Le spiegazioni dello sviluppo esponenziale delle organizzazioni di narcotraffico messicane negli ultimi anni non si può limitare alle ovvietà tradizionali, secondo cui il Messico, per la sua posizione geografica, è una naturale piattaforma logistica che collega i produttori latinoamericani di sostanza stupefacente ed il più grande mercato mondiale di consumo, ovvero gli USA, grazie alla permeabilità delle frontiere.
La militarizzazione criminale e poliziesca e la violenza che dominano la vita quotidiana negli Stati del centro e del nord del Paese sono il frutto, essenzialmente, del modello economico e produttivo. Il modello che passa con il nome di “modello maquiladoras”, che fa del Messico il settimo produttore mondiale di autoveicoli, ed un Paese in crescita nella produzione industriale di componenti meccaniche e nella chimica di base. Tale modello nasce con la sola cinghia di trasmissione dell’investimento estero, che non produce alcuna ricaduta imprenditoriale e di know how tecnico per l’industria nazionale, concentrandosi nell’assemblaggio finale di componenti prodotte altrove, ed è fondato sulla corruzione politico-sindacale.
Gli investitori esteri che vogliono aprire uno stabilimento industriale in Messico, oltre ad usufruire di enormi vantaggi fiscali e doganali, godono di un clima sindacale particolarmente favorevole: in assenza di contratti collettivi di settore, possono firmare contratti aziendali, chiamati “contratos de proteccion patronal”, prima ancora di avviare l’investimento, con un sindacato aziendale creato ad hoc, spesso occultamente generato dall’azienda stessa. Tribunali del lavoro corrotti convalidano l’accordo, anche se per legge ci dovrebbe essere la firma dei lavoratori. I lavoratori assunti si ritrovano così automaticamente, e spesso inconsapevolmente, affiliati ad un sindacato, e gli accordi salariali e lavorativi passano sopra le loro teste. Risultato: l’operaio metalmeccanico messicano lavora di più e guadagna di meno rispetto al suo omologo cinese.
Nel degrado sociale che ne deriva, chi non vuole o non riesce a scappare verso gli USA vede nell’appartenenza ad una organizzazione criminale l’unico veicolo di ascesa sociale. I primi nuclei dei gruppi criminali nascono proprio in quel contesto: sono le organizzazioni armate sindacali e padronali incaricate di mantenere la disciplina fra gli operai e sedare gli scioperi. Nell’immaginario collettivo messicano, impregnato atavicamente di violenza, senso della morte e del caos (leggete Il Labirinto della Solitudine di Octavio Paz, che esplora a fondo l’inconscio collettivo del Messico) “el narco” diventa, con la sua violenza, la sua sprezzante ribellione alla legge ed alla convivenza civile, i suoi eccessi, una reincarnazione dello spirito rivoluzionario che ha costruito il Paese, una forma perversa di manifestazione del nichilismo profondo dei messicani. Ciò che circonda i grandi boss del narcotraffico non è solo omertà dettata dal terrore. E’ anche rispetto ed ammirazione.
P.S. il protezionismo di Trump, che vorrebbe mettere fine al modello delle maquiladoras, è la tipica risposta di destra alle grandi contraddizioni sociali. In effetti, tagliando via le grandi multinazionali dell’auto dai loro stabilimenti nei Paesi in via di sviluppo, Trump non fa altro che suggerire loro di realizzare tale modello nella madre patria.