I luoghi hanno sempre una valenza
simbolica. Aquisgrana fu, nell’812, il teatro di un trattato di pace con il
quale i bizantini, che si consideravano i legittimi successori dell’Impero
romano ed avanzavano pretese territoriali sull’Europa occidentale, riconobbero
l’esistenza dell’Impero carolingio, cioè dell’aggregazione politica sorta dalla
parziale germanizzazione dell’antica Gallia celtico-romana ad opera dei Franchi
di Carlo Magno.
Da quel momento, iniziò una fase
di egemonia politica dell’Impero carolingio sull’Europa ed in specie sulla
Francia, che durò almeno fino a quando i successori di Carlo non ebbero
l’insana idea di litigare fra loro, ed il trattato di Verdun dell’843 andò a
costituire il primo nucleo di una Francia indipendente dalla Germania.
Molte di quelle tematiche
sembrano echeggiare nel Trattato di Aquisgrana firmato oggi, dove un Macron
indebolito da una pesante crisi sociale interna si sottomette alla Germania
della Merkel, stipulando un accordo bilaterale che, di fatto, fa carta straccia
del metodo comunitario, mostrando plasticamente ai pazzi che ancora farneticano
di Europa federale come il motore della politica europea sono gli interessi
nazionali. La Germania, di fronte alla prospettiva di una crescita
incontrollabile dei populismi euroscettici dentro le istituzioni europee, avvia
un percorso di svuotamento e di abbandono dell’Unione Europea, obiettivamente
considerata non più utile agli interessi tedeschi, o semplicemente non più
governabile secondo i criteri dell’interesse esclusivi della Vaterland che
hanno trasformato l’area euro in un enorme gioco del tipo “follow the leader”,
in cui governanti mediterranei sottomessi all’interesse tedesco dovevano
rincorrere i parametri macroeconomici del Paese dominante per tenere insieme
un’area valutaria subottimale.
In sostanza, la Francia,
ingoiando un rospo enorme rispetto alle sue pretese di grandeur, si impegna a
supportare l’accesso della Germania nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
rinuncia alla sua autosufficienza in materia militare accettando una crescente
integrazione sia a livello di industria della Difesa che di Forze Armate, si
impegna a partecipare a progetti diplomaticamente definiti “comuni” in materia
di energia ed economia, che però, stante la differenza di peso relativo fra gli
apparati produttivi tedesco e francese, si tradurranno in vantaggi relativi a
favore del primo contraente, a danno del secondo. L’integrazione a livello di “diritto
e cultura d’impresa” altro non significa che l’importazione del modello
imprenditoriale tedesco in quello francese. Così come l’istituzione di un
Consiglio di Esperti in materia economica, tutto destinato al tema della
“competitività” significa, fuori di metafora, che la Francia si piega al
modello ordoliberista tedesco, ossessionato dalla competitività dal lato dei
fattori produttivi.
Ma è soprattutto l’aspetto della
governance che impressiona: di fatto, fuori dal quadro delle alleanze e delle
istituzioni già consolidate, Francia e Germania costituiscono, in materia di
politica estera, difesa ed economia un metodo concertativo bilaterale, che
ovviamente rende del tutto inutili le riunioni del Consiglio Europeo e bypassa
le già modestissime prerogative di controllo del Parlamento Europeo. E’ come se
la Merkel e Macron, di fronte ad una Nato guidata dal sovranista Trump ed a
istituzioni europee che a breve potrebbero essere prese d’assalto dai
populisti, buttassero a mare tutto il quadro delle relazioni multilaterali in
cui sono coinvolti, ripiegando su un rapporto esclusivo ed ovviamente escludente.
Tusk, che non è uno sciocco, comprende benissimo il pericolo per il futuro
della Ue, quando invita – inutilmente - i due leader a rimanere dentro il solco
delle istituzioni comunitarie.
Per Macron, questo rapporto è
l’ultima possibilità di uscire dal declino politico personale, recuperando una
sembianza di leader di grande visione ovviamente ai danni del suo Paese, che
sarà sottoposto ad una seconda invasione di Franchi, stavolta economica. Mentre
la Germania rivela fino in fondo la natura opportunistica della sua politica
estera: essendosi rifiuta di assumere un ruolo di leadership dentro l’Unione
Europea, che le avrebbe imposto di assumersi una condivisione di parte dei
rischi economici e finanziari degli altri Stati membri, adesso butta via il giocattolo
che l’ha tenuta al riparo dalla grande crisi economica, scaricandola sui Paesi
euromediterranei.
Si comprende, quindi, l’astio
antifrancese che stanno dimostrando i nostri governanti in questi giorni, dal
sostegno ai gilet gialli alla discussione sul franco CFA: avendo scommesso
sulla sopravvivenza di un quadro europeo multilaterale dentro il quale
ricercare spazi di flessibilità e di attenuazione dell’austerità di bilancio,
adesso capiscono di essere stati estromessi dal tavolo che conta. Come italiani,
pagheremo carissimo questo accordo, dal dossier libico, alle politiche
migratorie, fino alla partita dell’integrazione della cantieristica (non a
caso, una Commissione Europea pateticamente asservita, proprio in questi
giorni, ha congelato l’acquisizione di Stx da parte di Fincantieri: poiché Stx
è una componente strategica dell’industria militare francese, in base
all’accordo di Aquisgrana essa dovrà integrarsi con i tedeschi, non con gli
italiani). Rischiamo seriamente che i neocarolingi ci trasformino nuovamente in
un loro contado, esattamente come ai tempi delle scorribande italiche di Carlo
Il Grosso.
In un certo senso, si sta
realizzando il sogno sovranista di una definitiva dissoluzione di ogni
rimasuglio di relazione europea, sotto il ghigno mefitico ed alcolico di
Juncker che, da Presidente della Commissione, benedice l’accordo
franco-tedesco, anziché stigmatizzarlo. Solo che questo sogno si sta
realizzando per opera degli avversari, che ci faranno pagare un pedaggio di
uscita molto salato.