domenica 17 novembre 2019

Sostenibilità del debito pubblico ed il caso dell'Italia




La domanda delle domande che echeggia da sempre sui mercati finanziari, fra i policy maker ed il pubblico, è se il debito pubblico sovrano di un determinato Paese sia sostenibile o meno. Come mai il debito pubblico giapponese, che è al 200% del Pil, è sostenibile, e quello ucraino, che è al 30%, non lo è? Da cosa dipende il concetto di sostenibilità nel tempo del debito pubblico? Un recentissimo paper di Debrun, Ostry, Willems e Wyplosz[1] cerca non di dare risposte definitive, ma di sistematizzare i vari elementi che compongono il concetto di “sostenibilità” del debito pubblico. Essa, come appare evidente, non dipende dalla percentuale sul Pil, o, peggio ancora, dal suo valore assoluto, come indicano gli stupidi ed angosciosi cartelli messi nella stazione centrale di Milano, che ogni secondo fanno vedere la crescita dell’entità assoluta del debito pubblico italiano. Così come non è vero che il “debito pubblico non esiste”, come ritengono i sostenitori della sua monetizzazione totale.
Gli autori del paper in questione mettono in fila le seguenti questioni, per poter definire la sostenibilità del debito pubblico:
a- Solvibilità del governo e stabilità della traiettoria intertemporale del debito pubblico;
b- Credibilità del governo nell’imporre politiche fiscali restrittive;
c- Condizioni di liquidità del Governo, che però, fintanto che dura l’attuale fase di espansione monetaria della Bce, non è un problema per l’Italia.
Gli autori stessi evidenziano come tutta una serie di aspetti più specifici, come la composizione del debito pubblico rispetto alle valute in cui è denominato, o rispetto alle caratteristiche dei creditori (istituzionali o di mercato, interni o esteri) o la sua struttura per maturità sono fondamentali nel determinarne la sostenibilità. Tali aspetti, però, in qualche modo possono essere ricompresi nelle categorie a), b) e c) sopra citate. Vediamo di analizzarle con maggiore dettaglio.

Solvibilità del governo

L’evoluzione intertemporale del debito pubblico (d) fra i tempi t-1 e t dipende dalla seguente equazione
Dt – Dt-1 = (Rt-Yt/1+Yt)Dt-1 – PBt,
dove:
Rt è il tasso di interesse medio sul debito pubblico, Yt il tasso di crescita del Pil, PB il surplus primario (cioè la differenza fra entrate fiscali e spesa pubblica al netto del pagamento degli interessi sul debito).
Sostanzialmente, tale equazione ci dice che il debito pubblico cresce nel tempo se il tasso di interesse medio su tale debito cresce più rapidamente del tasso di crescita del Pil, che è correlato all’incremento degli introiti fiscali, e se la crescita del fardello da indebitamento è superiore a quella del surplus primario di bilancio.
Da tale semplice equazione, è possibile inferire la condizione di sostenibilità nel medio periodo del debito pubblico. Se parametrizziamo la risposta di politica fiscale al tempo t rispetto ad un dato livello del debito pubblico nel tempo precedente, allora avremo che PBt = βDt-1, dove 0<β<1, abbiamo che la risposta in termini di politica fiscale, cioè di avanzo primario, è un moltiplicatore del debito pubblico al tempo precedente.
Da tale espressione, ricaviamo che se β> (Rt-Yt/1+Yt), cioè se la risposta di politica fiscale è più ampia del coefficiente che, nell’equazione precedente, produce accumulazione intertemporale di debito, allora il debito pubblico è sostenibile nel tempo.
Ciò significa che, se la risposta di politica fiscale in termini di aggiustamento verso l’alto dell’avanzo primario supera il differenziale (supposto positivo) fra tasso di interesse medio del debito pubblico e tasso di crescita, allora il debito pubblico sarà sostenibile, perché tenderà, nel tempo, ad aggiustarsi verso un trend decrescente.
Naturalmente, le previsioni su tasso di crescita, tasso di interesse e avanzo primario devono essere non solo realistiche, ma basate su dati di fatto, e la crisi del debito pubblico greco è esplosa anche per previsioni realistiche basate su dati di bilancio truccati.

