In attesa di avere dati più precisi sui flussi, e quelli ufficiali sulla composizione delle Camere, si possono già inferire alcune considerazioni di massima.
A) il vero vincitore delle elezioni è stato l'astensionismo. Che non è di sinistra, come alcuni pensavano, creando liste che si dovevano rivolgere a questa fantomatica figura di elettore deluso di sinistra: Up e i sovranisti di sinistra hanno fatto un buco grosso come la luna. Up ha preso gli stessi elettori della Sinistra Arcobaleno e poi di Pap, senza riuscire ad allargare minimamente l'area del dissenso di sinistra, essenzialmente perché basata su richiami identitari ormai incomprensibili agli elettori e su una proposta poco convincente di movimentismo senza movimenti; Italia Sovrana e Popolare ha evidenziato nell'insieme una proposta velleitaria ed infantile;
B ) l'astensionismo sembra essere connotato principalmente da ex elettori del M5s che Conte non ha recuperato, "duri e puri" incapaci di perdonare la fase governista attraversata dal M5s;C) l'astensione è cresciuta soprattutto al Sud, il che, da un lato, smentisce le cazzate su un presunto assistenzialismo del Rdc (altrimenti il voto astensionista sarebbe andato al M5s o in misura minore a Di Maio) e dall'altro può segnalare che determinati meccanismi di reclutamento del consenso, tipici del Mezzogiorno, sono parzialmente saltati, come effetto della minore capacità di politici di Fi, Pd e Centro di promettere vantaggi e provvidenze, attesa la prevedibile vittoria dei FdI, la cui crescita e' ancora troppo recente per creare feudi elettorali di grandi dimensioni;
D) Questa è solo una ipotesi, da verificare con i dati sui flussi: riduzioni di partecipazione, seppure su tassi inferiori rispetto alla media nazionale, si sono registrate anche nelle regioni "rosse" del centro nord. Ciò potrebbe essere il risultato di una parziale disgregazione degli apparati di consenso ereditati dal vecchio Pci, sempre meno in grado di tenere in piedi la ruota del voto. Il sistema cooperativo, specie nel commercio ed in edilizia, è meno forte del passato, gli apparati territoriali del Pd si sono parzialmente decomposti, dopo la cura (voluta da Letta) a base di riduzione del finanziamento pubblico ai partiti ed agli organi di stampa. Ciò ha facilitato la penetrazione della destra in tali territori ed anche una astensione di elettori provenienti dal Pd;
E) il Pd ha perso perché non aveva una strategia. Di fatto, Letta ha vivacchiato esclusivamente su un progetto preso a prestito. Il motivo per il quale è stato richiamato dalla Francia era quello di coprire Draghi e la sua agenda politica. Tutto era costruito attorno a tale necessità. Persino il progetto di cambiamento della legge elettorale in senso proporzionale era funzionale alla esigenza di mantenere Draghi anche nella legislatura successiva. Ritrovatosi senza Draghi, soprattutto perché Draghi, con il tentativo di andare al Quirinale, ha deteriorato la sua stessa relazione con la maggioranza che lo sosteneva, Letta si è ritrovato senza progetto. Da leader mediocre, ha prima incolpato inopinatamente il M5s per un presunto tradimento inesistente (Draghi si è dimesso con due voti di fiducia a favore) e poi ha cercato disperatamente di costruire una coalizione al centro, naufragando vergognosamente di fronte al trasformismo di Calenda. Infine, ha vivacchiato su temi tradizionali sui diritti civili e l'obsoleto richiamo al voto utile, che non ha scaldato i cuori, soprattutto perché al Sud il voto utile si è rivelato essere quello per il M5s. È una catastrofe elettorale, che per Letta significa la fine delle sue ambizioni di leader e che apre una fase congressuale contorta, nella quale si confrontano due esponenti del territorio che ha tenuto (tipica scorciatoia che segnala debolezza), uno più vicino alla collaborazione attiva con la destra su temi come l'autonomia differenziata e le riforme istituzionali (non a caso, Bonaccini si è subito complimentato con la Meloni) e l'altra ad una inoffensiva proposta sui diritti civili ed a una angelica posizione antifa, che però non produce niente sul terreno dei diritti sociali e sembra più che altro una forma di distrazione di massa dai problemi materiali delle classi subalterne. Da nessuno dei due candidati alla segreteria può uscire una qualche significativa apertura socialista.
