I due uomini escono sul terrazzino stretto di una modesta
casetta di Calanna, microscopica frazione di Reggio Calabria, un pezzo di
Calabria rurale incastrato fra la città e l’Aspromonte. Una casetta in pieno
paese, anonima e piuttosto dimessa, non la casa opulenta di un boss in fortuna,
piuttosto il “buen retiro” di un capobastone in declino. Forse i due uomini
volevano prendere una boccata d’aria, con i primi caldi primaverili che rendono
profumata e piacevole la sera calabrese. Il silenzio della notte viene rotto da
una scarica di colpi di arma da fuoco, e dallo sgommare di una macchina che si
allontana. A terra rimangono Domenico Polimeni, 48 anni, con precedenti penali,
ma non legati alla ‘Ndrangheta, e Giuseppe Greco, Peppe, 56 anni, capobastone
dell’omonima ‘Ndrina che, storicamente, comanda a Calanna. Il primo è morto. Il
secondo, raggiunto alla testa, al volto ed a un polmone, miracolosamente ancora
vivo, anche se grave. Gli inquirenti sono sicuri che l’obiettivo era quest’ultimo.
Il Polimeni è stato sfortunato, si è trovato nel punto sbagliato al momento
sbagliato. Forse, è solo una ipotesi, era uno degli ultimi soldati rimasti al
servizio del boss in declino.
Figlio di Ciccio, boss storico di Calanna, attivo nel
traffico di stupefacenti nella periferia reggina, alleato degli emergenti guidati,
nel reggino, dal boss De Stefano durante le prime due guerre di ‘Ndrangheta, morto
di recente di morte naturale, Peppe Greco eredita la ‘Ndrina dal padre, e nell’organizzazione
complessiva della ‘Ndrangheta arriva al grado di santista, come emerge da una
intercettazione. Uno dei gradi più alti dell’organizzazione, un componente
della cosiddetta “Società maggiore”, che raggruppa e coordina più “Locali” ed a
livello inferiore più ‘Ndrine su un territorio vasto. Una vita di violenza,
come qualsiasi esponente della ‘Ndrangheta. A vent’anni, emigra in Francia, e
cerca di mettere in piedi, senza successo, un giro di mazzette su locali
notturni in Costa Azzurra. Cerca di prendere il controllo di una bisca
clandestina gestita da una ‘Ndrina della Locride. Si presenta nel locale con il
mitra in mano. Si fa pagare ed esce. Si salva la vita dalla vendetta dei
derubati solo grazie all’intercessione del potente boss Paolo De Stefano, amico
del padre. Poco tempo dopo, a Gallico,
periferia di Reggio Calabria, un imprenditore, Domenico Falcomatà gli spara,
per un litigio legato ad una storia di donne. Il cassiere di un supermercato
viene ucciso accidentalmente, Peppe si salva la pelle. Succede al padre nel
controllo di Calanna. Nominalmente imprenditore edile, controlla l’amministrazione
comunale e si fa assegnare le gare di appalto, usando la violenza per
intimidire la popolazione e allontanare le ditte concorrenti. Contrariamente ad
altri capibastone, la sua indole particolarmente violenta lo rende poco amato
fra i paesani. In una informativa dei carabinieri del 1993, si dice infatti che
“trattasi di elemento che in pubblico gode scarsa stima e reputazione, facente
parte della presunta omonima cosca mafiosa capeggiata dal proprio padre
Francesco nato a Calanna l`1.1.1930, con precedenti penali per favoreggiamento,
furto, apertura e sfruttamento abusivo di cava”.
Viene arrestato nell’ambito dell’operazione Meta, dopo aver
collezionato un curriculum criminale per omicidio volontario in pregiudizio di
un vigile urbano, truffa, furto, associazione per delinquere di tipo mafioso,
lesioni personali, porto abusivo di coltello di genere vietato, rimpatrio con
foglio di via obbligatorio. Dopo l’arresto, decide di collaborare come pentito,
una decisione assolutamente singolare, dato che nella ‘Ndrangheta non si pente quasi
mai nessuno. E contribuisce ad inguaiare, per voto di scambio, l’ex consigliere
regionale del Pdl Santi Zappalà, che secondo il suo racconto gli avrebbe promesso
30.000 euro in cambio di un pacchetto di 500 voti. Proposta che però sarebbe
stata declinata dal Greco, perché giudicata poco redditizia. Ma anche la sua
storia di pentito è piena di stranezze. Più volte ricoverato in istituti
psichiatrici o in centri per la disintossicazione, essendo dipendente da
cocaina, nel 2015 sparisce, per qualche
mese, dal luogo dove veniva tenuto nell’ambito del programma di protezione dei
testimoni. E, arrivato alla deposizione processuale ad ottobre scorso, come un
personaggio del Padrino, dichiara all’improvviso di non voler più collaborare,
e di rinunciare alla protezione, gettando gli inquirenti nella disperazione. Evidentemente
per salvare la pelle da possibili vendette.
Torna quindi nella casa paterna, in paese, a scontare ai
domiciliari la pena di 4 anni inflittagli per traffico di stupefacenti. Senza più
il potere di un tempo. Qualcuno inizia a fargli terra bruciata attorno. A febbraio
tentano di uccidere Antonino Princi, considerato da Alessia Candito, di
Repubblica, vicino a Greco, in un inseguimento in auto da film poliziesco. E ieri
l’attentato. Greco, dopo il pentimento, non era più considerato un intoccabile,
evidentemente. Ma vi è anche un'altra ipotesi, e la fa il procuratore capo della Dda, Federico Cafiero de Raho, collegando l'episodio all'ondata di violenza che ha colpito Reggio Calabria di recente, e che potrebbe essere indicativa dell'esplosione di una possibile guerra di 'Ndrangheta, mirata a ristrutturare i rapporti di potere territoriale dei diversi clan.
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