestatore di ultima istanza (non è proprio così, ma ci si avvicina), il Patto di stabilità è stato sospeso, gli aiuti di Stato resi più elastici.

 

 Streit um Renten: Angela Merkel lässt Ursula von der Leyen allein - WELT

 

La situazione nuova ha indotto alcuni segmenti della nostra classe dirigente a riconsiderare l'approccio culturale sin qui seguito. Mentre Letta continua a far finta di non aver capito, e d'altra parte tiene famiglia e lavora a Parigi, e Marattin e Calenda continuano a resistere (ma stiamo parlando di casi umani) ecco Sassoli che butta lì l'idea di un consolidamento del debito, la Serracchiani (rendiamoci conto!) che parla di investimenti pubblici nella sanità, insieme a Speranza (altro riconvertito sulla via di Damasco), Gualtieri che arriva a mettere in atto una resistenza rispetto all'accesso al Mes e chiede di prolungare al 2022 la sospensione del Patto di stabilità, Prodi che avvia un sia pur parziale e timido mea culpa rispetto all'ingresso acritico e senza garanzie nell'euro, Fazio che inizia a parlare di politiche keynesiane. 

 

 Cos'è il Patto di stabilità e cosa prevede? Eccolo spiegato in cinque punti  - Pictet per Te

 

Naturalmente non c'è molto da attendersi, in molti casi si tratta di riposizionamenti tattici, è evidente che, terminata la crisi sanitaria, a partire dal 2022, il tema del ripristino dell'austerità verrà tirato fuori, e l'Italia non ha né la forza, né l'intelligenza diplomatica per resistere.

Io però ho anche la sensazione che i danni culturali ed anche materiali al modello di pensiero dominante degli ultimi trent'anni ci siano stati, siano evidenti e non riparabili. Non si potrà far finta di niente. La Germania sarà la prima a non poter evitare il dilemma fra un cambiamento di modello di leadership europeo, non più sostenibile in una situazione esplosiva di incremento senza limiti dei debiti sovrani nazionali e crescita ancora stagnante (al netto del breve rimbalzo congiunturale post crisi) e l’abbandono, sic et simpliciter, della costruzione europea. Non è facile dire cosa prevarrà, il pensionamento della Merkel priverà la destra tedesca della sua esponente più europeista, e i poteri forti della destra finanziaria, che si esprimono attraverso le posizioni della Bundesbank e della Corte Costituzionale, oltre che in molti consulenti e sodali della Merkel (come Sinn o Schaeuble) sono evidentemente favorevoli all’abbandono dell’euro, o alla costruzione di un euro del nord, espellendo i Paesi mediterranei. D’altra parte l’ascesa elettorale dei Grunen, fortemente europeisti, potrebbe controbilanciare tali tendenze.  

Una cosa però è sicura: non torneremo al Patto di stabilità come era prima. Nessuno è più in grado di rispettarne i parametri, nemmeno la Germania, il cui rapporto fra debito e Pil andrà oltre il 70%, in una condizione in cui la sua industria, fortemente export oriented, avrà difficoltà, in un mondo in crisi, a recuperare rapidamente ed in cui il suo sistema creditizio è oggettivamente pericolante. Il grado di sopportazione sociale ha raggiunto limiti non più gestibili. Se la prossima leadership tedesca dovesse decidere di tenere in piedi l’edificio eurista, nel peggiore dei casi, peraltro il più probabile, si andrebbe verso un Patto di stabilità light, nel quale si imporranno limiti alla crescita della spesa pubblica corrente, lasciando gli investimenti liberi di correre, mentre la Bce manterrà in piedi forme, meno generose di quelle attuali, di copertura dei debiti sovrani dallo spread. Probabilmente avremo anche qualche concessione di flessibilità nell’intervento pubblico a sostegno di grandi imprese o banche in difficoltà, seppur temporaneo e limitato alla fase di risanamento e rilancio e solo per imprese strategiche aventi prospettive di rilancio concrete, con un allentamento permanente, non più solo temporaneo, della disciplina degli aiuti di Stato. Questo perché è lo stesso Ministro tedesco Altmayer ad aver elaborato e ampiamente diffuso un piano di salvataggio pubblico delle imprese in crisi. Sul versante fiscale, l’alleggerimento della pressione sarà consentito solo in cambio di riduzioni strutturali dell’area dell’evasione e si punterà, a gettito invariato, su uno spostamento del carico dalle imprese e dal lavoro verso i beni.

