sabato 7 dicembre 2019

Spunti per un possibile socialismo patriottico (che non andrebbe chiamato così)


La sinistra a guida piddina (il resto sono frange legate ad alleanze subalterne con il Pd o irrilevanti in termini di consenso) ha largamente fallito nel tentativo di gestire il Paese, e ne sta amministrando un lento ma inesorabile declino, non riuscendo a proporre una ricetta che gli restituisca prospettiva. Gli italiani scivolano lungo un declivio di disperazione, rassegnazione e rabbia. Un mix molto pericoloso. Il tentativo di rivoluzione giacobina del M5s sta implodendo per incompetenza, moralismo giacobino e governismo ad ogni costo, lasciando senza prospettive elettorali il rilevante consenso raccolto nella sua fase ascendente.
Gli strati popolari, perlopiù provenienti da sinistra, che ora appoggiano la Lega, saranno delusi dall'impostazione liberista che prevale in quel partito, e che sarà rafforzata dalla sua ascesa al governo nei prossimi mesi (perché un conto è abbaiare sovranisticamente all'opposizione, altro conto è stare al governo e gestire un Paese sul bordo del crollo e senza peso in politica estera). Il centrodestra a guida leghista proporrà poco più che un lafferismo fiscale coperto con una riduzione della spesa sociale, oltretutto compresso da vincoli europei che non vorrà, se non a parole, piegare, associato ad un contrasto all'immigrazione mediatico ed incapace di proporre rimedi strutturali, oltre l'infinita lotta nave Ong per nave Ong ed un securitarismo inefficace (è noto che i Paesi più securitari sono anche quelli a maggior incidenza di criminalità violenta). Il tutto condito da un autonomismo regionale strumentale alla perenne rivolta fiscale dei ceti produttivi del Nord, non ad una valorizzazione e responsabilizzazione dei territori. Non potrà fare altro perché questo è ciò che gli chiede la sua base di consenso storica, il suo nucleo vitale, che rimane ancorato ai territori lombardo-veneti, e questo gli consentiranno di fare i vincoli esistenti.
Tutto ciò non farà che allargare le diseguaglianze, ed i ceti popolari delusi non torneranno a votare per una sinistra geneticamente modificata, non avranno lo sfogatoio del M5s, che implodera', non voteranno per qualche proposta di Italexit, che istintivamente temono, ma rifluiranno verso un astensionismo rabbioso e pronto a farsi reclutare in qualche avventurismo sovversivo ed autoritario. Già oggi, ci dice il Censis, la maggior parte degli italiani vorrebbe un “uomo forte”.
Per evitare tale epilogo, servirebbe una proposta programmatica fortemente patriottica, mirata ad una regolazione civile ma rigorosa dell'immigrazione, euro-critica senza esagerazioni da Italexit della serie ci-stampiamo-i-soldi-da-soli-e-ci-autoripaghiamo-il-debito (e per favore posate il fiasco e ricordatevi di Weimar). Meglio pensare ad una battaglia di riconquista di margini di politica fiscale per fare deficit e a margini di politica industriale, sui quali occorre un piano di riconversione produttiva del Paese di medio periodo, basato anche sulle ppss. Tale proposta dovrebbe avere una impronta statalista e keynesiana, basata su un programma di investimenti pubblici nella scuola, nella ricerca, nelle infrastrutture e nella difesa del territorio, ed essere fortemente redistributiva nell'approccio sociale e nel recupero di una politica dei redditi. Si preveda un tasso di crescita dei salari legato alla crescita del Pil, come proponeva, ad esempio, la Uil.
Una simile proposta dovrebbe partire da un presupposto di fondo, ovvero quello che, anche strutturando opportune alleanze euromediterranee con altri Paesi, l'Asse franco-tedesco vada allentato, evidentemente non spezzato, perché ciò è impossibile, ma condotto a fare mediazioni. In primo luogo, nelle politiche industriali, dove il concetto di aiuto di Stato, tipico di una dottrina ordoliberista che pervade i Trattati, va allentato. Di fronte al declino industriale, occorre tornare a poter fare politiche industriali di settore. Inoltre, occorrono maggiori margini di politica fiscale, attraverso margini di maggiore condivisione del rischio, o, se ciò non sarà concesso, la disobbedienza ai Trattati, esattamente come fa la Germania, che viola sistematicamente le regole impunemente. Certo, il nostro peso e la nostra credibilità sui mercati finanziari sono ben diversi, ma sappiamo anche che a nessuno conviene il default sovrano di una economia così grande, con potenzialità sistemiche disastrose.
Detta proposta dovrebbe evitare come la peste ogni richiamo identitario. Niente socialismo, comunismo, socialdemocrazia nel nome e nel simbolo. Niente frasi di Marx, nemmeno di Groucho. L'identitarismo non attrae, se non i pochi nostalgici, ed è un ostacolo in termini di libertà di movimento. Chi si sente parte di quella storia la custodisca nel segreto del proprio cuore. Tale formazione non dovrebbe aver paura di fare specifiche battaglie con la destra, se sono coerenti con la sua proposta programmatica. Dovrebbe essere chiara sui suoi riferimenti sociali, non fare partigianerie fuori tempo massimo rispetto alla collocazione nell'arco partitico, rispetto alla quale dovrebbe muoversi con autonomia e spregiudicatezza, in base ai temi.
