La domanda centrale se vi sia un
futuro per una sinistra autonoma ed influente è, in un orizzonte temporale
ragionevole per poter fare previsioni (diciamo 5-10 anni), a parere di chi
scrive, a riposta negativa. Ho già scritto in relazione alle condizioni
necessarie per riavviare sin da subito un percorso di ripartenza della sinistra
in un recente articolo ("Sinistra: estinzione o rinascita?" su L'Interferenza) ma, diciamoci la verità, tali condizioni non sono
realisticamente praticabili. I gruppuscoli dirigenti attuali, responsabili in
massima misura della catastrofe, non hanno alcuna intenzione di mollare, se non
celandosi dietro qualche uomo/donna di paglia manovrato/a alle spalle in un
simulacro di rinnovamento. Anzi, il governo gialloverde fornisce a questi
scellerati l’occasione di ricompattare le loro scarne truppe in una battaglia
di sopravvivenza contro immaginifici pericoli razzisti e fascisti artatamente
agitati e patologicamente interiorizzati in una sorta di coazione a ripetere
ideologica da parte dei propri seguaci. E’ una acquisizione clinica il fatto che
alcune delle peggiori psicosi, come ad esempio la paranoia, siano disturbi
della funzione del “dare senso” alle immagini, ai simboli ed alle
rappresentazioni (Hillmann ha scritto un saggio sulla paranoia molto utile per
identificare alcuni sintomi indicativi del morbo mentale che affligge la
sinistra radicaloide italiana).
Non essendovi alcun ricambio
significativo di ceto politico, non vi sarà alcun ricambio di messaggio e di
parole d’ordine e, di conseguenza, non vi sarà alcuna espansione rispetto ai
residuali presidi sociali della sinistra (il Pd non fa parte della definizione
di “sinistra”, ovviamente) consistenti in segmenti minoritari di ceto medio
riflessivo e di militanza tradizionale. Nell’incapacità di dare senso alla fase
storica, e quindi di immaginare un posizionamento ed una linea politica
attualizzati al contesto reale e non a quello fantasmato, la sinistra terminerà
la sua agonia (che dura sin dagli anni Novanta, con il tracollo dei riferimenti
ideologici e culturali principali, nelle macerie del muro di Berlino) nella
morte definitiva. Non è un fenomeno insolito: altri casi nazionali dimostrano
che, laddove si sviluppano populismi egemoni (che si sviluppano, in genere, per
inanità della sinistra nazionale) i pascoli sociali tradizionali si consumano
definitivamente, e cambiano natura, divenendo strutturalmente inadatti a
nutrire un progetto socialista autonomo. E’ il caso dell’Argentina, dove una
socialdemocrazia in grado di fare egemonia ha potuto svilupparsi soltanto
all’interno del corpaccione del populismo peronista (il kirchnerismo nasce
dalla matrice giustizialista) o, in Europa, è il caso dell’Ungheria, dove due
populismi di destra (quello di Orban e quello di Jobbick) si contendono la
pastura sociale ed elettorale di una sinistra che si è semplicemente estinta.
Gli spazi di potenziale
espansione sociale della sinistra italiana si stanno irrimediabilmente
chiudendo. E’ puramente utopistico pensare di recuperare elettorato
progressista confluito nel M5S o ceti popolari entrati strutturalmente nell’area
leghista. Chi si culla nella beata illusione di una sorta di “big bang”
pentastellato o in una “riconduzione a sinistra” del M5S non capisce la
portata, per certi versi storica, dell’avvento del governo gialloverde. La
formazione di tale governo è stata infatti l’espressione della saldatura di un
blocco sociale, differenziato al suo interno, ma estremamente coeso in termini
di obiettivi ed interessi. Un blocco sociale la cui ricostruzione, dopo la
distruzione per via giudiziaria della sua precedente versione all’ombra della
Prima Repubblica, è stata avviata dal berlusconismo (che infatti presenta
aspetti, nella fluidità del partito egemone, ricondotto a mero comitato
elettorale, e nel cesarismo del suo leader/padrone, aspetti in nuce tipici di
un nascente populismo). Tale blocco sociale, costituito da piccola borghesia,
sottoproletariato urbano, segmenti di proletariato maggiormente esposti alle
ondate distruttive della globalizzazione su un apparato produttivo sempre meno
competitivo, con la novità dell’ingresso di quote rilevanti di quelle classi
emergenti del precariato cognitivo e della new economy semplicemente rimosse e
disprezzate dalla sinistra, è unito da paure ed interessi che hanno a che
vedere con il degrado della funzione protettrice della identità nazionale e
dello Stato-nazione che ne è l’espressione istituzionale, con una domanda
sociale di individualismo fiscale e di protezione pseudo-corporativa, mediata
da una figura forte, e quindi tranquillizzante, di leadership.
