Questa è la seconda
parte della descrizione di Mafia Capitale, come emerge dalle
risultanze investigative e dall’ordinanza cautelare del magistrato
inquirente. Dopo averne descritto la genesi, nell’articolo
precedente, in questa sede si approfondiscono le caratteristiche
operative e le finalità.
1) I diversi strati
dell’organizzazione , le sue caratteristiche generali e le sue
finalità: l’agenzia di servizi e l’intermediazione fra i mondi
1.1) La leadership
Il magistrato inquirente
individua almeno tre livelli di attività:
Tutti questi livelli sono
in qualche modo isolati l’uno dall’altro, con l’unico trait
d’union della guida, ovvero di Massimo Carminati, personaggio già
conosciuto e descritto nella prima parte di questo lavoro. Il suo
ruolo di comando emerge con chiarezza nelle intercettazioni, sia nel
modo in cui gli altri componenti del sodalizio si rivolgono a lui,
sia per il modo, chiaramente caratterizzato dalla volontà del capo
di un gruppo criminale di imporre rispetto e timore sugli altri, con
cui spesso Carminati stesso si rivolge agli altri. Ad esempio, in una
intercettazione se la prende con il sodale Giovanni Lacopo, il
gestore del benzinaio di corso Francia presso il quale i membri
dell’organizzazione si incontrano, reo di aver un esattore
dell’organizzazione, Matteo Calvio, per finalità personali (per
farsi dare da tale Manattini dei soldi prestatigli dal padre di
Lacopo stesso). Carminati, imbestialito per questo utilizzo
“personale” e non concordato con lui di una risorsa
dell’organizzazione, dirà infatti “al nano (riferendosi a
Lacopo)...mo' come arriva come passa prendo il primo oggetto
contundente che trovo ..mo' ne faccio trovare uno […] ti ammazzo
come un cane![…]”
E’ Carminati ad avere
l’ultima parola nelle decisioni strategiche e nel disegno delle
attività del gruppo. A puro titolo di esempio, in una
intercettazione Carminati spiega il metodo che l’organizzazione
deve avere nell’approcciare un imprenditore al suo braccio destro,
Riccardo Brugia. Dice infatti: “noi dobbiamo andare dritto per le
cose... cioè questi devono essere nostri esecutori... devono
lavorare per noi.. non si può più fare come una volta…che noi
arriviamo dopo facciamo i recuperi… e allora senti lo sai che
c’è?... “i recuperi… vatteli a fa da solo”… a noi non ci
interessa più... te lo dico..perchè poi.. a fa' i recuperi si fa
'na guerra con quelli che l’hanno solato? …ma perché? ..la gente
ruba… e noi ci mettiamo a fare i recuperi… non siamo più gente
che potemo fa una cosa del genere…pe’ du lire”. O ancora,
quando istruisce i componenti del livello criminale
dell’organizzazione su come si fa ad acquisire il controllo di un
imprenditore: “..nella strada… glielo devi dire… aaa come ti
chiami?... comandiamo sempre noi.... non comanderà mai uno come te
nella strada.. nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”. Ed
il suo ruolo primario emerge anche quando deve “punire” un
componente del sodalizio per un comportamento sbagliato, come quando
intima a Lacopo, in modo sbrigativo, di pagare Calvio per un recupero
crediti non andato a buon fine per colpa di Lacopo stesso. Dirà
infatti Calvio alla sua compagna “… Massimo gli ha detto due
parole, dice’ te sei messo in mezzo te? Ecco .. mo’ paghi te,
subito veloce”.
1.2) Il manifesto
programmatico e il funzionamento dell’organizzazione: L’Agenzia
di servizi
Il “manifesto
programmatico” di funzionamento dell’organizzazione, che imprime
Carminati, è particolarmente importante per giudicare alcune
caratteristiche tipiche delle mafie del Centro Nord, e si basa
essenzialmente su due parole d’ordine: flessibilità e
relazionalità. Ogni livello (criminale, economico,
politico/amministrativo) viene attivato ed utilizzato in modo
flessibile, in base alle esigenze, ed il sodalizio ricava la sua
forza non tanto dalla violenza, che Carminati aborrisce come un
rimedio da utilizzare soltanto in casi estremi (perché ha un costo
per l’organizzazione, la rende più visibile alle forze
dell’ordine, rovina relazioni che potrebbero essere importanti in
futuro, e ne compromette l’immagine, mentre cerca di penetrare
nella cerchia più esclusiva dei salotti del potere politico ed
economico, nei confronti dei quali occorre essere felpati e
diplomatici). dirà infatti che “noi alzamo le mani .. a la
gente, quando uno ti dice di fare una cosa fai quello che te dico io
.. se mi dai una parola, no che non la mantieni più, .. però noi
non ci approfittiamo mai di nessuno ...”.