Sarà un mondo migliore? Tutto sommato non credo. Sarà sufficiente a far ripartire l’economia europea? Ne dubito fortemente, perché gli interventi sopra tratteggiati non configurano un cambiamento di paradigma, come sarebbe oltremodo necessario, ma soltanto un adattamento ed ammorbidimento del paradigma esistente. Per il momento dovremo adattarci.

mercoledì 11 novembre 2020

Galleria di personaggi livornesi: la Ciucia

 L'unica foto esistente della Ciucia

 

Nella lunghissima galleria dei personaggi minori che hanno fatto la storia e conferito l'anima a Livorno, un posto speciale va a Bruna Barbieri, da tutti conosciuta come la "Ciucia". Un personaggio talmente importante nella storia popolare della città da aver dato il suo nome ad una espressione dialettale: "sei vestito 'ome la ciucia", si dice di chi esce di casa senza aver curato il suo aspetto.

Bruna Barbieri nasce a gennaio del 1911 nel popolarissimo quartiere della Venezia, a viale Caprera. Chiamato come la Serenissima perché attraversato da canali artificiali, oggi il quartiere è una attrazione turistica ed un luogo di movida, ma nel 1911 era un terrificante concentrato di miseria, costituito da palazzi poveri, senza acqua corrente, che affacciavano direttamente su fossi maleodoranti, con chiazze di nafta navale che galleggiavano sull'acqua, scarichi fognari ed un convivenza forzata fra uomini, topi e malattie endemiche come il colera. Per recuperare acqua potabile, le donne di casa dovevano fare chilometri a piedi con i secchi, fino alle Terme del Corallo o alla Puzzolente. La fame era reale. Un operaio portuale o dei cantieri navali prendeva circa 2 lire di stipendio al giorno, equivalente a circa un chilo di pane o di riso ed un chilo di formaggio. Mezzo chilo di burro costava quanto una intera giornata di lavoro. Per un paio di scarpe dozzinali bisognava lavorare senza mangiare per una settimana. 

 Viale Caprera, la strada dove la Ciucia nacque e visse, fotografata ai suoi tempi


 

Mentre l’Uruguay battllista lancia il primo esperimento di socialdemocrazia, il disordine sociale in Russia prepara la strada alla Rivoluzione di ottobre, mentre le tensioni fra Germania, Francia e Gran Bretagna crescono di pari passo con la decadenza dell’Impero Ottomano e di quello Austro-Ungarico, fino a sfociare nella Grande Guerra, l’Italietta giolittiana si autocelebra nelle eleganti manifestazioni del cinquantenario dell’unità e nel piccolo sogno imperiale provinciale della conquista della Libia. Trascurando le enormi sperequazioni sociali, il governo monarchico-liberale getta, ogni tanto, alcune concessioni, il diritto di sciopero, i primi provvedimenti di tutela del lavoro femminile ed infantile, il suffragio universale maschile, il giovane Vittorio Emanuele III fa sfoggio retorico di apparenti preoccupazioni per le condizioni disperate in cui versano i contadini e le classi proletarie urbanizzate, fra le quali il socialismo cresce, di pari passo con tendenze più massimaliste di tipo anarchico.

