sabato 15 febbraio 2020

Il mondo nuovo della Casaleggio



Di recente, un piccolo giornale on-line, beccandosi una querela, ha definito il M5s un movimento di lobbisti. Casaleggio ha sentito l'esigenza di andare in televisione a chiarire che il MoVimento è dei cittadini che lo supportano e che durante il periodo di governo pentastellato nessuno dei clienti della sua azienda è stato in alcun modo favorito.

Anche io credo, in effetti, che accusare i pentastellati di lobbismo, nel senso classico di questo termine, sia sbagliato ed ingiusto. Il tema non è quello di un M5s che favorisce clienti e business di Casaleggio o la carriera artistica di Grillo. Il tema è che, come ogni forza politica, il M5s difende interessi specifici e non un generico popolo di “cittadini” senza definizione di classe, come pretende Casaleggio.

E la rappresentanza di interessi che difende il M5s è di tipo imprenditoriale ed appartiene alla stessa tipologia di realtà aziendali cui afferisce la Casaleggio e Associati. Si tratta delle imprese che Mediobanca, Picone ed altri studiosi hanno chiamato il “Quarto Capitalismo” italiano. Dopo i grandi gruppi industriali delle famiglie storiche (Agnelli, Pirelli etc.) del Primo Capitalismo tardo ottocentesco, dopo il capitalismo di Stato nato nei primi anni Trenta con la nazionalizzazione delle grandi banche e la creazione dell'IRI, il Secondo Capitalismo, dopo il Terzo Capitalismo dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali di piccola impresa a gestione padronale-familiare nato negli anni Sessanta, dopo queste fasi, che non vanno pensate come escludentesi l'una con l'altra, ma, anzi, come fasi che hanno convissuto insieme, stratificandosi e relazionandosi reciprocamente, il Quarto Capitalismo, nato già a fine anni Novanta ed irrobustitosi durante la crisi economica che ha colpito le spoglie dei capitalismi precedente ancora in vita, è un modello di rottura con le relazioni dei tre capitalismi pregressi ed ha caratteristiche molto specifiche:
  • è costituito da imprese di medie dimensioni (approssimativamente, fra i 50 ed i 249 addetti, con natura giuridica di società di capitali), non troppo grandi da non poter sfruttare i vantaggi, in termini di flessibilità operativa e commerciale, tipici della piccola impresa, e non troppo piccole da non potersi avvantaggiare di economie di scala e di capacità di investimento anche rilevanti tipiche di imprese più grandi;
  • la sua impresa tipica ha un assetto di governance ancora basato sulla famiglia del fondatore, ma è stata abile ad aprire il capitale sociale all'apporto di nuovi soci finanziatori ed a delegare la gestione a manager qualificati, incorporando competenze e capitali, a differenza della vecchia piccola impresa padronale, gelosamente chiusa al mondo esterno;
  • si tratta di una impresa a strategia fortemente innovativa, non solo in termini di varo di nuovi prodotti, ma soprattutto di personalizzazione e redesign di prodotti esistenti, anche tradizionali (mobili, vestiti, occhiali o scarpe) al fine di personalizzarli per una nicchia di mercato ancora non sfruttata;
  • si tratta di una impresa fortemente internazionalizzata, che quasi disdegna il mercato interno, e che vive con la testa sui mercati esteri, valorizzando al massimo la qualità dei suoi prodotti e l'immagine di eccellenza del marchio del made in Italy. Generalmente la strategia commerciale internazionale è gestita dal figlio del fondatore, che ha studiato all'estero ed ha poche radici in Italia.
Tale tipologia di impresa, che non di rado esce dai sistemi distrettuali esistenti come impresa leader, che ha ridotto il resto del distretto allo stato di subfornitore specializzato, si sviluppa sull'asse Milano-Venezia e si propaga in Emilia-Romagna ed in alcune aree della Toscana e del Centro Italia, nei sistemi produttivi di eccellenza dell'agroalimentare, delle macchine utensili e della meccanica di precisione, si concentra sul made in Italy ma non solo, perché nelle realtà urbane si sviluppa nel terziario avanzato, nella creatività, nel design, nella cultura.

Questo è il tipo di capitalismo che il M5s difende, perché gli appartiene la Casaleggio. Ovviamente, tale tipo di capitalismo emergente intrattiene con i resti dei modelli precedenti relazioni in parte conflittuali, in parte negoziali. Vi si oppone fieramente nella misura in cui, pur essendo la componente che sostiene esportazioni e PIL, viene sottorappresentato nei “salotti che contano”. Confindustria, così come i partiti tradizionali, tendono ancora, da un lato, a privilegiare i grandi gruppi industriali privati e le grandi famiglie del capitalismo tradizionale italiano (come i Benetton, non a caso così osteggiati dal MoVimento) e, dall'altro (si pensi alla Lega) a favore il mondo dei distretti industriali tradizionali e dei sistemi produttivi locali di componentisti e subfornitori. Mentre ciò che resta dell'industria pubblica viene tutelato perché ancora fonte di prebende ed incarichi.