L’organizzazione ricava
la sua forza dalla rete relazionale. Significativo è ciò che
Carminati dice a Gaglianone, imprenditore che secondo le indagini
sarebbe collegato al gruppo: “no pero' poi meno
male che hai conosciuto Fabrizio perchè così.. poi.. quando ci sarà
da...pure Carlo.. quell'altro...quell'altro è l'uomo de.. invece de
Mancini... Carlo te lo avevo
prese.. guarda che lui è l'uomo dell'ente EUR ...che loro per dire
... gli danno i chilometri di sabbia.. questi qua quelli che arrivano
a noi ...per il movimento terra.. fanno tutti capo a lui .. e' lui
che se ne sta occupando capito? ..in maniera che questi vanno a fa il
sopralluogo.. li conosci tu a pe'...eh...mo ti
chiama...nun te preoccupà....stiamo a mette,
stiamo a mette su' una bella squadra..piano piano...capito?”
In questo
modo, flessibilità e relazionalità consentono di mettere in
collegamento il mondo di sotto, cioè quello criminale, con il mondo
di sopra dell’élite imprenditoriale e politica, attraverso la ben
nota metafora del “mondo di mezzo” che Carminati, ex NAR, spiega
a Brugia, altro ex NAR, in un linguaggio tolkeniano che ben si adatta
ai miti delle destra neofascista: “è la teoria del mondo di mezzo
compà. ....ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto
e noi stiamo nel mezzo (…) e allora....e allora vuol dire che ci
sta un mondo.. un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici
cazzo come è possibile che quello…come è possibile che ne so che
un domani io posso stare a cena con Berlusconi..cazzo è
impossibile.. capito come idea?. . .è quella che il mondo di mezzo è
quello invece dove tutto si incontra. . cioè.. hai capito?... allora
le persone.. le persone di un certo tipo… di qualunque di qualunque
cosa... .si incontrano tutti là. . .si incontrano tutti là no?.. tu
stai lì...ma non per una questione di ceto… per una questione di
merito, no? ...allora nel mezzo, anche la persona che sta nel
sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle
cose che non le può fare nessuno. . questa è la cosa…e tutto si
mischia.”
Carminati,
quindi, si posiziona al crocevia fra mondo legale e mondo illegale,
fungendo da intermediatore che li mette in collegamento fra loro, in
funzione di specifiche esigenze, ed operando quindi sia al livello
dei vivi che a quello dei morti, senza sporcarsi le mani direttamente
(“non siamo più gente che potemo fa una cosa del genere”)
se non quando strettamente necessario per imporre timore e rispetto
per le regole dell’organizzazione a chi sgarra, o non prende in
considerazione il ruolo dell’organizzazione, e non intende passare
per la sua intermediazione: (“Come posso guadagnare, che te serve
il movimento terra? Che ti attacco i manifesti? Che ti pulisco il
culo ..ecco, te lo faccio io perché se poi vengo a sapè che te lo
fa un altro, capito? Allora è una cosa sgradevole…”). In questo
modo, l’obiettivo è quello di entrare negli ingranaggi complessivi
di funzionamento del sovra mondo, servendosi del sottomondo per
fornirgli delle utilità (soldi a strozzo ad imprenditori o
professionisti in difficoltà, imprese fornitrici colluse in
particolari segmenti del ciclo edile, in particolare nel movimento
terra, tradizionale settore di infiltrazione delle mafie,
eventualmente voti a politici, o anche servizi di vario genere, ad
esempio Carminati fornirà il suo esecutore Calvio all’imprenditore
Manattini, come guardia del corpo).
La finalità non è
quindi quella di agire nel sottomondo con i caratteristici affari
criminali, come il traffico di droga (“la storia della droga è
della stampa”) ma di creare una sorta di “agenzia di servizi”
che operi in condizioni monopolistiche (non interferisco negli affari
illegali degli altri gruppi criminali romani nel loro mondo di sotto,
e loro mi lasciano l’esclusiva del mondo di mezzo) erogando servizi
particolari, che solo dal sottomondo possono essere acquisiti. E che,
però, per poter funzionare, deve mantenere un solido contatto con il
sottomondo (da cui la rete di relazioni con la camorra dei Senese che
opera nella capitale, così come con le ‘ndrine ed i clan di Cosa
Nostra, o batterie italiane e extracomunitarie, come quelle di
Santoni, “Diabolik Piscitelli”, che opeera su Ponte milvio, o
Pavlovic).