In questo contesto di grande deprivazione e di ingiustizia, in una città divisa fisicamente fra ghetti popolari, rinserrati nel malsano perimetro delle acque sudicie dei fossi, e quartieri borghesi più salubremente affacciati sul mare, la piccola Bruna cresce, giocando fra palazzi dall’intonaco scrostato e pratoni sporchi con un gatto randagio ed un amichetto del cuore soprannominato Ciucio (e da lì il soprannome Ciucia dato alla ragazza). La famiglia subisce, nella disgrazia generale, una serie di ulteriori sfortune: il padre muore al fronte nel 1917, la famiglia, originaria della provincia di Ferrara, è molto numerosa: la madre Bois Elettra detta “Narcisa”, i due nonni e ben cinque fratelli. Il più grande, Renato, detto “Attao”, è un’altra figura mitologica di Livorno. Grande e grosso come una montagna, a soli 14 anni diviene l’uomo di casa. Spaventoso scaricatore di porto (si narra che sollevava balle di cotone di diversi quintali con un braccio solo) diverrà un campione di canottaggio con l’equipaggio degli Scarronzoni, medaglia d’argento alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932.

Come in tutte le famiglie colpite dalla disgrazia, arriva anche la malattia. A nove anni la Ciucia si ammala gravemente: probabilmente è encefalite letargica, ma di preciso non si saprà mai, i poveri non avevano assistenza sanitaria (all’epoca, tale malattia era conosciuta come la “nona”). Rimane per quaranta giorni a letto fra sonno e deliri, con la febbre alta. Quando oramai viene data per morta, si risveglia riferendo di aver sentito delle voci, durante il coma, che le dicevano che doveva aiutare gli altri, che questa era la sua missione nella vita. La malattia lascerà segni indelebili: la Ciucia rimarrà leggermente claudicante e strabica, con un fisico molto gracile, probabilmente segnata anche a livello neurocerebrale.

Si tratta della svolta della sua vita e di una sorta di chiamata alle armi. Vestita sempre in modo molto semplice e sciatto, con vestiti rattoppati, i capelli tenuti insieme da una molletta, l’irrinunciabile fazzoletto rosso da anarchica al collo, alle volte una medaglietta della madonna di Montenero, passerà la sua esistenza a correre avanti ed indietro per la città (“andava via come il vento e non era raro che qualcuno affermasse di averla vista in punti diversi della città contemporaneamente”, disse una testimone) per cercare di fare del bene agli altri, nel Paese che pencolava verso il fascismo, nella Livorno inquieta del primo dopoguerra, fra occupazioni di fabbriche, scioperi e manifestazioni, reduci di guerra ridotti alla fame sui marciapiede, la nascita del partito comunista a poche centinaia di metri da dove Bruna abitava e l’ascesa del fascismo di Costanzo Ciano che organizzò, insieme a Dino Perrone Compagni, una vera e propria “marcia su Livorno”, antesignana di quella su Roma, dove, dopo omicidi, pestaggi e devastazioni, invase con le camicie nere la sede del Comune costringendo l’amministrazione a guida socialista di Mondolfi alle dimissioni. 

 Un ritratto della Ciucia fatto da un suo contemporaneo



Gli aneddoti sulle opere di bene di Bruna occuperebbero un intero volume. D’estate organizzava gite balneari per i bimbi poveri del quartiere verso il Calambrone, dove, grazie alle donazioni di commercianti e cittadini, distribuiva fette di cocomero, duro di menta regalato dalla Chiccaia (altro personaggio popolare che meriterebbe una descrizione a parte) pane con lo zibibbo chiamato volgarmente “topa”, oppure li portava al cinema a guardare i primi film americani e, negli anni dopo, i brutti film fascisti di propaganda. Soprattutto negli anni della guerra, dove le donne erano costrette ad inventarsi un mestiere per arrotondare i magri introiti familiari, la Ciucia diventò una sorta di maestra d’asilo per i bimbi del quartiere. Li portava nella caserma Lamarmora, oggi edificio di edilizia popolare, dopo che i soldati avevano mangiato, per raccogliere dalle pignatte della cucina i resti del cibo, oppure ai quattro mori, per raccontare loro favole e leggende. I soldati, specie quelli feriti o malati di ritorno dal fronte, erano un altro oggetto delle sue attenzioni. Portava loro cibo e medicine, o si faceva carico di spedire le loro lettere ai familiari.

