Accolgo sul mio blog questo articolo di Giuseppe Angiuli su Stefano
Fassina. E' un articolo molto duro, per certi versi è ingiusto accusare
un leader per la sua biografia, visto che in politica, come nella vita,
tutto può cambiare, così come certe espressioni (il presunto
"gesuitismo" di Fassina) non sono per me condivisibili. Però il fondo
della tesi dell'articolo di Angiuli, ovvero che Fassina, consapevolmente
o meno, stia lavorando per mantenere sulla linea di galleggiamento una
sinistra che non ha più niente di costruttivo da dire, operando da freno
al necessario cambiamento del rapporto dell'Italia con la Ue, e quindi
schierandosi con chi vuole mantenere una condizione di subrodinazione
del nostro Paese alle logiche germanocentriche dell'euro, è corretto. Purtroppo, quello che non si vuole capire, nell'angoscia di una storia gloriosa ma oramai al tramonto e nel tentativo nostalgico di salvare i feticci del passato, è che l'intero popolo italiano, dalla piccola borghesia ai ceti popolari, è sotto attacco di un post capitalismo senza capitalisti (trasformati in rentiers), sostituiti in plancia di comando da manager e tecnocrati, dentro un conflitto sociale interno al capitale, fra piccolo e medio capitale nazionale e grande capitale cosmopolita, in cui il lavoro, oramai sconfitto e frazionato, gioca un ruolo comprimario.
Solo una alleanza fra lavoro e piccolo capitale nazionale può salvarci dalla Barbarie, e questo blocco sociale lo troviamo non nei residui della sinistra radicale, costituiti da spezzoni nostalgici di militanza e da ceti medi globalizzati e riflessivi, ma nei populismi. E' dentro l'area populista che il socialismo può rigenerarsi e ritrovare un senso, nel mondo nuovo che abbiamo di fronte.
Chi, come purtroppo fa Stefano Fassina, continua a lavorare per presunti terzopolismi, in condizioni peraltro molto più difficili di altri Paesi, come la Francia di Mélenchon o la Gran Bretagna di Corbyn, di fatto lavora a che questo blocco sociale nazionale venga sconfitto definitivamente, facendo, consapevolmente o meno, intelligenza con l'avversario. Il socialismo tramonterà, allora, insieme al residuo passionale dei suoi simboli passati.
Spero che, esauriti gli spazi del ragionamento, una necessaria durezza, come quella dell'articolo di Angiuli, aiuti a scuotere coscienze intorpidite.
In una fase storica contraddistinta da una contrapposizione
frontale e difficilmente sanabile fra i popoli del nostro continente e le
oligarchie finanziarie riunite attorno alla tecnocrazia U.E., una delle
peggiori disgrazie che sono capitate al popolo italiano è stata quella di
essersi trovato fra i piedi la peggiore sinistra politica che sia esistita
da almeno due secoli a questa parte.
In questi decenni in cui il grande capitale speculativo
trans-nazionale, facendo leva sull’imposizione di un assurdo sistema di vincoli
di stabilità finanziaria (elemento connaturato ed ineluttabile per un’eurozona
nata fin dal principio su presupposti anti-democratici), ha proceduto come un
treno inarrestabile nel percorso di sistematico attacco ai diritti sociali che
avevano garantito per un lungo periodo il benessere di buona parte degli
italiani, il ceto politico un tempo formatosi fra le fila del vecchio partito
comunista più forte dell’occidente ha sempre svolto egregiamente, con uno zelo
servile assai gradito ai padroni del vapore, il suo ruolo di cane da guardia
degli interessi dei grandi poteri oligarchici euro-atlantisti, accompagnando le
classi lavoratrici ed i ceti produttivi del nostro Paese, fin dai tempi
dell’approvazione del Trattato di Maastricht, verso una lenta ed ineluttabile
agonia, venduta come il meraviglioso paese di Bengodi.