Contatto che si
estrinseca anche in interventi diretti di mediazione e di
composizione di litigi interni al sottomondo, finalizzati a mantenere
una “pax criminale” che faccia funzionare bene tutto il
meccanismo. Il 17 aprile 2013, nell’area della stazione di servizio
“ENI” di corso Francia, Carminati Massimo e Brugia discutevano
dell’organizzazione di un incontro, non preceduto da appuntamenti
telefonici - come da consuetudine di tutti i sodali - con soggetti
descritti come “brutti forti”. In particolare, Brugia riferiva al
Carminati: “a Mà…mò per ditte a quelli là gli ho detto ...fra
quattro giorni penso di dargli appuntamento”, e quest’ultimo
dettava le regole da seguire al fine di fissare appuntamenti sicuri,
siti all’interno del quartiere di Vigna Stelluti, ove il sodalizio
mantiene una maggiore influenza: “settimana prossima passano qua e
lasciano soltanto il giorno a Roberto (Lacopo, titolare del benzinaio
di corso Francia)… solo con Roberto gli dici guarda dì a Massimo
giovedì per dirti ed io l'appuntamento poi glielo dò ad un'altra
parte”. Brugia, nel confermare la circostanza, riferiva
all’interlocutore che uno dei soggetti con i quali avrebbero dovuto
incontrarsi “ha detto, lo sai come voleva la pistola…non l'hai
visti, non l'hai visti come, come…come”, ottenendo conferma della
pericolosità di tali personaggi dallo stesso Carminati, il quale
riferiva all’interlocutore: “quelli so' brutti forti compà”,
precisando “...sono andato da questi prima che prendono la pistola
e sparano…”. Con quest’ultima affermazione, il Carminati
sottolineava l’entità del proprio intervento di mediatore,
espletato nei confronti di pericolosi soggetti del sottomondo, al
fine di evitare una degenerazione violenta, che non conveniva alla
buona gestione degli affari dell’”agenzia di servizi”. Si
scoprirà poi che i soggetti con cui si sono incontrati sono
effettivamente brutti: Roberto Santoni e Daniele Carlomosti, due
pregiudicati romani, a capo di batterie di spacciatori e rapinatori,
e lo slavo Tomislav Pavlovic, usuraio, attivo nel racket e nella
ricettazione.
2) I connotati mafiosi
L’”agenzia di
servizi” ha però i classici tratti dell’organizzazione mafiosa,
ai sensi dell’articolo 416 bis del codice penale e della
giurisprudenza in materia. Questi tratti si evidenziano sotto
numerosi aspetti:
Il tipico potere
intimidatorio del legame associativo;
Le modalità di
infiltrazione nelle imprese e nel sistema degli appalti;
I legami fra gli
associati, costruiti da reti di appartenenza, oltre che da meri
interessi criminali comuni;
Il radicamento ed il
controllo del proprio contesto territoriale e culturale di
riferimento.
2.1) Il potere
intimidatorio del vincolo associativo
Mafia Capitale presenta i
tratti specificamente evolutivi delle mafie tradizionali che formano
delle gemmazioni nel Centro Nord. La sua ambizione di agenzia di
servizi la porta a ridurre al minimo indispensabile la violenza,
perché il potere di intimidazione promana direttamente dalla
percezione del vincolo associativo, che crea una minaccia generica di
per sè stesso. Come per le mafie tradizionali, però, Mafia Capitale
ha l’esigenza di mantenere stretti legami con il suo ambiente di
provenienza, che ovviamente, a differenza delle mafie meridionali
insediate al Nord, non è geografico, ma di contesto, ovvero il
legame con il sottomondo, come detto in precedenza.