L'intero apparato ideologico del M5s va letto in funzione delle caratteristiche e degli interessi del Quarto Capitalismo ed è interessante perché evidenzia come i padroni del domani vedono il mondo. Un mondo nel quale i tradizionali rapporti fra grandi famiglie dell'imprenditoria privata e sistema pubblico dialogano, tessendo una rete di concessioni e favori reciproci, anche tinteggiata da corruzione (tali imprenditori, non a caso, vengono chiamati “prenditori” da Di Maio). Da lì derivano le ossessioni pentastellate sulla lotta alla corruzione e sull'onestà: si tratta di spezzare una rete relazionale fra privati e politica cui le imprese emergenti del nuovo capitalismo italiano non partecipano e dalla quale non traggono beneficio.

Un mondo nel quale l'organizzazione produttiva di massa del Primo Capitalismo, la politicizzazione delle relazioni industriali del Secondo Capitalismo, il forte radicamento territoriale e la responsabilità per le comunità locali tipiche del capitale sociale creato dai distretti industriali del Terzo Capitalismo hanno creato, da un lato, forti organizzazioni sindacali, e dall'altro importanti radicamenti localistici e territoriali, che vanno smantellati. Da lì provengono gli strali continui dei pentastellati, Grillo in testa, contro i sindacati, da lì proviene la proposta di salario minimo (che di fatto svuota la negoziazione fra parti sociali sulla componente economica dei CCNL, la più importante) e da lì la strampalata proposta di Grillo sulle cosiddette “macroregioni”, che avrebbero definitivamente distrutto i margini di autonomia locale dell'attuale assetto regionalistico dello Stato, fortemente legato ai mercati locali ed ai distretti radicati su territori dei quali si assumono la responsabilità dello sviluppo.

Come detto sopra, sociologicamente il M5s è interessante perché rispecchia i valori e le credenze di questo Quarto Capitalismo, la sua visione di democrazia, ben sintetizzata da Casaleggio, con l'espressione “governo dei migliori”. Una forma di democrazia diretta, interamente intermediata da piattaforme informative, in cui le istituzioni ed i corpi intermedi scompaiono, in cui ai cittadini vengono chieste le priorità generali da perseguire, la cui sintesi in una linea politica complessiva viene demandata ad un ristretto gruppo di “elevati” fortemente carismatici, ma non eletti e generalmente tenutari delle chiavi di accesso alle piattaforme informative di cui sopra, e la cui esecuzione viene affidata, fuori da meccanismi rappresentativi, a persone provenienti dalla società civile, opportunamente qualificate sotto il profilo professionale e specialistico, scelte dagli elevati tramite l'analisi dei Cv, come se fossero candidati ad offerte di lavoro di aziende private. Ciò al netto dei soli candidati alla guida dell'istituzione, votati on line dai cittadini, ma i cui requisiti di ammissibilità alla candidatura vengono stabiliti unilateralmente dagli elevati, in modo tale da assicurarsi la fedeltà di chiunque sia il vincitore.

Si tratta, evidentemente, di un incubo da romanzo di Huxley, una forma di oligarchia con una apparenza di democrazia, ma in cui gli elettori possono, di fatto, soltanto esprimere dei fabbisogni, delle richieste, affidandone la trasformazione in un programma politico e l'esecuzione a persone non elette, non rappresentative o, nei pochi casi in cui le stesse verranno elette, scelte in una rosa di personalità che hanno ottenuto dall'alto una autorizzazione preventiva alla candidatura e quindi prive di indipendenza di pensiero.

E' ovvio che tale incubo sia, nella mente dei Quarti Capitalisti, il sogno di una società ideale: essendo cresciuti in un Paese che non ne valorizzava il talento, essendo stati esclusi ab origine dai circuiti concertativi fra famiglie imprenditoriali e politica, essendo stati costretti a cercarsi i clienti sui mercati esteri ed a fare innovazione continua in un Paese che non premia l'innovazione, avendo avuto successo delegando la gestione dal fondatore che rischia i suoi capitali ad un manager aziendale competente tecnicamente, essi hanno maturato una ideologia meritocratica per la quale solo il competente, solo chi ha acquisito determinati skill professionali, può dirigere la politica.

In fondo, l'idea di Stato ridotto a “democrazia dei migliori”, come sopra tratteggiato, non è nient' altro che la replica dei modelli di governance delle imprese del Quarto Capitalismo estesa alla Cosa Pubblica. Un gruppo di “fondatori”, o “elevati”, che detiene le chiavi di controllo dei sistemi politico-elettorali, con operazioni di marketing estrae dagli elettori (ovvero i clienti) la loro domanda di mercato e ne fa una sintesi programmatica (un business plan) la cui esecuzione viene affidata a manager e tecnici specializzati (i Tridico della situazione). Al fine di dare una apparenza di democrazia, qualche utile poveretto, incolto ed incapace (il di Maio della situazione) viene messo in una posizione di formale comando politico (in realtà priva di contenuti, Di Maio non ha mai deciso niente che non gli arrivasse dal suo Casaleggio-Grillo) che può essere facilmente eliminato quando diventa fastidioso o inutile. Il dibattito interno non esiste (chi dissente o anche soltanto opina viene infatti espulso dal M5s) e non vi è controllo sulle modalità con le quali il programma, partendo dai fabbisogni dell'elettorato, viene costruito ed attuato.

Una dittatura abilmente mascherata con tratti libertari del tutto svuotati di senso. La dittatura perfetta, del resto, avrà sembianze di democrazia, una prigione senza muri, Huxley docet.


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