Va premesso che l’Italia non è la
Francia, da noi la protesta di piazza è culturalmente meno frequente e si vede
prevalentemente per rivendicazioni ideologicamente affini alla destra, come quelle
verificatesi contro la supposta “dittatura sanitaria” all’epoca del Covid, che
non c’è una emigrazione di seconda generazione, con diritto di voto, così ampia
come in Francia, che la componente giovanile della popolazione non è così importante
(l’età media della popolazione francese è di 41 anni, in Italia supera i 46) e
che in Francia ci sono spazi, di sovranità nazionale e di bilancio pubblico,
per mantenere uno Stato sociale molto generoso, da noi pressoché estinto,
alimentando una possibile rivendicazione di espansione della spesa pubblica
sociale che da noi è più difficile.
Va anche premesso che la sinistra
riformista francese (cioè il Psf) non ha mai realizzato una operazione di trasformismo
politico come quella del Pd, che ha spostato i termini della piattaforma
programmatica della sinistra italiana verso assetti tipici del liberismo
economico, prosciugandone la capacità di rimanere aderente ai suoi ceti sociali
di riferimento.
Infine, la Francia rurale
profonda, quella delle aree interne, è tradizionalmente, storicamente,
innervata di istanze socialiste e anarcoidi, a differenza della dorsale montana
e rurale italiana. Nelle aree montane e collinari del Sud, della Linguadoca,
dei Pirenei, aree rurali povere e in degrado demografico, Mélenchon conquista
più voti che non nelle città industriali in declino del nord est.
Tutte queste premesse,
ovviamente, sono necessarie, perché contribuiscono a spiegare il
fenomeno-Mélenchon, che da noi non c’è. Come certifica l’analisi della
composizione elettorale degli Insoumis fatta dall’istituto Jean Jaurès, per
Mélenchon votano in massa immigrati (soprattutto islamici) di seconda o terza
generazione e giovani. Due beni che in Italia scarseggiano.
Detto questo, Mélenchon vince per
delle caratteristiche per così dire innovative de suo movimento, che possono
così riassumersi:
-
Un forte ancoraggio alla tradizione di sinistra
della lotta di classe, senza però un identitarismo legato a schemi, simboli o
linguaggi vissuti dall’elettorato, a torto o a ragione, come obsoleti. Il linguaggio
politico è scevro da richiami al marxismo ortodosso o a terminologie del secolo
passato. La stessa lotta di classe viene proposta in termini di “eguaglianza”, “protezione
dei più deboli”, ecc.;
-
Il pieno sdoganamento del populismo: il
programma viene costruito attraverso una sorta di “Parlamento della società” in
cui esponenti del terzo settore, dell’associazionismo politico, del
movimentismo, portano i loro contributi in forma orizzontale, mentre il leader
opera la sintesi, ricercando quei significanti che l’offerta politica della
sinistra lascia scoperti. Per fare ciò, strizza l’occhio all’ampio spettro del
ribellismo sociale (un po' come il grillismo della prima ora), anche a movimenti
innervati e/o partecipati dalla destra, come i gilets jaunes, a istanze
sovraniste ed anti-Nato, fino ai movimenti per la casa (altra grande differenza
con l’Italia, in Francia solo il 58% della popolazione è proprietaria di casa,
a fronte del 73% italiano – il tema dell’accesso alla casa è quindi molto
sentito) oscillando dalla Nouvelle Droite di de Benoist fino alla sinistra
radicale tradizionale;
-
La centralità programmatica delle tematiche ambientali,
redistributive, pacifiste, democratiche, femministe ed antirazziste, in una
narrazione che poggia sull’anticapitalismo e l’antiliberismo, che però strizza
l’occhio anche a temi di interesse del ceto medio impoverito e persino del c.d.
“ceto medio istruito”, che tradizionalmente vota per il Psf o anche per Macron
(controllo dei prezzi dell’energia, animalismo, ma anche diritto all’eutanasia,
laicismo moderato che rispetta i diritti religiosi degli immigrati, soprattutto
islamici, ma anche potenziamento della sicurezza pubblica con aumento degli
effettivi di polizia, creazione di una polizia di prossimità, di una polizia specializzata
nei crimini su donne e minori). Infine, Mélenchon non rinuncia, come fa certa
sinistra, a stimolare il lato patriottico dei francesi, con una retorica nazionale
non dissimile da quella della destra repubblicana;
-
Il ruolo centrale del leader, che può fare leva
su una coerenza e credibilità assoluta (ciò che manca agli oscillanti leaderini
della sinistra italiana);
-
In misura molto rilevante, la lontananza senza
compromessi dal riformismo liberista del Ps o del macronismo, senza accordi
politici ed elettorali, senza “campi larghi”, alla ricerca di un posizionamento
politico autonomo fra il sovranismo di destra e il liberismo del resto dello
spettro politico francese.
Tutto ciò consente a Mélenchon,
sempre secondo le analisi dell’istituto Jean Jaurès, di catturare un consenso
trasversale alla società, non solo radicato nelle classi sociali di riferimento
tradizionale della sinistra. Se il 27% degli operai vota per lui, altrettanto
viene fatto dal 22% dei commercianti e artigiani e dal 21% dei quadri e delle
professioni intellettuali (cfr. https://www.jean-jaures.org/publication/larchipel-electoral-melenchoniste/ ).
E’ necessario, ovviamente, vedere
come tale piattaforma interclassista ed orizzontale possa resistere alla prova
del governo, o comunque di un accordo politico di qualche tipo con il
macronismo. Spesso tali costruzioni reggono meglio la fase della protesta che
quella del governo. Però sembra chiaro che un a-identitarismo che non scade nel
negazionismo delle proprie origini, rivestendole di una simbologia ed una
dialettica moderne, connotato da contenuti interclassisti, basato su una
struttura populista e partecipativa, con una leadership non compromessa,
coerente e credibile, è senz’altro molto efficace nella fase della conquista
del potere.
E poi? E poi, nella fase in cui
il potere è conquistato e si deve governare, sarebbe utile guardare a Lisbona, specie
per un Paese ad elevato debito pubblico come l’Italia che, comunque, deve
mettere il controllo dei parametri di finanza pubblica fra le sue priorità. E qui
il riferimento non è più a costruzioni precarie e isolate nel massimalismo come
il Bloque de Esquerda, ma all’intelligente riformismo di Costa, che ha saputo
coniugare una austerità i cui costi sono stati ripartiti in misura equa,
gravando sui ceti più ricchi in misura senz’altro maggiore che in Italia, con
misure progressiste, come l’aumento dei salari minimi, delle case popolari,
degli investimenti sanitari, l’introduzione dell’orario legale di lavoro a 35
ore, il ritorno alle assunzioni nella P.A., ecc. ma questo è un altro capitolo.
Questo richiede un assetto partitico forte ed una guida condivisa e collettiva.
Una selezione politica delle classi dirigenti. Un radicamento sociale robusto e
di lunga durata.