Dovrebbe avere una organizzazione radicata nei territori ma al tempo stesso snella, fatta di pochi referenti settoriali a supporto di un coordinatore eletto da una assemblea di rappresentanti dei territori, una leadership comunicativa e fortemente rappresentativa della linea politica, niente cazzate su guida collettiva o collegiale, molta attenzione a gestire la discussione interna senza dare la solita impressione di spaccature interne molto forti, tipica del tafazzismo di sinistra. La comunicazione è fondamentale, al leader serve anche quella empatia nel connettersi ai sentimenti popolari che spesso manca a chi viene da una formazione politica di sinistra. Evidentemente, nessun soggetto che abbia avuto qualsivoglia ruolo decisionale, di militanza o di elaborazione politica ed intellettuale nella sinistra attuale dovrebbe essere imbarcato.
Nessun settarismo né feticismo, l'intellettuale è al servizio del partito, non un idolo da venerare e sbandierare come in trofeo. Il lavoro intellettuale deve servire a dare profondità a quello politico, non confondersi con esso. Nessuno snobismo, si sta fisicamente nei luoghi della sofferenza sociale, si va nei quartieri difficili, si va fra gli operai che temono per il loro lavoro, ci si prendono gli schiaffoni se serve, ma ci si va portando soluzioni, non dicendo che non si hanno. Si tengono i rapporti con le frange combattive del sindacato, anche quelle di base, senza andare dai confederali solo perché sono confederali, ma ci si tiene aperto un canale di dialogo con tutto il mondo del lavoro, confederali compresi.
Si guarda ad un blocco sociale che integri il sottoproletariato urbano, il proletariato industriale meno rappresentato, racchiuso nei circuiti della subfornitura e della monocommittenza, i nuovi lavori ad alto tasso di sfruttamento, dai rider al precariato cognitivo alle finte partite Iva, senza offrire stupide stabilizzazioni a chi non le vuole, ma modelli fiscali e di welfare su misura delle esigenze di queste figure, ivi compreso un salario minimo di dignità per chi è fuori dalla contrattazione collettiva, la piccola borghesia a mercato interno, anche il salumiere.
Si difende la famiglia, cari miei, perché la famiglia non è quel luogo pruriginoso di vizi borghesi e di depravazioni conformiste che la sinistra immagina, è l'ultimo baluardo di una società che vuole difendere le sue radici e la sua solidarietà, prima che la distopia libertaria dei sinistri cultori di un relativismo grottesco spazzi via tutto. E allora si difende la prima casa, nessuno la può pignorare, e si torna a costruire nuove case popolari, per dare una casa a tutti. Si difendono i bambini dagli orchi travestiti da operatori sociali. Si afferma la centralità anche spirituale della famiglia. Si difende la natalità, si dà piena attuazione alla legge sull'aborto, anche laddove prevede interventi di prevenzione. Si opti per un modello che non uccida il nascituro, che gli consenta di nascere ed essere adottato con opportuni incentivi.
Si difendono i rifugiati veri e si offrono percorsi di cittadinanza ai minori abbandonati già residenti da noi, si fanno entrare immigrati dotati di quella professionalità e rettitudine civile e lavorativa che siano utili per la nostra economia, e si combatte ogni forma di sfruttamento lavoristico nei loro confronti, inquadrandoli nei CCNL e nel sistema delle tutele legali: il caporalato e lo sfruttamento degli immigrati preludono allo stesso trattamento che sarà fatto ai lavoratori italiani. Ma si chiudono le frontiere a chi non ha diritto, salvo piccoli flussi aventi professionalità rare e pregiate. Si attuano politiche di respingimento e di rimpatrio rigorose, veloci, massive, umane per quanto possibile. Chi resta da noi va assimilato, l'obiettivo è quello di farne un italiano nel giro di una generazione. Niente multiculturalismo patchwork. Ti accogliamo, sei tu che ti devi adeguare a noi.

Si difendono le caratteristiche garantiste, democratiche, volte al recupero sociale e rispettose della persona e della sua libertà del nostro ordinamento giuridico, senza tentazioni forcaiole, senza giustizialismo. Si garantisca vera indipendenza alla magistratura, proibendone le correnti interne e prevedendo la decadenza in caso di candidatura politica, si ragioni su un divisione delle carriere funzionale a un maggior garantismo, non ad ipotesi punitive. E, mi sia consentito, qualcosa andrebbe fatto, in termini di riforma, sulla giustizia minorile, caratterizzata da un procedimento privo di contraddittorio e di equilibrio fra diritti della difesa e dell'accusa, affidata, in sede di istruttoria dei casi, a servizi sociali sprofessionalizzati o formati su teorie psicosociali e pedagogiche sbagliate, affetta da molteplici conflitti di interesse. 



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