venerdì 10 gennaio 2020

Craxi e la sinistra del futuro


Ultime considerazioni su Craxi, poi la faccio finita, anche perché non ha senso riaprire la diatriba degli sconfitti nel 2020. Il craxismo ha attraversato tre fasi, non sempre strettamente successive temporalmente, essenzialmente interrelate. La fase del Midas, quella dell'Ergife e quella di Hammamet.

Nella prima fase, che è quella che va salvata di questa esperienza storica, vi fu una intuizione straordinaria di ciò che avrebbe dovuto fare una sinistra nell'epoca del postfordismo, della liquefazione verso il centro delle classi otto-novecentesche, dell'avvio di fenomeni sempre più rapidi di globalizzazione, di indebolimento ed entrata in crisi, geopolitica ma soprattutto ideale, del mito e del modello del socialismo reale di oltre cortina dopo il 68.
Questa intuizione si può così grossolanamente riassumere:

A) la sostituzione di Marx con Proudhon, sostituzione che intendeva guardare ad una nuova composizione di classe della sinistra: con i nuovi modelli di organizzazione del lavoro toyotisti e di lean organisation e l'esplosione della grande fabbrica verticalmente integrata tramite l'outsourcing e i distretti, con la marcia dei 40.000, mal compresa dai sindacati, incapaci di aggiornare il loro schema di lettura, la classe operaia inizia la sua frammentazione e acquisisce elementi sovrastrutturali piccolo borghesi, entrando nel ceto medio. Lo stesso ceto medio inizia a rivendicare la sua centralità nella lotta per i diritti, rifiutando una sinistra dogmatica che continua a trattarlo come appendice del padronato. L'idea proudhoniana della centralità, nella dinamica sociale, del piccolo produttore alleato con il lavoratore, consente di andare oltre la rigida interpretazione del marxismo della sinistra di allora, prefigurando l'esigenza di un blocco sociale fra lavoratori e piccoli borghesi, che anticipa in modo lucidissimo l'emersione di nuove classi sfruttate della new economy, a metà strada fra proletariato e piccola borghesia, e prefigura ciò che sta avvenendo oggi, ovvero una ribellione contro la globalizzazione condotta dai ceti medi impoveriti, non dalla classe operaia tradizionale;

B) questa alleanza deve essere basata su un patto fra bisogno e merito, per dirla martellianamente. Occorre assecondare il desiderio di ascesa sociale dei ceti medi affluenti con il rafforzamento delle reti protettive per chi non gliela fa. Solo così si può restare protagonisti in una società nuova, dove persino a sinistra il libertarismo post sessantottino ha seminato il germe dell'individualismo e del desiderio di felicità personale, oltre la massificazione della sinistra tradizionale, e dove si sviluppano nuove povertà, che richiedono nuove forme di welfare, nello stridore fra ideologia lavorista della società tradizionale e progresso tecnico, che è labour saving;

C) in un mondo globale, serve una politica estera di nicchia, che crei un vantaggio distintivo non rimuovibile. Rimanendo dentro lo schema atlantico, l'Italia deve sapersi qualificare come ago della bilancia nel micro scacchiere mediterraneo. Da lì deriva il lavoro per farsi autorizzare la costruzione di una portaerei, che i trattati post bellici proibivano alla nostra Marina, perché una piccola potenza mediterranea necessita di un minimo di proiezione aeronavale. Da lì derivano l'amicizia con Ben Ali in Tunisia, l'intesa cordiale con Gheddafi in Libia, sottraendo al neocolonialismo francese in Nord Africa posizioni importanti. Al tempo stesso, lo Stato deve mantenere una presenza forte nell'industria, garantendo la sopravvivenza delle Ppss e usando la leva della spesa pubblica in deficit per alimentare la crescita. L'economia deve essere ancillare alla politica, anche al prezzo di meccanismi di corruzione, e non viceversa, e ciò richiede uno Stato forte, anche opprimente.

Dopodiché è vero che il Craxi della fase bonapartista rovino' tale disegno, in buona parte con le sue mani, in parte per le pressioni dei suoi alleati di governo, Dc in testa, e delle fameliche bramosie dei suoi sodali, generate dalla demolizione del partito, trasformato in comitato di affari, in parte a causa di un Pci e di un sindacato che si arroccarono su posizioni difensive e su letture miopi delle dinamiche sociali di quegli anni, anziché accettare la sfida della modernizzazione proposta da Craxi, dando avvio al proprio declino.

Però oggi, oggi che la globalizzazione è in crisi, il neoliberismo non ha più soluzioni da offrire, i ceti medi impoveriti, segmenti di classe operaia legati alle imprese a mercato domestico, e pezzi di sottoproletariato urbano danno vita ad ingenti fenomeni di protesta, ecco che le tre grandi intuizioni di Craxi (blocco sociale fra mondo del lavoro e piccola impresa a mercato interno, alleanza fra merito e bisogno, rafforzamento di nicchia dello Stato in proiezione esterna e dentro l'economia nazionale) diventano le tre leggi auree attraverso le quali la sinistra potrebbe ricostruire il suo radicamento sociale nel nuovo mondo in cui ci troviamo.

Il resto lasciamolo alle polemiche storiche, accademiche e da barrino del ponce. O ai perdenti con il loro fegato in mano.

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