A pena di perdere il suo
prestigio criminale e la sua forza di intimidazione, essenziali per
porsi come intermediatrice fra mondo di sotto e di sopra, il
sodalizio continua a operare nel sottomondo, non solo nelle funzioni
di intermediazione e di risoluzione di conflitti sopra illustrati, ma
anche attraverso la realizzazione dei delitti classici delle
associazioni di stampo mafioso, quali l’usura e l’estorsione. Ciò
è un ulteriore tratto classico delle mafie, comune a Mafia Capitale:
anche se operano su livelli molto sofisticati di globalizzazione e
finanziarizzazione, esse devono infatti “manutenere” il loro
potere di intimidazione, e devono quindi continuare ad operare su
reati da strada connotati da alti livelli di intimidazione delle
vittime, come per l’appunto usura ed estorsione. L’omertà delle
numerose vittime di estorsione di Mafia Capitale ne certifica il
potere intimidatorio. Un esempio lampante è quello del debito
contratto da tale Pirro Raimondo nei confronti del Brugia, peraltro
per un fatto relativamente minore, di denaro per la vendita di due
orologi di proprietà del Brugia stesso. Per Brugia e Carminati la
riscossione del credito nei confronti del Pirro è principalmente una
questione di reputazione criminale, ben più importante della cifra
non particolarmente rilevante (Brugia dirà: “ormai, eh..se no..è
diventata una questione principale, come no?” e Carminati risponde:
“stavolta, stavolta se..se non è proprio la buca de notte, jè
spaccamo proprio la faccia Riccardo: no, no jè do' una martellata in
testa...come premessa..appena lo vedo l'ammazzo.. ormai è diventata
una cosa...mica, mica può pensare deve passà, de esse passato così,
questo che và a pija per culo la gente”).
2.2) Protezione ed
infiltrazione nelle imprese e nell’economia
Tipicamente mafiosa è
poi, in ambito estorsivo, la “protezione” offerta, obtorto collo,
agli imprenditori, che di fatto li trasforma in sodali del gruppo,
utilizzabili ,ad esempio, per entrare nei subappalti dei cantieri
edili, o nelle forniture. Una protezione, come avviene nei territori
di alto insediamento mafioso, spesso cercata direttamente
dall’imprenditore stesso, e nemmeno imposta dall’organizzazione,
che attesta il suo livello di radicamento nel tessuto sociale e
produttivo della capitale. La protezione è in realtà un mero
strumento per inserirsi nell’attività imprenditoriale, dapprima
fornendo tutta la serie di servizi strumentali senza partecipare al
rischio d’impresa “noi lo sai perché andiamo bene?.. perché noi
facciamo il movimento terra” oppure fornendo “tranquillità”
(“tu lo devi mette seduto gli devi dì tu vuoi sta' tranquillo ?
[…] allora mettiamoci a… fermare il gioco… a come ti chiami?...
comandiamo sempre noi....non comanderà mai uno come te nella
strada... nella strada tu c’avrai sempre bisogno di noi”), sino a
raggiungere il vero obiettivo della manovra, ovvero la caduta
dell’impresa “protetta” integralmente nella rete del sodalizio.
Gli imprenditori così avvicinati “devono essere nostri esecutori..
devono lavorare per noi”. Infatti, sempre seguendo Carminati, “deve
essere un rapporto paritario, je devi dì…non ti pensare che tu...
ecco… a me mi puoi anche …dire che mi dai un milione di euro…
per guardarmi… tutte ste merde…non mi interessa, già che faccio
una cortesia...è normale che dall'amicizia deve nascere un discorso
che facciamo affari insieme”. E’ una modalità operativa
totalmente ripresa, in modo fedele, dal modus operandi delle mafie
meridionali.
Assolutamente
esemplificativo è in tal senso l’avvicinamento della famiglia
imprenditoriale Guarnera al sodalizio: avvicinamento cercato dagli
stessi imprenditori. Guarnera entra in contatto, inizialmente, con
Brugia, nel dicembre del 2012, per richiedere protezione. Brugia gli
concede Matteo Calvio quale “guardaspalle”. Al contempo, Guarnera
proponeva a Brugia la partecipazione a un affare immobiliare,
riferibile a “novanta appartamenti a Monteverde”. L’ingresso di
Mafia Capitale nell’affare produce per Guarnera tangibili benefici,
quali lo sblocco amministrativo del cantiere di via Innocenzo X, da
parte di Carminati, per stessa ammissione di Guarnera: “lui è
stato in grado di una cosa che io in due anni non sono riuscito a
fare, lui in tre giorni è riuscito a sbloccarla!”.
L’affiliazione
crescente di Guarnera passerà anche, nell’oramai consueta stazione
di servizio di corso Francia, da una vera e propria formazione da
mafioso, impartita da Carminati, iniziando dall’omertà (“.. uno
non deve parlà”, “mai risponde alle domande ... le domande sono
lecite le risposte non sono mai obbligatorie ..”)