Credibilità delle politiche fiscali e fiscal fatigue

Altrettanto naturalmente, le previsioni di politica fiscale devono essere credibili, nella misura in cui i mercati non crederanno mai ad ipotesi di avanzo primario troppo alte, che sarebbero politicamente indigeribili e non fattibili. E qui veniamo alla questione della credibilità del governo nel momento in cui impone politiche fiscali restrittive per rendere sostenibile il debito pubblico, con i parametri sopra definiti. Il tema è quello della “fiscal fatigue”, cioè dell’affaticamento dell’opinione pubblica nell’accettare prolungati periodi di politiche fiscali restrittive. In un grafico in cui le ascisse rappresentano i livelli di debito pubblico e le ordinate i livelli di avanzo primario, la linea continua rappresenta la funzione di reazione fiscale, ovvero i livelli di avanzo pubblico stabiliti dal governo come reazione ad un determinato livello di debito pubblico. La linea tratteggiata rappresenta il servizio totale per interessi sul debito pubblico, ovviamente crescente al crescere del debito.
Il punto di intersezione A fra le due curve rappresenta il punto di debito di equilibrio intertemporale, d*, verso il quale si può far convergere l’economia: in tale punto, i livelli di avanzo primario sono sufficienti a ripagare il servizio del debito, ed esso, quindi, tenderà a non crescere ulteriormente. A sinistra del punto A, i livelli di debito pubblico saranno così bassi da non stimolare una forte reazione di politica fiscale. A destra del punto A, per livelli di debito più alti di d*, il governo tenderà a fare politiche fiscali particolarmente restrittive, per non farsi sfuggire la situazione di mano.
Tuttavia, se, nonostante tali politiche fiscali restrittive, per shock macroeconomici sulla crescita o sul tasso di interesse il debito arriva fino al punto d**, cioè all’intersezione marcata con il punto B, la “fiscal fatigue” impedirà di esercitare interventi fiscali ulteriormente restrittivi, e la curva di reazione fiscale tenderà ad appiattirsi e divenire una retta orizzontale. A quel punto, ulteriori aumenti del debito pubblico non potranno più essere contenuti dalla politica fiscale, ed il tasso di interesse sul debito pubblico tenderà a schizzare verso l’infinito, perché i premi per il rischio di investire in nuovi titoli del debito pubblico diverranno tendenzialmente di entità incontenibile. Siamo nel caso del default sovrano.






Debito pubblico di equilibrio e di default


Gli spazi fiscali disponibili

In realtà, tale situazione non si realizzerà mai: nessuno consentirà che il debito arrivi fino a d**, perché gli investitori sconteranno anticipatamente l’imminente default, e già al livello di debito più basso marcato come dls, cioè al punto di intersezione C, chiederanno un incremento del tasso di interesse sui nuovi titoli del debito pubblico insostenibile. Il default avverrà per decisione del mercato prima ancora di raggiungere il punto “automatico”.
Qui veniamo ad un ulteriore punto: quello dello spazio fiscale. Fino a quanto uno Stato può permettersi di ampliare il suo debito pubblico senza arrivare al fatidico punto dls, dove si precipita nel default pilotato dai mercati? Una elaborazione del FMI sugli spazi fiscali di un gruppo di Paesi, intesi come i margini disponibili per abbassare le tasse e/o aumentare la spesa pubblica prima di finire in default, prende in considerazione aspetti quali il livello medio di spead negli ultimi 12 mesi e negli ultimi 5 anni, la quota di debito pubblico detenuta dai non residenti, la struttura per maturità del debito, l’entità degli asset finanziari di proprietà pubblica.
La proiezione di tale modello per l’Italia la colloca in uno spazio fiscale limitato, insieme a Paesi quali l’Argentina, il Brasile, il Sudafrica e la Spagna, con un rischio moderato in termini di disponibilità di nuovi finanziamenti dai mercati, ma elevato in termini di sostenibilità futura del debito pubblico, cioè di suo incremento per non soddisfazione della già citata condizione di equilibrio β> (Rt-Yt/1+Yt) per via di una futura “fiscal fatigue” che allenterà le politiche fiscali.
 Messa in questi termini, l’Italia potrebbe, a bocce ferme, ed almeno per i prossimi anni, permettersi un allentamento delle politiche fiscali sapendo che il rischio di non essere più finanziata dai mercati in sede di rollover del suo debito sovrano è moderato. Ciò però inevitabilmente comporterà un avvicinamento a livello critico dls, dove tutto cambierà. A meno che il rilassamento delle politiche fiscali non comporti un incremento di Yt, cioè del tasso di crescita dell’economia, oltre il tasso di interesse sul debito sovrano. In effetti, sembra che un disavanzo pubblico integralmente costituito da investimenti pubblici sia considerato “credibile” dai mercati, comportando, ceteris paribus, un calo del tasso di interesse sul debito.
Gli stress test condotti sull’Italia dal Fmi evidenziano che il rischio più grande di esplosione del debito pubblico derivi da uno shock sull’economia reale, cioè da una recessione economica. L’esplosione del debito pubblico che ne deriverebbe sarebbe molto più significativa rispetto a quella derivante da un incremento dei tassi di interesse sul mercato del debito pubblico o da uno shock sul saldo primario. Il rischio potenzialmente più alto è però quello combinato: bassa o negativa crescita economica accompagnata da un aumento della spesa pubblica, evidentemente non in grado di invertire il ciclo negativo.
Stress test sul debito pubblico italiano per tipologia di shock