Ad un dipresso, ed al netto dei
ceti emergenti del post-capitalismo citati in precedenza, che ha comunque
catturato, tale blocco sociale è quello che ha sostenuto ogni periodo di potere
di una delle due destre italiane, quella di natura popolare-sociale, dal
fascismo ai lunghi periodi di governo della destra della Dc e dei suoi alleati
(con l’eccezione, non lunghissima, del primo centrosinistra degli anni Sessanta
e della fase di compromesso storico) fino al berlusconismo e, per l’appunto,
all’attuale maggioranza. Detto blocco sociale ha sempre trovato forme diverse
ed adatte ai tempi di manifestarsi. La fine delle specifiche formule politiche
legate alle diverse fasi storiche gli hanno consentito sempre di riproporsi
come polo dominante, grazie al suo trasformismo, lungo la storia del nostro
Paese.
Solo in particolari periodi (per
l’appunto, negli anni Sessanta del primo centrosinistra, o nella fase
costituente dell’immediato dopoguerra) la sinistra ha avuto la forza di piegare
questo blocco, incuneandovisi, e realizzando gli unici avanzamenti civili e
sociali sperimentati dal nostro Paese (la fine della monarchia e la Carta
Costituzionale, il welfarismo degli anni gloriosi del boom economico, la
politica estera euromediterranea e di equilibrio fra Est ed Occidente della
migliore fase del craxismo).
Ma, per l’appunto, stiamo
parlando di una sinistra forte e radicata nel profondo del Paese, con la forza
di penetrare dentro le contraddizioni del blocco sociale dominante, ottenendo,
oltretutto per periodi tutto sommato brevi ed in forma episodica e non
continuativa, la possibilità di innestarvi le proprie proposte. La ridotta testimoniale,
supportata da posizioni politico-culturali grottesche e surreali, in cui si è
ridotta attualmente, non consente di pensare che vi sarà la forza di incunearsi
dentro le contraddizioni del blocco sociale dominante. Se anche il M5S dovesse
tracollare, il blocco sociale sottostante non si spezzerà, non ci saranno
fuoriuscite di materiale elettorale da un immaginario big bang, ma esso
transumerà tranquillamente ed integralmente dentro la Lega. Lo stiamo vedendo
già dalle prime elezioni amministrative post-formazione del Governo Salvini-Di
Maio e dai sondaggi: il calo elettorale dei pentastellati va a gonfiare i
numeri dei leghisti. Il blocco sociale non si dissolve, non tracima verso
l’esterno, ha semplicemente dei movimenti interni di assestamento legati al suo
eterno trasformismo, che lo porta ad aggiustare costantemente le formule
politiche in cui si esprime. Ma non esce, nemmeno in piccole quote, dal recinto
in cui si è chiuso, perché non conviene a nessuno dei suoi attori avventurarsi
oltre il grasso campo di pascolo che presidia. Di conseguenza, le bestie che si
trovano fuori dal recinto della fattoria degli zii Salvini e Di Maio, ovvero il
Pd, Fi e i micro-partitini di sinistra, continuano a dissanguarsi ed a deperire
per mancanza di nutrimento sociale. Le poche specie animali che, all’interno
del M5S hanno ancora una postura vagamente sinistroide, come Fico o i piccoli
cacicchi provenienti dalla disgregazione della sinistra, sono poco più che
automi, che saranno rapidamente destinati al macello (oggi Fico viene preso a
mazzate dal suo amico Di Maio persino per aver realizzato una delle battaglie
storiche del M5S, ovvero la cancellazione dei vitalizi) ed in parte utili
idioti collocati a presidio del lato sinistro della tenuta agricola della
premiata Ditta.
