sabato 6 aprile 2019

Libia: storia triste di una sconfitta per l'Italia



Non è in dubbio il fatto che Khalifa Haftar diverrà il nuovo Raìs della Libia. Il problema è solo quando lo diverrà. L'assalto a Tripoli di questi giorni potrebbe forse, ancora, essere fermato, perché le potentissime milizie di Misurata, composte da circa 10.000 uomini, che sembravano in parte, nei mesi scorsi, basculare verso un'alleanza con lui, si sono nuovamente schierate con Al-Serraj, insieme alle milizie di Zintan.
Però è chiaro che l'equilibrio delle forze è oramai spostato verso Haftar. E' l'unico a disporre di un esercito proprio, mentre Serraj è costretto a negoziare, volta per volta, con milizie la cui fedeltà non è assicurata. Può disporre di un retroterra logistico in Egitto, dove Al-Sisi lo vede come un prezioso alleato per demolire la Fratellanza Musulmana, il suo principale avversario. E' chiaramente appoggiato dalla Francia, che vuole mettere le mani sulle risorse petrolifere gestite dall'Eni, che lo ha curato quando ha avuto un problema di salute grave, e che lo finanzia. Per motivi analoghi, è supportato anche dalla Gran Bretagna. Viene visto dalla Russia come l'unico possibile fattore di stabilizzazione del Paese, e il suo anti-islamismo e laicismo tradizionale è molto gradito a Putin, ancora coinvolto in Siria contro i residui dell'Isis, e sempre preoccupato dai possibili rigurgiti islamisti nel Caucaso. D'altra parte, con Haftar Mosca ha siglato un accordo che le permetterà di avere due basi militari nella Cirenaica, estendendo così il suo potere militare nel Mediterraneo, un antichissimo obiettivo di politica estera che perseguiva sin dai tempi di Stalin.
La stessa dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU appare timida e rinunciataria, invitando Haftar a cessare il fuoco, senza però chiedergli di tornare sulle posizioni precedenti all'offensiva. Ed oramai il generale ha in mano la Cirenaica ed il Fezzan, ovvero i due terzi del Paese.
Al povero Serraj resta solo l'appoggio sempre più disperato dell'Italia, con gli USA che, fondamentalmente, hanno perso interesse per la Libia, dopo aver, ai tempi di Bush e poi di Obama, costruito pezzo per pezzo il personaggio-Haftar, per usarlo come testa di ariete contro il suo ex-amico Gheddafi (amicizia incrinatasi nel 1987 quando Haftar, mediocre comandante militare, si fece catturare insieme a 1.000 suoi soldati durante la guerra in Ciad, e fu abbandonato da Gheddafi, rimanendo per tre anni prigioniero dei ribelli ciadiani, prima di essere liberato dagli USA e arruolato come collaboratore della CIA).
Certo, il ruolo dell'Italia può ancora prolungare la vita, oramai precaria, del Governo Serraj, soprattutto per i buoni rapporti intessuti con le milizie di Misurata (città in cui l'Italia ha aperto un ospedale e inviato truppe). Ma oramai siamo agli sgoccioli, e la miserabile figura rimediata dal Governo Conte a Palermo, quando ha cercato, con italica furbizia, di ingraziarsi Haftar senza però abbandonare Serraj, inducendo i due ad un ipocrita abbraccio a fine conferenza, ha il sapore dell'ultima opportunità per cambiare cavallo. Opportunità sprecata.
Gli errori dell'Italia in Libia, però, sono di lunga data. Risalgono allo sciocco appoggio incondizionato che il Governo Berlusconi offrì alla guerra per defenestrare Gheddafi, guerra evidentemente contraria agli interessi del Paese, ma che l'ex Cavaliere vide come una opportunità per salvare il suo governo, sempre più inviso alla Merkel per la scarsa energia nel fare spending review. Naturalmente, Berlusconi fu fatto comunque cadere con una sorta di colpo di Stato istituzionale, manifestando quella coglionaggine che oggi vorrebbe attribuire ai gialloverdi.
La scelta scellerata di non scegliere, cioè di seguire, volta per volta, le indicazioni che provenivano da Parigi e da Washington su quale dei numerosi governi libici di transizione sostenere, fu fatta dal buon Moavero, lo stesso Ministro degli Esteri attuale, che ricopriva lo stesso incarico già ai tempi del Governo Monti e del Governo Letta. Senza nessuna capacità di incidere nelle dinamiche, l'Italia appoggiò i vari esperimenti di transizione di governi che avrebbero dovuto traghettare la Libia verso una utopistica pacificazione democratica, senza tenere conto degli equilibri sul campo fra le varie tribù.
La progressiva ascesa delle forze islamiste nel Congresso Nazionale Generale, fino a proporre l'applicazione della sharia ed a imporre una irragionevole e suicida caccia alle streghe contro gli ex fedeli di Gheddafi, ha consentito ad Haftar, che nel 2011 era un uomo politicamente finito, di rilanciarsi ed irrompere sulla scena come difensore delle forze laiche e dei nostalgici di Gheddafi (non contento, Moavero è riuscito anche a contribuire, seppur da un ruolo più defilato di consigliere, alla scelta di insediare ad Amsterdam, anziché in Italia, la nuova agenzia europea del farmaco, ma questa è un'altra storia, che contribuisce però a definire l'incapacità del personaggio, capace perlopiù di disquisire di scrivanie).
Gentiloni, da Ministro degli Esteri, ha infine messo la ciliegina sulla torta, scegliendo di puntare sul cavallo perdente, ovvero il timido Serraj. Per soprammercato, anziché cercare relazioni positive con l'Egitto, principale sponsor di Haftar, il nostro Gentiloni ha avuto la brillante idea di appoggiare la guerriglia contro Al-Sisi in nome di una impossibile (e francamente inutile per l'interesse nazionale) “verità per Giulio Regeni”.
Adesso che la frittata è fatta, che siamo riusciti a non contare più niente in una nostra ex-colonia, adesso che lo stesso Haftar si sente forte, e non sa cosa farsene dell'appoggio italiano, non rimane che una opzione, ovvero l'intervento militare per fermare le forze del generale di Bengasi. Altrimenti, a breve avremo a Tripoli un governo a noi ostile, che ci estrometterà dal business petrolifero e che farà ripartire i flussi di barconi di migranti verso l'Italia. Non si capisce perché la Francia, in Ciad, in Costa d'Avorio, nel Mali, intervenga militarmente, mentre per noi italiani la questione è un tabù. Le Forze Armate servono per proteggere un interesse nazionale, altrimenti possiamo anche scioglierle e diventare come il Costa Rica, una colonia di fatto.
Accodarsi scodinzolante alla Francia, come sta facendo Moavero, nella speranza di avere ancora qualche briciola nel futuro riassetto di potere della Libia, non produrrà alcun risultato. A volte viene il dubbio che la nostra classe dirigente non lavori per l'Italia. Del resto la Legione d'Onore fa sempre gola ai provincialotti nostrani.

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