E' morto, a 72 anni, per arresto cardiaco in carcere a Ferrara, dove
scontava più ergastoli, Pasquale Barra, detto "O animale". Nato ad
Ottaviano, amico di infanzia di Raffaele Cutolo, figlio ribelle di una "buona famiglia", iniziò la sua carriera criminale a 17 anni, crivellando di colpi la serranda di un benzinaio. Non voleva pagare il pieno di benzina, e voleva dimostrare a tutti che con lui non si scherzava. Finì con 67 omicidi a suo carico.
Scelto da Cutolo per la sua indole violenta e senza scrupoli, ne divenne uno dei
principali luogotenenti, arrivando a ricoprire il ruolo di santista (una
sorta di portavoce e coordinatore operativo dei vari capizona della
cupola cutoliana). Arrestato relativamente presto, nei primi anni
Settanta, mostrò la sua natura di mafioso autentico, che non tradisce
mai il capo, e, da dentro il carcere, continuò la sua attività di
killer su commissione di don Raffaele. Fu quindi coinvolto nella guerra
fra NCO e Nuova Famiglia, uccidendo, dietro le sbarre, il capozona di
Castellammare di Stabia, Antonino Cuomo, schieratosi con il nemico di
Cutolo, ovvero Carmine Alfieri. Famoso per aver ucciso, sempre in
carcere, ed in modo particolarmente efferato il malvivente milanese
Francis Turatello, ancora su ordine di Cutolo, probabilmente per evitare
che Turatello rivelasse i rapporti intrattenuti fra NCO e Banda della
Magliana, tramite Nicolino Selis, arruolato da don Raffaele come suo plenipotenziario romano, e poi massacrato dai suoi compagni di banda, per essersi "allargato troppo".
Lo massacrò a pugnalate, poi lo
sventrò e mangiò una parte del suo fegato. Noto anche per aver
eliminato, sempre in carcere, e sempre su ordine di Cutolo, uno dei capi
storici della vecchia 'Ndrangheta, Domenico "Mico" Tripodo. Nell'ambito
della guerra interna alla 'Ndrangheta, infatti, Tripodo, insieme agli
altri due capi storici ("Mommo" Piromalli e Don Antonio Macrì) si
opponeva ai clan emergenti, guidati dai De Stefano, che facevano affari
nella droga con Cutolo.
Quando venne tradito dal suo capo storico,
Cutolo, che prese le distanze dall'omicidio Turatello, probabilmente per
la sua eccessiva efferatezza, ritenne sciolto il suo vincolo d'onore
con la camorra, e divenne il pentito di camorra più famoso d'Italia,
perché, in un evidente tentativo di fare "carriera" nel pentitismo, ed
assicurarsi maggiori benefici, coinvolse il presentatore televisivo Enzo
Tortora in una storia rivelatasi completamente infondata, rovinandone
la vita. Visse di tira e molla, con gli inquirenti, nel classico gioco dei pentiti: fra benefici, richieste di protezione della famiglia (il figlio venne gambizzato all'uscita dal suo ufficio per vendetta) e rivelazioni somministrat con il bilancino, ma comunque sufficientemente pesanti da determinare lo smantellamento dell'organizzazione cutoliana, Addirittura tragicomico il suo confronto in aula con l'ex capo
Cutolo, in cui, alternando italiano e dialetto, rivolgendosi
all'interlocutore a volte con il tu ed a volte con il lei, i due si
lanciarono reciproche accuse e minacce, accompagnate da tentativi di
imbonimento (Cutolo arrivò addirittura a inchinarsi e baciare la mano
del suo ex sottoposto). Un autentico mafioso.
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