Sull'autonomia
differenziata stanno girando autentiche balle, messe in giro,
purtroppo, oltre che dai soliti professionisti della
controinformazione di sinistra, anche dai pentastellati, che stanno
commettendo un errore politico grave, nel tentativo di cavalcare
demagogicamente il loro elettorato nel Sud. Qui il tema non è quello
della secessione dei ricchi, o della deprivazione di risorse del
povero Sud. Queste sono solo fregnacce, e basta. Soltanto fregnacce,
dal punto di vista finanziario.
La
bozza approntata dal confronto fra Ministero e le tre Regioni del
Lombardo-Veneto prevede che le funzioni trasferite siano finanziate
tramite il cosiddetto residuo fiscale, ovvero la differenza fra
gettito fiscale generato a valere sulle imposte nazionali e spesa
pubblica per il finanziamento delle funzioni da trasferire, valutata
al costo storico. Esemplificando: poniamo che, ad oggi, una Regione
generi 100 di gettito fiscale sulle imposte nazionali, interamente
incassato dallo Stato, e che riceva 20 dallo Stato sotto forma di
trasferimenti per la gestione di una funzione per la quale c’è
competenza concorrente ai sensi dell’articolo 117 della
Costituzione. Il residuo fiscale, pari a 80, è interamente incassato
dallo Stato. Con il nuovo meccanismo, la Regione, che genera sempre
100 di gettito, non riceve più i 20 di trasferimento dello Stato, ma
paga questi 20 direttamente di tasca sua, perché a quel punto sono
divenuti costi di una funzione di competenza propria. Rimangono
quindi ancora una volta gli 80 euro che, esattamente come avviene
oggi, vengono incassati dallo Stato per finanziare le sue funzioni e
fare perequazione territoriale.
Non
è neanche vero che aumenteranno le risorse trattenute dalle tre
Regioni autonomistiche all’aumentare del gettito, perchè se il
gettito arriva, poniamo, a 110, la Regione continuerà a pagare la
funzione trasferita per 20, poiché il criterio rimane quello del
costo storico. Significa solo che il residuo che incassa lo Stato
crescerà a 90.
Anche
il rischio che, in futuro, il costo storico tenda a slittare verso
l’alto per (presunte) inefficienze gestionali delle Regioni, sarà
neutralizzato dalla progressiva entrata a regime del criterio del
costo standard: il costo di funzioni identiche, auspicabilmente
corretto per differenziali territoriali o locali che incidono
sull’efficienza, sarà identico per tutte le Amministrazioni,
statali o regionali, che dovranno attenervisi.
Personalmente,
e qui concordo con i 5 Stelle, auspico che tale omogeneizzazione
avvenga sui fabbisogni standard valutati sui Lep (livelli essenziali
delle prestazioni) piuttosto che sui costi standard. Valutare il
costo delle funzioni su parametri di servizio alle popolazioni
piuttosto che meramente contabili fa una enorme differenza: è qui
che risiede una diferenza di impostazione ideologica di fondo:
riviene a chiedersi se la spesa pubblica debba finanziare i bisogni
dei cittadini, o una esigenza di equilibrio del bilancio.
Naturalmente, io sono per la prima risposta, e contrario alla
seconda.
Il
meccanismo è comunque neutrale dal punto di vista finanziario, e non
penalizza nessuno. Non c’è nessuna ruberia dei ricchi sui poveri.
Il punto vero è un altro, e verte su un ragionamento circa il
regionalizzare completamente materie come la programmazione
scolastica, la sanità, le infrastrutture o l’energia. Questo è il
punto, perché tramite questo meccanismo, e il progressivo aumento
delle Regioni che verranno a chiedere l’autonomia rafforzata, si
realizzerà un cambiamento strutturale della forma dello Stato,
superando un regionalismo confuso ed inefficiente, per realizzare uno
Stato federale.
Anche
su questo aspetto, però, si registrano posizioni confuse e piuttosto
assurde, basate su una sorta di sovranismo aprioristico. La Germania
è uno Stato federale, e non per questo i cittadini tedeschi ed i
loro dirigenti politici non hanno un fortissimo senso della Patria e
dell'interesse nazionale. Lo stesso può dirsi degli USA. Il
patriottismo ed il senso dell'interesse nazionale superiore non
dipende dagli assetti di governance, ma da fattori storici e
culturali sedimentati in un popolo. L'Italia è stata, per quasi
tutta la sua storia unitaria, e certamente per più di un secolo
dall'unità fino alla attuazione del regionalismo negli anni
Settanta, uno Stato fortemente centralista, e ciò non ha condotto ad
una parallela crescita del sentimento nazionale degli italiani, che
restano un popolo piuttosto esterofilo e non di rado innervato da
sentimenti autorazzisti, o comunque di un ingiustificato disprezzo
per sé stesso.
Il
problema della crescita del sentimento nazionale non passa per le
maggiori o minori autonomie regionali o locali, così come lo
sviluppo del Mezzogiorno passa solo parzialmente dai trasferimenti di
uno Stato centralizzato onnisciente, perché altrimenti, con il
flusso di trasferimenti pervenuti dal Centro dall'istituzione della
Cassa per il Mezzogiorno ad oggi, il Sud Italia sarebbe la
California. Se una maggiore programmazione centrale delle politiche
di sviluppo del Mezzogiorno è auspicabile, anche una maggiore
responsabilizzazione delle sue classi dirigenti locali, di fronte
alle popolazioni, è fondamentale, perché sino ad oggi esse hanno
potuto beneficiare di una condizione perversa di notabilato:
spendere, per meccanismi di consenso, soldi di cui non erano, se non
marginalmente, responsabili per la rendicontazione, in quanto
provenienti da Bruxelles e da Roma.
Senza voler toccare il nervo delicato dei difetti storici del processo di unificazione nazionale, e delle grandi diversità interne al nostro Paese, che sono valori da preservare e non da distruggere, evidentemente né lo Stato centralista, così caro alle nostre élite liberiste (non ultimo Mario Monti) né lo Stato regionalista, sprofondato nel caos e nella lite fra livelli istituzionali, hanno fornito prestazioni convincenti.