Ma mentre la maggior parte degli ex comunisti italiani (a
partire da Napolitano, D’Alema, Veltroni e Bersani) non hanno mai nascosto la
loro cieca e fideistica adesione al processo di sistematica erosione della
sovranità popolare man mano che prendeva corpo il sempre maggiore accentramento
di poteri in capo agli organismi tecnocratici dell’eurozona - al punto che oggi
essi appaiono in grave difficoltà dinanzi ai loro storici elettori e sono quasi
costretti a rinunciare ad un impegno politico in prima persona - vi è qualcuno,
forse più scaltro e più cinico di loro, che ha sempre avuto l’abilità di
preservarsi una immagine di uomo dall’intelligenza duttile e creativa, più al
passo coi tempi, al punto da essere oggi accreditato, specie dopo la nascita
della sua inedita associazione politica chiamata Patria e Costituzione,
come il più presentabile dei leader della sinistra storica italiana,
l’unico apparentemente ancora in grado di dare una lettura articolata della
crisi dell’eurozona, l’unico con una visione generale ancora quanto meno legata
alla realtà oggettiva dei fatti.
Stefano Fassina, economista di scuola bocconiana, nonostante sia
risaputo il suo contributo scientifico fornito per alcuni anni al Fondo
Monetario Internazionale (tempio dell’ideologia neo-liberista mondiale), è
riuscito a ritagliarsi un ruolo di nicchia che, nel panorama desertificato
della sinistra odierna, lo proietta come potenziale punto di riferimento per tante
persone di sensibilità progressista che, disorientate dalla decomposizione
degli schemi ideologici novecenteschi, quantunque oggi manifestino ostilità
alla Unione Europea ed alle sue politiche di austerità, non se la sentono di
unire le loro forze a quelle del cosiddetto campo “populista” (Lega e
Movimento 5 Stelle).
Tuttavia, un’attenta ri-lettura delle scelte e delle vicende
nella storia recente di Stefano Fassina dovrebbe fornire a noi tutti una
nutrita serie di argomenti per dubitare seriamente dell’effettiva affidabilità
del Nostro quale potenziale leader di una possibile o fantomatica area
politica di sinistra patriottica o sovranista.
La politica, come insegna il Machiavelli nel suo mai
sufficientemente letto Principe, è spesso l’arte della dissimulazione
dei propri intenti strategici, ragion per cui i bene accorti sanno che per
valutare in modo attendibile i reali intenti di un uomo politico non ci si può
solo soffermare sulle parole o sui discorsi che questi pronuncia in pubblico
bensì occorre prima di tutto osservare la coerenza nei comportamenti e nelle
scelte che ne segnano il percorso.
Ebbene, applicando tale metro di valutazione agli anni più
recenti della carriera politica di Stefano Fassina, non può che emergere un
ritratto assai poco limpido dell’economista bocconiano, il quale troppo spesso
ci ha dato l’impressione di non credere fino in fondo nelle sue improvvise
sterzate euroscettiche alle quali ci ha di tanto in tanto abituato ed a cui ha
poi sempre fatto seguire degli improvvisi e puntuali rientri nell’ovile
sinistrato, specie in coincidenza con le più importanti scadenze elettorali.
Ci spiace rilevare che quando in questi anni di drammatica
crisi si è trattato di affrontare seriamente la Troika e le sue
inaccettabili imposizioni ai popoli europei, Stefano Fassina, nonostante le
apparenze, non è mai stato in grado di fare seguire alle sue parole i fatti.
Di sicuro, non si può non riconoscergli delle notevoli doti
di camaleontismo e di equilibrismo politico con cui è spesso riuscito ad
affabulare i sinistrati più euroscettici, illudendoli di essere pronto a
costruire per loro una vera casa politica per poi lasciarli puntualmente
all’addiaccio, privi di una guida e di una strategia, sedotti e abbandonati,
mentre lui non ha avuto molti problemi nel farsi rieleggere al Parlamento nelle
fila del raggruppamento post-dalemiano Liberi e Uguali.
Stefano Fassina al Roma Pride nel 2015
Eppure, anche per i sinistrati più colti ed euroscettici,
quelli che hanno compreso le cause strutturali dei guasti della moneta unica
leggendo i libri di Bagnai o di Cesaratto, non dovrebbe risultare molto
difficile comprendere che in realtà Fassina non ha mai fatto sul serio
quando si è trattato di fare i conti con il mostro tecnocratico dei tempi
odierni, chiamato U.E.
Se non bastasse il fatto di essere stato un importante
dirigente del PD all’atto della nascita del Governo Monti nel 2011, il Nostro
sarà a lungo ricordato soprattutto per avere ricoperto il ruolo di vice
Ministro dell'Economia (non proprio un dicastero qualsiasi) nel Governo
Letta nel 2013, proprio in coincidenza con un periodo terribile per il
popolo italiano, in cui le oligarchie di Bruxelles e di Francoforte imponevano
l’adozione di due misure draconiane che a tutt’oggi costituiscono una vera
camicia di forza per la nostra economia, rendendo di fatto impossibile
l’adozione di sensate misure fondate su investimenti pubblici e spesa a deficit:
stiamo parlando del fiscal compact e della famigerata modifica dell’art.