L’estinzione finale della
sinistra politico-sindacale italiana, intesa come forza in grado di influenzare
la direzione di marcia del Paese, sia pur minimamente e residualmente, e da
posizioni politiche ed organizzative autonome, è un destino ineluttabile. E’
quasi una necessità storica: per rinascere occorre prima morire. E’ una
evidenza profonda e segnalata da una simbologia universale: dal simbolo della
Fenice, al significato della Morte nei tarocchi come carta di rinascita, alla
potentissima simbologia cristiana del Dio che, per rinascere fortificato nella
sua comunità di fedeli, deve prima passare dalla crocifissione, ai miti
greco-egizio di Osiride Niente potrà evitare la morte, nessun artificio. Il
neo-municipalismo rappresentato da De Magistris altro non è che una versione
povera, localistica e miope dei bias ideologici di cui soffre la sinistra a
livello nazionale: internazionalismo d’accatto, buonismo acritico,
dirittocivilismo, ambientalismo di maniera ed incapace di intaccare i rapporti
sociali di produzione. In aggiunta a tali lacune, il neomunicipalismo aggiunge
le sue tare specifiche: l’invischiamento dentro le pastoie del micro-territorio
impedisce di portare su un livello più alto la domanda sociale, e resta
ingabbiato dentro un rivendicazionismo di micro-interessi mediato, per
necessità (legata all’impossibilità di dotarsi di strutture organizzative
complesse, data l’eccessiva prossimità con il livello territoriale) da un
caudillo vernacolare, una specie di Cola di Rienzo, o di Masaniello. Questa
strada è solo un espediente per prolungare il coma.
Dalle macerie non si uscirà
malconci ma indenni, come i sopravvissuti di un bombardamento che escono dal
rifugio antiaereo grati di essere ancora in vita e pronti a ricostruire. Non si
potrà più sopravvivere all’ombra di un capetto nella protezione di una setta.
Non ci saranno più centri studi o riviste cui affidare, come messaggi in
bottiglia di naufraghi, i propri messaggi. La destra di potere risolverà i
problemi con la sua visione del mondo, e non avrà nessuna pietà di chi ha lungo
ha creduto di difendersene sbeffeggiandola. Le pulsioni autoritarie che le sono
proprie si sfogheranno su ciò che resta della sinistra, mettendola in
condizioni di non esprimersi più. Occorrerà una lunghissima fase di
rielaborazione teorica dell’analisi sociale e della linea politica e
programmatica.
Ed accanto alla teoria, occorrerà
anche una immersione molto pratica nel cuore sofferente del Paese, quel cuore
abbandonato da una sinistra parolaia e di potere, ricostruendo il senso della
“commozione”, ovvero del muoversi insieme agli interessi sociali subalterni,
entrando nelle loro paure, nelle loro sconfitte, non bollandole come
manifestazioni di analfabetismo, ma sapendo comparteciparvi. E qui dirò
esattamente come la penso: in assenza di una capacità di tenuta
politico-organizzativa autonoma, che l’estinzione prossima ventura evidenzierà,
sarà necessaria una soluzione “kirchneriana”: forme di entrismo intelligente e
critico dentro il corpaccione del populismo di potere, per lavorarlo
dall’interno, cercando di piegarne a sinistra, per quanto possibile, le enormi
potenzialità di consenso che presidia. Possiamo anche baloccarci, con lo stesso
spirito di quelli che brindavano sul ponte del Titanic un attimo prima della
collisione, con giochetti organizzativi: con De Magistris si o no, con PaP si o
no, Possibile si o no, e vediamo cosa fanno quelli di Mdp, e vediamo come e con
chi riaggregare SI dopo l’inevitabile esplosione di LeU, e rimettiamo insieme
cocci disparati. Sono soltanto forme di ricomporre una polpetta sfragnata, sono
divertissement astratti, che non poggiano più su nessuna base di consenso, che
non hanno più nessun margine di manovra nel mondo reale.
Il consenso sta altrove. Non c’è
la forza e la credibilità per portarlo fuori dal recinto della fattoria degli
zii Salvini e Di Maio. Ed allora occorrerà chinare la testa ed abbassare le
orecchie, come è giusto facciano i perdenti, e cercare di entrare nel recinto
portando dietro una posizione propria, e cercando di farla valere per quanto
possibile. E l’unico modo per farlo, prima che sia troppo tardi ed i guardiani
della fattoria ci abbattano, occorrerà iniziare a dialogare con le bestie che
popolano la fattoria, oltre il recinto. Non continuando ad insultarli, a
trattarli da fascio-razzisti, ma comprendendo a fondo le istanze sociali che
rappresentano e mostrando rispetto. Cercando di sostenere le istanze interne al
M5S che intendono contrastare gli aspetti più belluini delle politiche di
questo Governo, aiutando tal istanze a non essere del tutto schiacciate. Prima
che l’onda lunga della deriva di destra del Paese non ci cancelli del tutto,
rendendoci inutili anche per questo ruolo residuale.
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