giovedì 18 giugno 2020

La meridionalizzazione di una città del Centro-Nord

 


Il lungo, e per certi versi dimenticato, dibattito sulla questione meridionale si è intrecciato, negli anni, in misura più o meno pretestuosa, con quello di una questione settentrionale. Le due questioni hanno convissuto l’una con l’altra, in modo sostanzialmente occulto negli anni del boom economico (nel senso che in quegli anni le esigenze di sviluppo del Settentrione hanno largamente prevalso su quelle del Sud), per poi esplodere quando, già dalla fine degli anni Novanta, la crescita economica italiana è rallentata.
La questione settentrionale, una volta esplosa, ha dimostrato elementi di problematicità diversi da quelli del Mezzogiorno. Come afferma Castronovo, la questione settentrionale (cui si possono assimilare numerose situazioni di aree ad elevata industrializzazione del Centro Italia) si manifesta “ allorché, da un lato, si affievolì al Nord un trend economico espansivo su scala territoriale globale e, dall'altro, la classe politica locale cominciò a perdere quota in sede nazionale e non seppe formulare proposte adeguate di sviluppo e modernizzazione (…) oggi è venuta imponendosi alla ribalta una questione settentrionale che covava da tempo e che è divenuta man mano più acuta. E ciò sia per l'incapacità culturale, da parte della classe politica, di comprendere i mutamenti avvenuti nella fisionomia sociale delle comunità locali; sia per il crescente malessere di tante imprese costrette a competere nel mercato globale senza un adeguato retroterra di strutture logistiche, di trasporti e comunicazioni, di nuove fonti energetiche, di investimenti in capitale umano e in alta tecnologia”.
Di conseguenza, a differenza della questione meridionale, che è legata alle inerzie tipiche del sottosviluppo, quella settentrionale è legata ad una serie di freni posti sulla strada di un ulteriore sviluppo, necessario per tenere il passo con le aree più dinamiche del Centro e del Nord Europa. E’ la sensazione di “perdere terreno” rispetto ai primi, fra i quali si è appartenuti, che crea una crisi di identità.
Gran parte della questione settentrionale e dei suoi erronei rimedi, come il federalismo asimmetrico, nascono da questo problema, per così dire, di identità: la percezione, in larga parte giustificata, di non essere più gli stessi, di non avere più la forza economica e la competitività di un tempo, che costringe il Nord, un tempo orgogliosamente (ed anche, per molti versi, egoisticamente) auto-percepentesi come “altro” rispetto al Mezzogiorno, a specchiarsi in fenomeni di degrado tipici del ritardo di sviluppo, fino ad allora confinati nei territori a sud del Tevere: diffusione della criminalità organizzata di stampo mafioso, degrado abitativo ed urbano, deindustrializzazione di grandi complessi produttivi, disoccupazione intellettuale, fuga di cervelli.
La crisi, prima ancora che produttiva, diventa culturale, identitaria: perso il modello che ha consentito anni di crescita e benessere, molte aree del Nord vagano fra ribellismo rabbioso e cieco, angoscia da insicurezza, difficoltà a gestire una povertà dalla quale si credeva di essere usciti. E, come tutte le crisi culturali e di identità, si accompagna a fenomeni di devianza sociale, che sono gli amplificatori di una difficoltà a restituire senso al proprio modello di vita da parte di intere comunità improvvisamente impoverite.
A puro titolo di esempio, nel grafico riportato in fondo al presente articolo, per alcuni indicatori socio-economici di fonte Istat, ho calcolato la distanza assoluta fra i valori riferiti ad una città del Centro Nord un tempo fiorente, poi connotata da una lunga fase di declino industriale, urbano ed occupazionale, come Livorno, e i valori riferiti al Mezzogiorno, rispetto all’ultimo dato disponibile (“dato recente”) ed allo stesso indicatore preso nel valore di dieci anni prima (“baseline”). Come è possibile vedere, Livorno non si è affatto avvicinata al Mezzogiorno, negli ultimi dieci anni, rispetto alle variabili legate alla competitività economica e produttiva: rispetto agli indici di internazionalizzazione, infrastrutturazione, qualità del capitale umano, innovazione e di tenore di vita medio la distanza favorevole a Livorno rispetto al Mezzogiorno si è, in genere, ampliata.
Di converso, Livorno si è avvicinata ai dati medi del Mezzogiorno rispetto ad indicatori tipici della devianza sociale, ad esempio in quelli criminali: il tasso totale di delittuosità e l’indice di microcriminalità urbana (quest’ultimo più legato a fenomeni di disagio sociale metropolitano e di disgregazione dell’identità socio-lavorativa personale che si esprimono in piccoli reati individuali e non organizzati) hanno valori che assimilano sempre più Livorno ad aree urbane tipicamente meridionali. Inoltre, vale la pena di evidenziare come il tasso di suicidi diviene, negli anni, più alto a Livorno che non nella media meridionale.
Si tratta di fenomeni di devianza legati allo sbriciolamento di un modello in cui una comunità si riconosceva in passato, senza un modello alternativo. Significativo è anche che un indice di sperequazione distributiva dei redditi, come la percentuale di detentori di un reddito imponibile inferiore ai 10.000 euro annui, tenda ad avvicinarsi al dato meridionale: l’aumento delle sperequazioni distributive è la strada maestra per generare un incremento di segmenti sociali collocati fuori dal perimetro dell’inclusione sociale, condotti quindi a non riconoscere più il modello che precedentemente li tutelava ed a cadere in fenomeni di devianza da de-identificazione. L’impoverimento diseguale, che colpisce in misura più netta i segmenti sociali più fragili, si traduce in crisi di identità e di appartenenza, e tali crisi generano devianza sociale.
Il problema non è tanto e meccanicisticamente riferibile ai dati di mercato del lavoro: in termini di valori assoluti di occupati e disoccupati, il mercato del lavoro livornese non ha subito tracolli tali da portarlo verso le condizioni destrutturate del mercato del lavoro delle aree del Sud Italia: in un arco decennale, le distanze con il Mezzogiorno in termini di tassi di disoccupazione e di occupazione giovanile restano immutati, in termini di tasso di occupazione totale il vantaggio di Livorno tende addirittura a crescere.
Il problema è nella “meridionalizzazione” dei sistemi pubblici di redistribuzione, ed in particolare del welfare, che insieme all’abbassamento dei salari, contribuiscono ad ampliare le diseguaglianze distributive pur in presenza di un incremento dei tassi di occupazione e delle occasioni di lavoro. Come è possibile vedere, il vantaggio della provincia di Livorno rispetto al Mezzogiorno, in termini di quota di Comuni che offrono servizi socio-assistenziali contro la povertà, il disagio ed a vantaggio dei senza tetto, tende a dimezzarsi in pochi anni. La crisi abitativa, conseguente al declino delle politiche di edilizia popolare, continua a conservare per Livorno un inquietante svantaggio rispetto al Sud.
Concludendo: il cuore della questione settentrionale è il frutto di una crisi di identità legata all’esaurimento di un modello che offriva benessere ed inclusione. Tale sperequazione produce una difficoltà a ricostruire un modello collettivo in cui rispecchiarsi, che meridionalizza le aree di crisi del Centro Nord in termini di devianza sociale ed individuale. Un vecchio modello muore sotto i colpi della globalizzazione, dell’austerità, dell’assenza di progettualità, e non ce n’è uno nuovo dentro il quale sentirsi cittadini inclusi.


Distanze fra i valori socio economici di Livorno (provincia e, dove disponibile, Comune) e Mezzogiorno nel dato più recente e nel baseline riferito a dieci anni prima


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