81 della Costituzione con l’introduzione dell’obbligo del pareggio di bilancio
nella nostra magna charta. E giusto a proposito di tali interventi
esiziali per le sorti dell’economia italiana, Fassina nel 2013 – palesando una
sudditanza psicologica verso l’Europa a trazione teutonica - aveva
impudentemente dichiarato che tali misure di controllo rigoroso sui conti
pubblici, “pur sbagliate sul piano economico”, erano comunque utili sul
piano politico al fine di “dare garanzie all’opinione pubblica tedesca”
(sic)[1].
Non è difficile rintracciare in quelle parole di Fassina lo
stesso cinismo manifestato da Mario Monti quando ebbe a definire la crisi greca
come “il più grande successo dell’euro”, giacchè con quella crisi che ha
fatto tanti morti e feriti si era comunque riusciti a convincere la Germania
della presunta sostenibilità della moneta unica nel medio-lungo periodo.
In altri termini, lo stesso Fassina il quale oggi strepita
contro la presunta incapacità del Governo giallo-verde di sapere imporsi con la
Commissione Europea, all’epoca in cui il famigerato regime del fiscal
compact stava giusto entrando in vigore, difendeva le finalità di fondo di
quel tipo di misure austeritarie anti-democratiche, che soffocano sul nascere
qualsiasi vagito di sovranità degli Stati nazionali e la cui cogenza
costituisce il vero fattore che ha impedito al Governo Conte di imprimere dei
connotati maggiormente espansivi alla manovra finanziaria per il 2019.
Stefano Fassina in compagnia di Yanis Varoufakis
Ed anche negli anni successivi alla sua plateale rottura con
Renzi e col PD, il Nostro, pur essendosi insistentemente proposto – finora con
evidente scarso successo - come possibile guida politica di una nuova area di
sinistra patriottica, costituzionalista ed apparentemente anti-eurista, non ha
mai mancato di lasciarci basiti per avere sempre immancabilmente assunto, in
tutti i passaggi decisivi del suo percorso, delle scelte e delle posizioni
politiche oggettivamente funzionali ai desiderata dei poteri finanziari
globalisti.
Poco più di un anno e mezzo fa, nell’aprile del 2017, quando
si era nel pieno svolgimento del ballottaggio alle Presidenziali francesi,
Fassina non aveva mancato di esortare la sinistra d'oltralpe a prendere posizione
netta contro il presunto "pericolo xenofobo" a suo dire
costituito da Marine Le Pen e così, aderendo alla più consunta vulgata
dell'antifascismo d’accatto, il Nostro aveva dato anch’egli il suo piccolo
contributo alla scalata all’Eliseo di Emmanuel Macron, vero garante della
finanza cosmopolita e parassita, oggi investito da una vera e propria
insurrezione popolare con delle conseguenze geo-politiche tuttora imprevedibili
per le sorti della malconcia Francia[2].
A ben vedere, in quella improvvida uscita che sapeva tanto di
implicito sostegno a Macron sta tutto lo spirito gesuitico di Stefano
Fassina.
In tale occasione, infatti, il Nostro non aveva dichiarato un
sostegno esplicito al rampollo del Gruppo Rothschild – la cui candidatura era
stata partorita in tutta fretta, in certi salotti parigini che contano, al fine
di scongiurare un pericoloso scivolamento della Francia nel campo “populista” -
ma nel rivolgersi al compagno Jean-Luc Mélenchon (leader indiscusso
della sinistra anti-eurista francese) aveva impiegato quei tipici toni da aut-aut
a cui si è soliti ricorrere negli ambienti conformisti di sinistra per
manipolare a dovere gli ingenui militanti di base ed il cui significato era: “Sì
è vero, Macron rappresenterà pure gli interessi della grande finanza ma non
vorrai mica schierarti con la neo-fascista Le Pen”?