Facendosi forte della solidarietà delle popolane, costringeva i commercianti di piazza Cavallotti, con le buone o le cattive, a cederle un po' di cibo, oppure i pescatori di ritorno dalla nottata a darle una secchiata di pesce da zuppa, da distribuire poi alle famiglie più povere del quartiere. Se rifiutavano, erano guai. Si narra che un giorno, per costringere un negoziante a consegnarle della stoffa, si presentò con una gabbia piena di topi, minacciando di lasciarli liberi per la bottega. Un’altra volta, un giovane soldato di partenza per il fronte le confessò il suo rammarico per non poter regalare niente alla sua fidanzata. Allora la Bruna organizzò una colletta, raccogliendo la cospicua cifra di 98 lire. Si recò da un gioielliere di via Grande per comprare una collanina. Ma costava 102 lire ed il commerciante si rifiutava categoricamente di rimetterci 4 lire di differenza. La Ciucia non si scompose, chiamò a raccolta tutte le comari del quartiere che, fra spintoni, urla e insulti, costrinsero il gioielliere a cedere.

Niente tenne per sé, rimanendo povera e vestita male come era sempre stata. Nel suo delirio di generosità, pretendeva soltanto una cosa: attenzione ed affetto. Una testimone racconta che “ogni pomeriggio alle due spaccate, cascasse il mondo, le comari della Venezia se ne scendevano a veglia e Bruna faceva parte della combriccola. Apparentemente se ne stava in disparte, tuttavia sembrava sempre in cerca delle premure del prossimo e, se nessuno la considerava, arrivava a distribuire benevoli scappellotti pur di calamitare l'attenzione su di sé”. In disparte rimaneva anche durante le sagre e feste del quartiere, dove però intimamente sembrava rallegrata dal vedere i bambini divertirsi e ballare. Questa povera anima semplice, infiammata da un bisogno infinito di amore che tracimava in una sorta di ricerca ansiogena continua di mostrarsi tramite la beneficenza, era in fondo una vittima, vittima di un amore paterno non conosciuto a sufficienza, vittima del suo mondo interiore sconvolto dalla malattia infantile, vittima delle distanze invisibili eppure siderali che dividono il marginale, il deviante, il tipo strano, dal resto del mondo. Distanze che, poverina, cercava di ridurre con l’unico modo che conosceva: fare del bene al prossimo. Il bambino povero della Venezia era per lei la proiezione di quella povera bambina cenciosa che era stata, il giovane soldato che le parlava della fidanzata la proiezione di un amore che non aveva conosciuto, il padre di famiglia disoccupato l’immagine di quel padre agognato e perso troppo presto.

 Il suo rapporto con l’Autorità fu burrascoso. Invasata da quello spirito anarchico che è proprio della sua città, quando passavano le camicie nere sputava per terra ed inveiva contro Mussolini, considerato la fonte della italica disgrazia. Due o tre volte questo atteggiamento le costò dei periodi di reclusione nell’ospedale psichiatrico di Volterra, d’ordine del Prefetto. La legislazione fascista associava la ribellione politica ad una forma di malattia psichica e prevedeva l’internamento obbligatorio in ospedali che, in realtà, erano delle carceri vere e proprie.