Così come è tipicamente
mafioso il modo in cui il gruppo penetra nel sistema degli appalti
pubblici. Un misto di corruzione (dirà Buzzi “Lo sai perché
Massimo è intoccabile? Perché era lui che portava i soldi per
Finmeccanica! Bustoni di soldi! A tutti li ha portati Massimo! … 4
milioni dentro le buste! 4 milioni! Alla fine mi ha detto Massimo “è
sicuro che l’ho portati a tutti! Tutti! Pure a Rifondazione!”) e
di intimidazione, che al limite, se strettamente necessario, può
arrivare alla violenza (Carminati riferirà a Brugia di aver “menato”
Riccardo Mancini, detto “er Ciccione”, e camerata di Carminati
nei NAR, che, da amministratore delegato di EUR SpA, nominato dal
sindaco Alemanno, svolge, in modo troppo recalcitrante secondo
Carminati, il ruolo di procacciatore di appalti pubblici per il
sodalizio) o, più spesso, alle minacce.
2.3) I vincoli di
gruppo
Manca invece, delle mafie
tradizionali, il percorso di affiliazione formale, che passa
attraverso un periodo di monitoraggio dell’aspirante affiliato,
diversi gradi di affiliazione esterna (ad es. il passaggio
dell’aspirante al grado intermedio di “contrasto onorato”, nel
sistema ‘ndranghetista) ed una cerimonia formale di affiliazione,
che serve perlopiù per cementare la fedeltà all’organizzazione,
tramite una complessa simbologia religiosa ed esoterica che serve
anche per suscitare emozioni e sentimenti di fratellanza con il
gruppo da parte del neo-affiliato. Tuttavia, tale mancanza è più
che compensata dal fatto che tutto il gruppo “interno” di Mafia
Capitale, quelli cioè più vicini a Carminati, come Brugia,
Gaudenzi, Grilli, o gli esponenti più importanti della raggiera
esterna del gruppo, come Mancini o Mokbel, sono tutti componenti, a
vario titolo e con diversi livelli, del mondo dell’eversione
neofascista o dell’estrema destra extraparlamentare degli anni ’70
ed ’80, ed hanno quindi cementato, fra loro, un legame di
solidarietà ed amicizia tale per cui, come confesserà lo stesso
Grilli, “tra camerati non ci si tradisce”. Le intercettazioni
telefoniche, infatti, testimoniano di un legame profondo, di amicizia
e rispetto reciproco, fra Carminati e Brugia, che va al di là del
mero rapporto utilitaristico ed affaristico, tanto che i due vivono a
pochi metri di distanza, avendo Brugia preso casa nel villino di
Sacrofano attiguo a quello di Carminati, e passando con lui intere
giornate. Altri importanti esponenti di Mafia Capitale, come Buzzi,
Calvio o Lacopo, pur non avendo un passato attestato nell’estremismo
neofascista, sono amici personali di lunga data e quindi conosciuti e
“fidati”.
2.4) Il controllo del
proprio contesto di riferimento
Lo stesso contesto in cui
opera il sodalizio esprime un profondo radicamento dentro un circolo
ristretto, facente capo agli ambienti “esclusivi” alla destra
radicale, dentro il quale i protagonisti di questa storiaccia
mostrano di sapersi muovere con la massima disinvoltura e confidenza,
trovando alleanze, opportunità di business, manovalanza, ed anche,
per così dire, “copertura” e rispettabilità sociale, e diventa
quindi quel substrato “tradizionale” di radicamento primario di
cui ogni mafia ha bisogno, anche quando entra nella fase
dell’espansione in nuovi contesti. Quando parlo di contesto, mi
riferisco ovviamente in primis a quello geografico: operano tutti nel
quadrante di Roma Nord, fra i Parioli, Vigna Stelluti, il Fleming, il
Flaminio e Sacrofano, un vero e proprio habitat elettorale e sociale
della destra più radicale, che esprime quella piccola e media
borghesia di “parvenus” e medi e grandi “commis”
dell’Amministrazione Pubblica, dalla quale, peraltro, quasi tutti i
protagonisti di Mafia Capitale sono stati allevati (nonostante
l’estremo livello di degenerazione, anche nel modo di esprimersi,
che Carminati manifesta, dopo tanti anni di frequentazioni criminali,
egli stesso è, per unanime ammissione di tutti, un uomo
intelligente, colto e perfettamente in grado di “stare” dentro
contesti sociali altolocati). Il legame territoriale quasi simbiotico
che, come ogni Mafia (organizzazione in primis territoriale, anche
quando si espande) il gruppo esprime emerge dalle intercettazioni,
dal richiamo costante che Carminati fa della sua appartenenza a Roma
Nord (come quando Carminati contattava Santoni, dicendogli “ciao
sono io, buongiorno…so’ quell’amico tuo di zona qui a Roma
Nord…”). Tutti gli affari del gruppo si combinano quindi in
“territorio amico”, dove Carminati e soci si sentono protetti e
conosciuti, fra il benzinaio di corso Francia, l’Euclide di Vigna
Stelluti, il bar Hungaria di piazza Ungheria, i ristoranti di Ponte
Milvio e della Flaminia Nuova. Persino le telefonate “delicate”
vengono fatte da una cabina di via Flaminia, o da una di viale
Tiziano. Molto significativamente, perché è un altro connotato
tipicamente mafioso, il territorio del boss, ovvero Sacrofano, si
chiude in una perfetta omertà, se non in qualche tentativo di difesa
dell’imprenditore edile sacrofanese Agostino Gaglianone, risultato,
dalle emergenze investigative, colluso con il gruppo, e fortemente
relazionato con Carminati.