Nel marzo dello stesso anno 2017, nell’accogliere il citato
Jean-Luc Mélenchon a Roma in occasione dell’importante convegno internazionale
sul Piano B per l’uscita dall’euro, Fassina aveva accettato supinamente il veto
alla presenza al convegno del prof. Alberto Bagnai (primo economista italiano
ad avere portato all’attenzione della nostra opinione pubblica i guasti
sistemici dovuti all’incauta adozione della moneta unica), un veto postogli con
toni ultimativi da Eleonora Forenza, euro-deputata eletta a Strasburgo con
Rifondazione Comunista e da sempre distintasi per delle posizioni apertamente
filo-globaliste[3].
In questi ultimi tempi, in piena continuità col suo spirito
gesuitico, abbiamo assistito ad un Fassina spesso intento ad attaccare
insistentemente e con una veemenza oratoria degna di miglior causa l'azione del
Governo Conte, quasi che il suo principale obiettivo tattico fosse quello di
mettere in difficoltà l’esecutivo proprio nei momenti più delicati della sua
azione di contrapposizione/contrattazione con gli organismi implacabili del
mostro tecnocratico chiamato U.E.
E mentre attacca il Governo giallo-verde vestendo i panni del
vero sovranista ferito nella sua dignità, lo stesso ineffabile Fassina non
mostra di avere alcun imbarazzo nel proporre delle improbabili tavole rotonde
sul tema delle nazionalizzazioni con candidati impegnati nella corsa alla
segreteria del PD, così come, appena pochi mesi fa, egli non ha avuto alcun
ritegno nel rivolgere una lettera aperta all’attuale Presidente della Regione
Lazio Nicola Zingaretti per invogliarlo ad accogliere una rinnovata unità
d'azione tra la sinistra sparuta e in cerca d’autore e le componenti
anti-renziane interne allo stesso PD[4].
Con tutto il rispetto per Fassina, se per lui la
ricostruzione della sinistra storica passa per una rinnovata collaborazione con
il PD (ossia con quel soggetto politico che agli occhi della storia porterà la
principale responsabilità per avere attuato, su diktat dei mercati
finanziari, una regressione dei diritti sociali a livelli pre-novecenteschi per
decine di milioni di lavoratori e giovani precari italiani), noi ci dichiariamo
ormai stufi dei suoi consueti funambolismi e facciamo non poca fatica a credere
che il suo vero obiettivo politico sia mai stato effettivamente quello di
proporsi come credibile soggetto motore di una eventuale area di "sinistra
anti-euro".
Forse sarà ancora in grado di incantare i sinistrati più
colti ma ingenui, Fassina, portandoli fuori strada per l’ennesima volta per poi
lasciarli privi di un contenitore politico degno delle loro attese ma non potrà
farcela ad ingannare i patrioti costituzionali più avveduti, i quali
oggigiorno, dopo anni di umiliazioni e di sventure inferte al popolo italiano,
hanno finalmente capito da quale parte sta l’economista bocconiano, già in
forza all’F.M.I. e pertanto faranno volentieri a meno dei suoi consigli per
provare a dare risposte in senso keynesiano al grande bisogno di svolta
largamente avvertito dalle classi lavoratrici e dai ceti produttivi del nostro
Paese, penalizzati da anni di massacro sociale e di distruzione economica
compiuti sull’altare dell’austerità eurocratica.
Non ce ne voglia Stefano Fassina ma noi crediamo che, in fin
dei conti, tanto la nostra Patria quanto la nostra Costituzione oggi
abbiano bisogno di ben altri alfieri per tornare finalmente a risplendere di
luce piena.
Giuseppe Angiuli
[1] https://www.youtube.com/watch?v=IJXIvF_-q_0.
[2]https://www.repubblica.it/politica/2017/04/24/news/elezioni_francia_fassina_le_pen_invotabile_me_lenchon_si_schieri_-163769308/?fbclid=IwAR1RPAgNf3Y7cizjOzkuGMTol_8RvfU1EYSIhLK713Ep-ZelgeRb7iEYGuo
[3] Per il resoconto dettagliato della vicenda che fece
infuriare Alberto Bagnai, sospingendolo definitivamente fra le braccia di
Salvini e della Lega, si legga qui:
http://goofynomics.blogspot.com/search?q=Fassina+convegno+Piano+B
https://www.facebook.com/events/301223977164077/
[4]
Cfr.
il testo della “Lettera aperta a Nicola Zingaretti, per una sinistra che
riparta”, qui pubblicata:
https://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/lettera-aperta-a-nicola-zingaretti-per-una-sinistra-che-riparta_a_23468974/