Ma alla fine non passò inosservata al Ras fascista di Livorno, Costanzo Ciano, che, con il fiuto politico che lo contraddistingueva, capì che questa popolana antifascista, così benvoluta dalla Livorno povera, poteva tornargli utile come strumento di propaganda. Allora la invitò, un giorno, a casa sua. Possiamo soltanto immaginare cosa volesse dire, per una ragazza cresciuta nei gomitoli di strade stretti, fatiscenti e maleodoranti della Venezia prendere un tram per andare nell’altra Livorno, quella dei ricchi, all’Ardenza, fra strade larghissime e pulite, villini familiari immersi nel verde, il profumo di sale del mare anziché il puzzo di botro dei fossi, l’odore dei pini mediterranei anziché quello delle taverne, le signore eleganti, con veti candidissime, che prendevano il tè alle baracchine, anziché le grasse popolane che bevevano il rumme. Un viaggio incredibile, trasognato, qualcosa di simile a quello di un ragazzo uscito da una bidonville africana che arriva in una metropoli europea. Ciano la accolse con tè e pasticcini nel suo studio personale, fra busti marmorei del Duce, dipinti di macchiaioli toscani, mobili antichi laccati. Possiamo solo immaginare la povera Bruna, con il suo passo zoppicante, il suo sguardo strabico, i suoi vestiti rammendati mille volte, la sua criniera mora, tenuta a bada da un mollone, che non conosceva parrucchiera, che avanzava sul parquet dell’enorme stanza, guardandosi intorno come se si trovasse in un pianeta alieno. E le disse “ma dimmi, Bruna, cosa ti serve? Io per te faccio tutto”. Allora lei, ripresasi dalla sua meraviglia, con prontezza e sfrontata gli disse “lo sa’osa, Eccellenza? Vorrei rifammi i denti”. Ciano le pagò il dentista, e da quel giorno, ogni volta che uno squadrista le si avvicinava per pestarla o arrestarla, gli mostrava i bei denti bianchi rifatti e gli diceva “bimbo, sta cheto che sono ami’a di Ciano”. Da quel momento, lo scaltro gerarca non mancò di rifornirla di generi di conforto, che lei regolarmente distribuiva ai più bisognosi, trasformandola, suo malgrado, in un fattore di stabilizzazione sociale. 

 La "modesta" dimora del gerarca Ciano


 

La sua fine è avvolta nel mistero, come per ogni leggenda che si rispetti. Nella Livorno martoriata da ben cento bombardamenti aerei, anche la famiglia di Ciucia fu sfollata nelle colline del Gabbro, attorno alla città. Lì, a giugno 1944, la ragazza, ad appena 33 anni, scompare nel nulla. C’è chi dice che sia saltata su una mina mentre cercava di rientrare a Livorno al seguito delle truppe americane, nell’intento di andare a curare i feriti rimasti in città, chi che sia stata falciata da una mitragliata dei tedeschi in fuga, chi giura di averla vista, ancora viva, ma mutilata ad una gamba, su un barroccio, chi giura di averla vista fucilata dai tedeschi prima che si ritirassero. Nessuno lo sa. Negli anni cinquanta, i familiari la fecero dichiarare morta. Una tomba vuota, con la sua unica foto rimasta, è all’ingresso del cimitero dei Lupi. 

 Il quartiere Venezia di Livorno distrutto dai bombardamenti


 

Siccome nessuno l’ha mai vista morta, allora a me piace pensare che, come per quelli che hanno visto Elvis vivo, sia sopravvissuta alla guerra. Magari andandosene negli Stati Uniti con qualche ragazzone della U.S. Army di cui si innamorò, o magari, stanca dell’aria malsana del suo quartiere di città ed affascinata dalla campagna del Gabbro, che sia rimasta lì, in qualche paesino rurale della Val di Cecina dove la gente pensa ai cazzi suoi e non fa tante domande, con un nome falso, a curare il suo orto, a sputare sui fascisti ed a continuare a fare del bene, in segreto. Se lo sarebbe meritato. 

Per altri dettagli su questo personaggio straordinario, cfr. "La Ciucia per tutti, Bruna per noi", di Tiziana Savi, Books & Company, 2007

 


lunedì 9 novembre 2020

Una analisi del voto statunitense

 


Cercherò di mettere in fila le analisi del voto statunitense in larga misura già fatte, tentando di supportarle con i dati e, spero, con sufficiente sintesi. Iniziamo dalla partecipazione al voto, straordinariamente elevata, tanto che Biden risulta essere il recordman dei voti presi, ed il soccombente Trump, pur perdendo, ha preso otto milioni di voti in più rispetto alla sua vittoria del 2016 (questo elemento, tra l’altro, contribuisce a rendere fragile la narrazione trumpiana del “broglio elettorale”).

