Contrariamente
a molti, a me le sparate di Scalfari, o le minacce dei mercati per fine agosto,
preoccupano in modo relativo, almeno in una logica di medio periodo. La storia
insegna che quando il vento tira da una certa parte, lo si può deviare o
rallentare per un certo periodo, ma poi si deve soccombere.
Le crisi
economiche e sociali sono sempre momenti di rottura degli equilibri storici,
momenti oltre i quali non c'è più ritorno possibile. Così come la crisi degli
anni Trenta pose fine ad un mondo, quello liberal-conservatore, borghese, nazionalista
e protezionista, e diede vita a nuovi fenomeni, ovvero i fascismi, le
socialdemocrazie e i liberismi sociali e moderati, che poi si sarebbero
scontrati fra loro per l'egemonia nel mondo occidentale durante la Seconda
Guerra Mondiale, così le due crisi del 2007 e del 2011 stanno ponendo fine al
vecchio ordine nato dalle crisi petrolifere del 1974 e del 1980, e rafforzato a
livello di pensiero unico dalla caduta del muro di Berlino, ovvero il
neoliberismo globalizzato.
Questo
paradigma non è più in grado di dimostrare che la libertà assoluta di mercato,
giocata su una scala globale in cui la politica perde il suo ruolo direttivo,
massimizza il benessere collettivo tramite la soddisfazione di un individuo
atomizzato e inserito nel circuito economico solo in base all'incrocio fra le
sue preferenze individuali ed alla sua produttività marginale (cioè ai suoi
talenti personali).
I populismi
sono uno dei fenomeni nuovi che stanno nascendo come reazione alla crisi del
vecchio regime, rafforzandosi un po' ovunque e divenendo progressivamente forze
di governo in un numero crescente di Paesi. Non è da escludere che anche un
socialismo del XXI Secolo possa germinare come ulteriore novità, ma lo può fare
solo laddove vi siano forze di sinistra ancora collegate, almeno in parte, con
i loro settori sociali di riferimento.
Laddove, ad
esempio in Paesi come l'Ungheria, i populismi hanno mangiato tutta l'erba del
pascolo sociale della sinistra, essa si è estinta. Non esiste più come soggetto
autonomo politicamente rilevante, in grado cioè di pensare ad un futuro di
governo e di influenzare la direzione politica del suo Paese.
Lo stesso
sta accadendo in Italia, dove i pochi cespugli di sinistra ancora rimasti,
essenzialmente retti da residui di militanza e di connessione sentimentale,
stanno rapidamente morendo, e già oggi sono del tutto incapaci di esercitare
una qualsiasi forma di influenza sulla vita del Paese.
Fuori dal
recinto dei populismi, non c'è più un popolo sul quale fondare un progetto autonomo.
Solo pattuglie nostalgiche e segmenti istruiti e culturalmente progressisti di
ceto medio-alto, al riparo dalla polarizzazione crescente della società, che
valgono pochi decimali, e che peraltro sono intrisi della stessa ideologia
individualista del campo avverso: si tratta di un individualismo dei diritti
civili, che sono a consumazione individuale, e che possono essere consumati
solo da chi sta nelle posizioni migliori della scala sociale, e che quindi non
interessano l'area crescente dei ceti sociali in impoverimento.
Molto più
prosaicamente, scendendo un attimo dalla teoria per abbracciare la rude realtà,
non c'è nemmeno il tempo per costruire una sinistra autonoma. Fra poche
settimane, presumibilmente, partirà un attacco in grande stile, da parte dei
mercati e della Trojka, per far cadere il Governo gialloverde e sostituirlo con
l'ennesimo Governo tecnico dei "competenti" (per il quale si stanno
già facendo le prove mediatiche, chiamando a recitare i vari Cottarelli, Boeri
o quell'altro scalmanato dei vaccini). governo che tornerà a metterci il cappio
al collo per strangolarci finanziariamente e toglierci gli ultimi residui
diritti sociali ancora sopravvissuti al massacro.
Siamo in
tempo di guerra e di emergenza. Oggettivamente, occorrerebbe ricordare l'antica
lezione di Mao, quella delle contraddizioni in seno al popolo, per la quale,
quando si tratta di combattere l'aggressore giapponese, va anche bene allearsi
con il Kuomingtang. Aggredire da sinistra il governo attuale, ammesso e non
concesso che un attacco da sinistra a chi fa politiche prevalentemente di
sinistra abbia un senso oltre i cancelli di un padiglione psichiatrico,
significherebbe oggettivamente schierarsi con il nemico vero, il neoliberismo
agonizzante che cerca di ritardare e frenare il più possibile il cambiamento
del paradigma.
Riflettessero i leader di sinistra: meglio Di Maio o un funzionario della Trojka? Perché
per i prossimi mesi la scelta è solo fra queste due opzioni, non c'è nessun Sol
dell'Avvenire, non ci sono gli spazi sociali, sono occupati da altri soggetti,
che si chiamano Lega e M5S.
Questi spazi
sociali potranno essere conquistati pian pianino, solo successivamente,
ricostruendo un rapporto minimo di fiducia e credibilità che la sinistra
attuale non ha più, avvicinandosi agli elettori di riferimento, non pretendendo
che siano loro ad avvicinarsi.
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