Alcuni dei luoghi di Mafia Capitale. In alto sinistra: corso Francia (con la stazione di servizio di Lacopo). In senso orario: piazza di Vigna Stelluti, Ponte Milvio, Sacrofano
Ma il contesto è anche
culturale: non solo per nostalgia dei suoi vent’anni, ma anche per
rinsaldare i legami affettivi con il gruppo, Carminati non di rado si
lascia andare a rimembranze del suo passato di terrorista dei NAR,
ricorda, persino divertito, di quando andò in Libano a fare il
cecchino con i falangisti fascisti, nei primi anni Ottanta, tiene
nella sua abitazione oggetti con una forte carica simbolica
nell’immaginario neofascista, come una Katana giapponese, utilizza
con i suoi uomini termini, come il “mondo di mezzo”, che evocano
la paccottiglia pseudo-culturale delle letture tipiche dei
neofascisti e degli ordinovisti, quando deve minacciare utilizza il
linguaggio truculento dei picchiatori da strada dell’estrema destra
(“lo famo strillà come un’aquila sgozzata”). Tutto questo non
è casuale, serve per rinsaldare una sottocultura comune, nella quale
i membri del gruppo possono riconoscersi e sentirsi a loro agio,
quindi in ultima analisi sentirsi più legati al sodalizio. Anche
questo è un comportamento mafioso: ad esempio, la ‘Ndrangheta ha
elaborato un immaginario culturale, con tanto di mitologia delle
origini (i famosi cavalieri Osso, Mastrosso e Scarcagnosso) e
sincretismi cattolici, utile per rinsaldare la fedeltà dei propri
affiliati. Lo stesso vale per Cosa Nostra, e per le elaborazioni
politico/autonomistiche che Cutolo offrì alla NCO.
Conclusioni
In
conclusione, Mafia Capitale appare come una organizzazione dai tipici
tratti mafiosi, evolutasi dalla criminalità di strada verso una
forma imprenditoriale di fornitura di servizi illeciti al “mondo di
sopra” (l’agenzia di servizi) in condizioni di monopolio, quindi
perfettamente inserita dentro le logiche di potere economico,
amministrativo e politico di Roma, e per molti versi ad esse
funzionale e servente. Una organizzazione che, accanto ai tipici
caratteri intimidatori di una mafia (alimentati anche dal prestigio
criminale di Carminati e dalla sua intelligenza organizzativa), ha
accresciuto il suo potere grazie ad un notevole investimento in
capitale sociale, capitale relazionale, che le consente di porsi al
crocevia di una rete di rapporti, talvolta da essa stessa costruiti,
talvolta ad essa preesistenti ma funzionali, con una capacità di
estensione socio economica molto pervasiva e pericolosa, che dal
centro di tutto, ovvero Carminati, si estende a raggiera, sia nel
mondo criminale, in cui Carminati assume sempre più il ruolo di
organizzatore e coordinatore (arrivando addirittura a pagare 20.000
euro ad un Casamonica, per tenersi buono il rapporto con il clan
criminale) sia in quello imprenditoriale e politico/amministrativo.
Il potere mafioso esercitato sul territorio si misura in termini di
imprenditori collusi, che spesso vanno essi stessi a cercare
protezione, amministratori coinvolti, comuni cittadini omertosi o
impauriti.
Nell’ultimo capitolo di
questa storia, si approfondiranno le biografie e i ruoli degli uomini
coinvolti in Mafia Capitale.