Sicuramente nell’altissima partecipazione ha influito il grande allargamento della possibilità di voto per posta e del voto anticipato per persona (possibile anche di sabato) scelto come misura di profilassi anticovid. Almeno sei Stati - tra cui Texas, Colorado, Washington, Oregon, Hawaii e Montana - hanno registrato più voti nelle votazioni anticipate e per posta rispetto al totale del voto espresso nelle elezioni del 2016. Altri, tra cui Florida, Georgia e North Carolina, si sono avvicinati al totale del 2016. Va rilevato infatti che molti osservatori attribuiscono il tradizionalmente basso indice di partecipazione al voto a fattori piuttosto banali, come ad esempio il fatto che si voti in un giorno feriale come il martedì, per cui molti elettori, specie i più poveri e precari che lavorano ad ora o a giornata, non possono permettersi di fare la fila ai seggi, perdendo il giorno di lavoro. 

 Fila ai seggi elettorali USA



 

 

 

 

E’ meno probabile, invece, che l’altissima partecipazione sia stata stimolata da alcuni dei temi programmatici sui quali i democratici puntavano per riprendersi la Casa Bianca, in una campagna elettorale fatta di insulti e di pochissimi spunti programmatici. Detto onestamente, la vittoria di Biden non può essere considerata “di misura”. Questa illusione ottica proviene dalle prime ore dello spoglio, nelle quali gli Stati più rapidi nel determinare la vittoria (o perché poco popolati, come nel caso del Mid West, o perché largamente dominati da uno dei due contendenti) sembravano dare una maggioranza a Trump. In realtà, a spoglio concluso, dobbiamo evidenziare che Biden, con le più che probabili vittorie in Arizona ed in Georgia, arriverà a 306 grandi elettori, ben 36 in più del minimo necessario per vincere, un margine leggermente superiore a quello che Trump conquistò nel 2016, portando a casa 26 Stati ed un vantaggio sull’avversario, nel voto popolare totale, di oltre 4 milioni di suffragi.

 Risultati elettorali nel 2016 (sopra) e nel 2020 (sotto)





 

 

 

 

 

 Evidentemente, la pessima gestione dell’epidemia di Covid da parte di Trump, imperniata sull’egoismo sociale di chi non voleva chiudere il business e ricoperta da una patina demagogica che ha fatto largo uso di ogni pessimo stereotipo negazionista, una strategia pagata soprattutto dagli strati popolari che hanno maggiori difficoltà di accesso alla sanità, ha pesato in modo rilevante sui risultati finali. Basti pensare che il rapporto fra contagiati e popolazione (287 ogni 10.000 abitanti) è quasi il doppio del dato italiano (149 ogni 10.000) ed anche il rapporto fra morti e popolazione (7,5 ogni 10.000) è peggiore di quello italiano (6,8) e la curva è ancora stabilmente nel braccio esponenziale. Questa catastrofe, affrontata in modo troppo leggero, ha sicuramente pesato sul voto finale.

