Quello che è successo a Chemnitz
(la ex Karl Marx-Stadt dei tempi del socialismo reale) dove il partito
euroscettico Afd si è unito agli anti-islamici di Pegida in una manifestazione
contro l’immigrazione tout court, è lo specchio di ciò che succederà a breve in
tutta Europa. Nonostante il forte ricordo nostalgico della ex DDR che alimenta,
in quelle plaghe, un consenso elettorale per la Linke vicino al 20%.
Per certi versi, i Paesi ex
socialisti sono un laboratorio anticipatore delle tendenze che prendono piede
in Europa: negli Anni Novanta, con le shock therapy dei figli di Friedman hanno
sperimentato la forma più pura di turbocapitalismo e mercato totalmente
liberalizzato e finanziarizzato, che ne ha devastato il tessuto sociale. Ed adesso
sperimentano, in anticipo rispetto al resto d’Europa, la svolta xenofoba, come
conseguenza di una devastazione sociale molto più avanzata e incisiva e del
ricordo degli altissimi livelli di protezione di cui si godeva fino al 1989.
La protezione e l’integrazione
degli immigrati regolari già presenti nei nostri Paesi costituisce, ovviamente,
una necessità, e peraltro lo stesso Salvini, tanto odiato per un suo immaginario
razzismo, lo ha sempre detto nei suoi discorsi. Si tratta di un obiettivo
minimale di pacificazione sociale, al quale personalmente aggiungo l’esigenza
di uno Ius soli per i minori già presenti da noi (con meccanismi di
straordinarietà ed eccezionalità che non incentivino però l’ulteriore immigrazione
di minori per ottenimento della cittadinanza) ma per poter essere realizzato
necessita di due condizioni preliminari:
b b) un
modello di integrazione che rifugga il multiculturalismo. Chi viene da noi deve
essere portato, nel giro di due o tre generazioni, ad abbracciare i nostri
valori, il nostro stile di vita, la nostra concezione del mondo. Non si può
costruire un modello-patchwork nel quale le singole comunità immigrate sono
lasciate a coltivare la chiusura su loro stesse, creando subculture,
aggravandolo, peraltro, con i modelli urbani di tipo segregativo tipici delle
banlieues. Non c’è bisogno di andare lontano. Una teoria fondamentale della
criminologia, la teoria della disorganizzazione sociale, evidenzia che la
formazione di subculture chiuse su loro stesse allenta il controllo sociale, ed
espone i membri della subcultura all’impressione di essere isolati e “contro” la
cultura mainstream del Paese di accoglienza, favorendone la tendenza alla
devianza. Leggete Sampson e Wilson (1995. Towards a Theory of Race, Crime, and
Urban Inequality. Pp. 37-56 in Crime and Inequality, curato da John Hagan e
Ruth Peterson. Stanford, CA e Bursick-Grasmick (1993. Neighborhoods and Crime:
The Dimensions of Effective Community Control. Lexington). Del resto, nessuno
si chiede perché le reclute più fanatiche dell’Isis nei Paesi europei di alta
immigrazione islamica siano immigrati di seconda o terza generazione? Quindi, l’utilizzo
della lingua e la pratica religiosa autonoma degli immigrati, nonché la
colorazione etnica dei quartieri, sono elementi che non vanno incentivati,
anche se non possono essere eliminati e, se non rilevantissimi, e comunque
inseriti dentro un percorso di progressiva integrazione per la quale si vedono
concreti segnali, possono essere anche tollerati. Però ci si può risparmiare di
costruire le moschee su richiesta, o di consentire pratiche che cozzano contro
l’identità culturale del nostro popolo, ad iniziare dal Burka o dai matrimoni
combinati.
Nessun commento:
Posta un commento