F) la destra ha vinto, ma ha due enormi problemi. A causa del tracollo della Lega, non ha maggioranza parlamentare senza Forza Italia in nessuno dei due rami del Parlamento, e Berlusconi sta dando chiari segnali di insofferenza per le posizioni dei FdI. O la Meloni accetta di farsi "commissariare" da Berlusconi, con una conduzione moderata e liberale del governo, perdendo però rapidamente il consenso guadagnato grazie a posizioni più radicali, oppure Berlusconi scartellizzera' alla prima difficoltà seria del governo in sede internazionale, creando i presupposti per un nuovo governo tecnico di unità nazionale. Anche perché il ciclo politico di Salvini sembra essere finito, si tratta solo di collocarlo in qualche posizione di governo decorosa, ma l'indirizzo della Lega sarà deciso tra Zaia e Giorgetti, in chiave moderata, liberista ed europeista. O la Meloni si adegua, perdendo gran parte dei suoi voti di protesta, o verrà silurata. I primi movimenti del suo factotum Crosetto, anche su pressioni americane e di Bruxelles, sembrano indirizzarsi verso la moderazione e l'adeguamento, ma FdI ha un personale politico radicalmente nostalgico del fascismo, dal quale la Meloni non può prescindere facilmente senza perdere connessioni con territori strategici. Il secondo problema è che la destra non ha la maggioranza dei due terzi necessaria per cambiare da sola la Costituzione, nemmeno insieme ai centristi di Azione. O abbandona il progetto di riforma presidenziale, con gravi conseguenze elettorali, o per realizzare qualcosa di simile dovrà affidarsi all'azzardo di un referendum, che come si è visto in passato ha distrutto più di un leader, Renzi in primis. O ancora dovrà attrarre nel progetto il Pd, ma così facendo aprirà la strada ad una nuova maggioranza di unità nazionale, cioè ad un nuovo governo tecnico per lei letale;
G) il centro calendian-renziano non ha mostrato alcuna capacità espansiva. Il risultato rispecchia più o meno la quota percentuale della medio-alta borghesia. I ceti medi in impoverimento non hanno abboccato. Calenda stesso e' un leader azzoppato. La sconfitta nel suo collegio, dove ai tempi delle elezioni comunali aveva preso il 27%, ritrovandosi ora con il 14%, peserà sulla sua leadership. Difficilmente Renzi perdona chi si indebolisce. Il rischio è la spaccatura fra calendiani e renziani, divenendo ininfluenti;
H) il M5s vince la battaglia per la vita e mostra segnali di ripresa, legati ad una piattaforma vicina a posizioni socialiste democratiche ed ambientaliste. Il rischio è che questo capitale si disperda in un troppo frettoloso nuovo abbraccio con il Pd o, anche in virtù della presenza pesante di Grillo, in un prevalere di posizioni di carattere giustizialista, moralistico e manettaro, che lo trasformerebbero in una sorta di replica di Di Pietro. E sappiamo la fine che Di Pietro ha fatto. Occorre aiutare il Movimento, unica forza di sinistra e progressista esistente in Parlamento, ad evitare di autosabotarsi.
Una conclusione generale: non vi è una possibile prospettiva di sinistra nel Pd, anche se la Schlein vincesse la corsa alla segreteria. La struttura di potere del partito guarda sempre ad un rapporto con gli interessi economici e geopolitici neoliberisti, alla Schlein verrebbe lasciato solo uno spazio residuale sugli Lgtb o sullo ius scholae, ma non potrà mai imporre una piattaforma socialdemocratica sul piano dei diritti sociali, ammesso che lo voglia e che ne sia capace. Figuriamoci se Letta, Franceschini, Zingaretti o Bonaccini le permetteranno di mettere le mani nelle questioni sociali ed economiche in modo progressista.
D'altro canto, il continuo fallimento degli accrocchi last minute della cosiddetta sinistra radicale, fra la subalternità di Si al Pd e il movimentismo infantile di Up dovrebbe mostrare, dopo enne tentativi, l'inutilita' di tale prospettiva, buona solo per dare illusioni a micro sette sganciate dalla realtà.
L'unica prospettiva socialista possibile, per esclusione delle precedenti, è quella di un ingresso organico nel M5s di una forte componente socialista, molto agguerrita e preparata politicamente, in grado di influenzare in modo sistematico l'orientamento socialdemocratico, pacifista ed ambientalista.
Non ci sono alternative. Almeno nel medio termine.