Tuttavia, questa vittoria non è minimamente nelle proporzioni immaginate dalla retorica del “landslide” con cui i Democratici pensavano di poter trionfare, sondaggi alla mano (ed i sondaggi rivelano nuovamente la loro fragilità predittiva). Evidentemente, l’ipotizzato fattore di coinvolgimento che il movimento “Black Life Matters” si è rivelato, tutt’al più, un elemento di consolidamento del perimetro del voto già orientato verso i Dem, incentivando i simpatizzanti di quel partito ad andare a votare, senza attrarre voti aggiuntivi dal perimetro esterno di quell’area politica. E questo perché, fondamentalmente, l’obiettivo di quel movimento è un obiettivo falso. Come anche cercavo di spiegare in un altro articolo (https://www.blogger.com/blog/post/edit/7596973223154772791/2987783415820434843 ) l’oggetto reale delle violenze poliziesche, al netto forse di qualche sceriffo di contea di qualche Stato del Dixieland o di qualche suprematista che si è arruolato in polizia, non è primariamente razziale, è soprattutto di classe: i corpi di polizia degli USA sono violenti soprattutto con i poveri e gli emarginati, siano essi neri, bianchi, rossi o verdi. Poliziotti neri randellano come tonni arrestati neri come se niente fosse. Questo per vari motivi, alcuni dei quali molto prosaici: se sei povero ed emarginato, non potrai permetterti un avvocato che ti difenda dalle violenze poliziesche. Altre sono ideologiche: nella patria del protestantesimo più ortodosso, se sei povero ed emarginato hai meno diritti di chi è ricco e famoso, non sei eletto dal Signore, sei cattivo, meriti il randello ed il taser. Che poi la stragrande maggioranza delle vittime di violenze poliziesche sia afroamericana dipende essenzialmente dal fatto che i poveri e gli emarginati sono afroamericani in una percentuale spropositata di casi, e che, come evidenzia la ben nota teoria del “labelling”, se sei un membro di una minoranza etnica verrai considerato, agli occhi del poliziotto che ti ferma per un controllo, potenzialmente più pericoloso di un bianco con cravatta e valigetta 24 ore.

Evidentemente, queste considerazioni sono note anche alla piccola (ed, in misura crescente, anche medio/alta) borghesia afroamericana e latina che, di fronte a richieste irragionevoli di definanziamento dei corpi di polizia portate avanti dai Black Life Matters, in contesti urbani dove la criminalità è endemica, alla fine darà poco credito a presunte suggestioni “razziste” e voterà per il GOP. Guardiamo i dati di una inchiesta di tipo “nowcast” effettuata da AP Votecast[1]. Tale indagine, piuttosto affidabile, ci dice che l’8% dell’elettorato afroamericano, una quota più o meno coincidente con la parte di afroamericani che sono ascesi a condizioni sociali borghesi, ha votato per Trump. Tale percentuale sale al 35% per i latinos, per effetto del voto di comunità, come quella cubana della Florida o quella portoricana, quest'ultima spesso radicata nel piccolo commercio o nei servizi alla persona, tendenzialmente vicine ai Repubblicani, che controbilanciano il voto dei chicanos, chiaramente incazzati per i discorsi sul muro lungo il Rio Bravo.

Rimangono però dei fatti difficilmente contestabili. Che l’altro 80% degli elettori afroamericani, sempre secondo la rilevazione AP votecast, ha votato per Biden. Che il 53% di chi guadagna meno di 50.000 dollari all’anno ha votato per Biden. E questo spiega perché il voto operaio in Stati cruciali della Rust Belt che nel 2016 avevano determinato la vittoria di Trump, come Pennsylvania, Wisconsin e Michigan, lo stesso Michigan che, prima dell’arrivo di Trump, ha vissuto il drammatico default della città di Detroit, che l’ha trasformata in un enorme ghetto distopico, è passato a Biden. Cfr. il link seguente per le tabelle complete: https://www.npr.org/2020/11/03/929478378/understanding-the-2020-electorate-ap-votecast-survey?t=1604737387776

 Il motivo è che Trump ha fondamentalmente deluso le aspettative di riscossa della manifattura statunitense in declino. La crescita occupazionale sotto Trump si è concentrata negli Stati dell’Ovest, che in alcuni casi sono la nuova frontiera dell’industria hi-tech, generando quindi posti di lavoro ad alto livello di competenze digitali e creatività tendenzialmente filodemocratici ed in alcuni Stati del Sud (Texas, Florida, Alabama) che da sempre sono fortini repubblicani. Gli Stati della Rust Belt hanno continuato a restare indietro: mentre la crescita occupazionale nel Texas ed in California ha superato il 6%, nel Michigan, Wisconsin ed Ohio essa è stata del 2%, meno della metà della media nazionale del 4,5%. 