Fonte: Fmi

Conclusioni

La sostanza di tutto questo ragionamento è la seguente:
a a) Non sembrano esservi, nel breve periodo, rischi significativi di mancato rollover del debito pubblico. Se la Bce dovesse proseguire nel piano di acquisto di titoli del debito pubblico sul mercato secondario, tale rischio sarebbe anche più basso;
bb) Tuttavia, tali rischi potrebbero aggravarsi significativamente con l’attuale progetto di riforma dell’ESM (meccanismo europeo di stabilità) che sembra suggerire agli investitori l’intento, da parte di Francia e Germania, di creare un cordone protettivo contro il potenziale rischio di default italiano, inducendo sui mercati le classiche previsioni auto-realizzanti, aggravate dalla previsione di ristrutturazione automatica del debito con “private sector involvement” in caso di richiesta di accesso al nuovo Mes. Tale riforma è avvenuta lungo la vita del precedente governo gialloverde, perché la prima versione fu proposta nel dicembre 2018, e poi approvata dal Consiglio del giugno 2019, con Governo gialloverde già in carica. Non si capisce, quindi, come mai Bagnai e Borghi sbraitino oggi. Dovevano farlo prima, quando erano al governo e porre il veto. Evidentemente, l’attuale premier Conte non sembra in grado di affrontare la questione, ma è dubbio che lo possa fare anche un eventuale premier Salvini. Dov’era quando tali proposte furono avanzate? Era al Governo, ma non ha fatto granché;
  c) Il rischio grosso che corriamo è che la crescita del Pil prosegua lungo l’attuale fase di stagnazione o, peggio, decresca per via di una nuova recessione. In tal caso, il debito pubblico esploderebbe verso il punto di default, e la fiscal fatigue sarebbe ancora più rilevante (come imporre politiche fiscali restrittive ad un Paese in crisi economica?)
dd) Se si vuole fare politiche fiscali espansive, esse devono basarsi su spesa pubblica ad elevato moltiplicatore sulla crescita, tipicamente su spesa per investimento, riducendo il ricorso a spesa corrente ed a trasferimenti fiscali poco produttivi sotto il profilo dell’impatto sui consumi e sulla crescita (come ad esempio gli sgravi sui redditi medio-alti, tipici di sistemi come la flat tax);
ee) La spesa per investimenti va promossa rimuovendo i lacci e lacciuoli amministrativi che rendono i tempi di completamento dei cantieri biblici. Non basta più fare qualche ritocco al Codice degli Appalti, occorre una forte riduzione dei controlli amministrativi e giurisdizionali ex ante, salvo poi recuperarli ex post con particolare severità (non deve cioè essere consentito di pensare che i controlli si ammorbidiscano, ma solo che essi avverranno ad opera consegnata, e non in itinere. Se ad opera consegnata, in fase di collaudo, si riscontreranno difetti o inadeguatezze di fabbricazione, l’opera verrà demolita ed i suoi costruttori severamente puniti, ma perlomeno l’effetto di spesa sulla crescita sarà stato conseguito);
ff)  Un rischio moderato di default rimane sulla possibilità di shock sui tassi di interesse. Da questo punto di vista, c’è poco da fare, se non sperare che la Bce non abbandoni del tutto la politica dei tassi di interesse bassi sinora condotta, moderando molto la successiva ed inevitabile fase di aumento che si verificherà, anche in considerazione di un rischio inflazionistico inesistente. 
   Tutte queste considerazioni, ovviamente, valgono se non siamo già alla vigilia di una nuova recessione globale indotta proprio dai debiti sovrani. In quel caso, finiremo come la Grecie o giù di lì. 



[1] Public Debt Sustainability, in Cepr, Dp 14010, settembre 2019.

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