Andamento della creazione di lavoro durante il mandato di Trump


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Fonte: QCEW-Reuters

Inoltre, e ciò è anche più determinante, i 4 anni di Trump non hanno riequilibrato a livello territoriale le diseguaglianze del territorio, peggiorando le distanze a carico dell’area della Rust Belt. In base all’indice “distressed communities index”, elaborato da AIG in base ad una sintesi di indicatori di povertà, disagio sociale ed educativo, mercato del lavoro e valori immobiliari, il nucleo del crescente disagio è proprio concentrato negli Stati centrali della Rust Belt, oltre che nel Mid West e nel nord est dove i Democratici fanno man bassa. 

 Variazioni del distress index fra 2000 e 2018


 Fonte: AIG

Evidentemente il fallimento di certe promesse di rilancio si paga. Chi, anche da noi, si è illuso che Trump potesse, da destra, riequilibrare le grandi diseguaglianze sociali del Paese dovrà necessariamente ricredersi. Trump ha rappresentato soltanto una diversa versione, più becera ed urlata, del liberismo delle classi dirigenti degli USA, acquisendo un temporaneo consenso fra i ceti sociali più fragili solo in virtù della demagogia.

Resta da capire cosa farà Biden della sua vittoria. Credo molto poco. Il Senato è restato solidamente in mani Repubblicane, il che, almeno nei primi due anni, creerà problemi soprattutto in politica interna e nella politica economica (meno in politica estera, dove il Presidente può sfruttare gli Executive Agreement per bypassare il Congresso), anche se Biden potrebbe usare la sua esperienza e le sue relazioni con i senatori per cercare di ovviare alla sua posizione di minoranza, soprattutto ora che segmenti non piccoli del Partito Repubblicano avranno il problema di sbarazzarsi dei residui del trumpismo. Ma sono soprattutto l’età ed il carattere poco propenso all’avventurismo di Biden a far pensare che ben poco verrà fatto in termini attivi, mentre il grosso del lavoro sarà concentrato sullo smantellamento di quanto realizzato dal suo predecessore rispetto ai temi migratori, sulla difesa dei diritti civili e dell’Obamacare, nonché su un approccio radicalmente diverso all’epidemia di Covid, basato sul primato della salute pubblica rispetto al business. Le prospettate concessioni sindacali e il salario minimo, fatte per acquisire i voti di Sanders, difficilmente saranno realizzate.

In politica estera, dove il nostro potrebbe avere maggiori margini di manovra, è probabile che l’asse dell’alleanza in funzione antisciita (ed antipalestinese) messo in atto da Trump insieme al suo compare Netanyhau e a qualche monarchia araba sarà parzialmente spostato in direzione della riapertura di un dialogo, comunque necessariamente competitivo, con l’Iran. E’ altresì probabile che la crescente tensione con la Cina verrà affrontata con armi più sofisticate rispetto al protezionismo commerciale di Trump (che non ha prodotto benefici per le imprese esportatrici USA, fortemente legate ai Dem) cercando una via più politico/diplomatica di costruzione di un fronte multilaterale di Stati ed agendo sui temi del rispetto dei diritti umani e della democrazia. Il resto non cambierà di niente.Per noi europei, la prospettiva è quella di un rafforzamento dei meccanismi della Ue, peraltro mai seriamente sfidati da Trump.

E’ peraltro probabile che, fra due anni, Biden “abdicherà”, avendo raggiunto gli 80 anni, a favore della Harris, che sempre più appare ed agisce come il Presidente “in pectore”.

E’ così da sempre negli imperi: al loro cuore, tutto cambia affinché niente di sostanziale cambi.

 



[1] Tale indagine si basa su questionari sottoposti a campioni di elettori, i cui risultati vengono aggiustati mediante gli esiti di exit polls, combinando i due metodi di analisi su un campione numericamente consistente e statisticamente rappresentativo.